NOME UTENTE        PASSWORD  

Hai dimenticato la tua password?

Nell'ultimo numero di Traguardi Sociali:
Traguardi Sociali

Stai sfogliando il n.23 Novembre / Dicembre 2006

Leggi la rivista in formato pdf Cerca numeri arretrati in archivio
.PDF Numero 23 (2759 KB) Sfoglia l'archivio di Traguardi Sociali Sfoglia l'archivio di Traguardi Sociali

  Per la Turchia in UE i tempi si allungano

Data di pubblicazione: Mercoledì, 29 Novembre 2006

manifestanti in Turchia

manifestanti in Turchia

TRAGUARDI SOCIALI / n.23 Novembre / Dicembre 2006 :: Per la Turchia in UE i tempi si allungano

Il cammino verso l'Ue


Il cammino verso l’UE


PER LA TURCHIA I TEMPI SI ALLUNGANO


       Dal prossimo gennaio entreranno a far parte dell’UE altri Paesi con i quali ci sono da sempre forti legami culturali, ottimi rapporti politici, la comune fede cristiana. Con uno di loro, la Romania, noi italiani condividiamo pure una parte della lingua. Siamo quindi felici di questo allargamento. D’ora in poi oltretutto smetteremo di dover considerare clandestini tutti quegli uomini e donne di Romania che vivono già da tempo nelle nostre città e che ci sono amici.

       Ma non è tutto oro quel che riluce. Ad attendere il visto per Bruxelles, c’è pure la Turchia, che non è un Paese come tutti gli altri, anzi da qualche tempo è al centro dell’attenzione per i suoi atteggiamenti nei confronti della libertà e per i suoi rapporti con il Papa e i cattolici.

       Quando queste parole saranno state stampate, Papa Ratzinger dovrebbe aver fatto felicemente ritorno in Vaticano dopo aver visitato la Turchia. Benedetto XVI non è amato da quelle parti, perché anni fa disse che l‘ingresso di Istanbul nella Ue era inopportuno. I turchi se la presero. L’anno scorso c’è stato l’assassinio di don Andrea Santoro, a Trebisonda. Nell’occasione si aprì una finestra sulla condizione dei cattolici in quella terra. Si seppe che lì non c’è spazio per i non musulmani, che le chiese esistenti non possono nemmeno essere restaurate, che di nuove non se ne possono costruire, che non si può predicare in pubblico. Insomma, si capì che quel grande Paese non soffre solo di un sistema carcerario terribile, finora il suo lato più noto all’estero, ma ha anche altre gravi carenze: i cristiani non possono partecipare alla vita pubblica, né avere incarichi pubblici; non esistono sindacati liberi; non esiste libertà di pensiero; la donna resta un essere umano di serie b. Non male per un Paese che si candida a entrare nella Unione Europea.

       Ma torniamo a Benedetto XVI, sul quale le autorità turche, politiche e religiose, e larghe masse di esagitati, hanno mostrato il peggio di sé in occasione del discorso di Regensburg a settembre. Il Papa parlò di fede e ragione, ricordò con le parole di un antico imperatore, il quale citava l’Islam, che la fede non può camminare sulla punta delle spade.

       Apriti cielo, si sentirono offesi, perché l’Islam non è violento, dissero, e giù un diluvio di insulti e minacce al Papa. Senza chiedersi se per caso le cose dette da Ratzinger fossero vere. All’inizio di novembre, l’Ue ha fatto sapere che la Turchia ancora non rispetta le condizioni adeguate per entrare in Europa. Servono ancora riforme, urgono altri sforzi, pochi accenni a cose concrete, molte questioni burocratiche. Il governo di quel Paese dice che molto è già stato fatto. In parte è vero. Come pure è genuina la voglia di Europa che c’è in larghe fasce, benché minori che in passato, della popolazione. Eppure, c’è qualcosa che non torna in tutta questa vicenda. La Turchia vuole entrare in Europa, gli americani la sostengono, molti Paesi europei pure. Dello stesso tenore è il mondo finanziario, le grandi banche, i detentori del potere economico, che vedono nell’ingresso di Ankara nel vecchio continente una grande opportunità per ampliare affari e commerci.

       Sono favorevoli a questo processo pure quei partiti, molti, anche in Italia, che vedono nel legame fra Europa e Turchia la possibilità di creare un ponte con una parte di mondo importante; includere Ankara, viene detto, significa sottrarre quel Paese all’attrazione nell’orbita dei Paesi a forte estremismo musulmano. Tutti ragionamenti veri, tutti pensieri che contengono pezzi importanti di verità. Eppure….eppure qualcosa non torna.

       Qualche giorno fa il presidente di Cipro in visita dal Papa ha portato con sé un libro di fotografie che documentava la distruzione di centinaia di chiese finite sotto la dominazione turca dal 1974, anno in cui i militari occuparono il nord del Paese. Quasi tutte le chiese, ha detto il presidente cipriota, “tranne quelle che si possono contare sulle dita di una mano, sono diventate night club, hotel, stalle e siti militari”.

       Ma i conti aperti con la cristianità sono anche altri: all’inizio del secolo scorso furono sterminati un milione e mezzo di cristiani armeni, cancellati dalla geografia e dalla storia. Di quella grande vergogna ancora oggi in Turchia non si può parlare, pena l’arresto. Se la memoria di quelle povere vittime è ancora viva, lo si deve ai superstiti riparati in Europa, quella vera. Oggi in Turchia ci sono due articoli della Costituzione che impediscono di criticare lo Stato e di parlare del genocidio armeno, chi non li rispetta finisce in galera. Viva la libertà !

       Ma perché un Paese che vive con queste regole, con queste incredibili convinzioni e leggi, dovrebbe aderire all’Europa ? Ce lo chiediamo con il dovuto rispetto per la Turchia, ma con altrettanto rispetto per l’Europa.

       Con i turchi non condividiamo praticamente nulla, a parte gli interessi economici, petroliferi e militari. Si dirà che non è poco. Ma la Turchia non ha nessun legame geografico e culturale con il vecchio continente, e storicamente ha vissuto contesti opposti ai nostri. Nulla ci unisce sul piano dei valori, sul rispetto dei diritti umani, delle minoranze, della fede religiosa, della libertà di parole e di associazione. Tutto quello che da noi, nel vecchio continente, è una certezza in materia di libertà e democrazia, in Turchia viene messo in discussione. La vecchia Europa si è forgiata sulla cultura cristiana, cioè proprio su quello che in quel Paese viene invece contestato ferocemente. Perché dovremmo unirci, quindi ?

       Non sappiamo se il processo di integrazione giungerà a termine o si arenerà per strada. Di sicuro possiamo dire che ci preoccupa la superficialità e la fretta con cui tante questioni vengono valutate in nome di un rapido ingresso della Turchia nella Ue. Qui non si esprimono pregiudizi, ma si dice con onestà e realismo che ci sono cose che non si possono liquidare solo con le buone intenzioni: la Turchia non entrerebbe in Europa per stare in un angolino e godere dei sussidi agricoli, ma vorrebbe legittimamente svolgere la sua parte nella gestione politica generale. E lo farebbe dall’alto dei suoi 100 milioni di abitanti, cioè più della grande Germania, e sotto la spinta di una cultura politico-religiosa che è all’opposto di ciò in cui la vecchia Europa crede. Non ci sembra poco, e non è affatto tranquillizzante.

       L’Europa ha tanti problemi suoi, e noi li mettiamo spesso in evidenza; l’arrivo della Turchia può solo aumentarli.

 Torna ad inizio pagina 
Edizioni Traguardi Sociali | Trattamento dati personali