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  Intervista a Natale Forlani, ad di Italia Lavoro

Data di pubblicazione: Martedì, 5 Dicembre 2006

TRAGUARDI SOCIALI / n.23 Novembre / Dicembre 2006 :: Intervista a Natale Forlani, ad di Italia Lavoro

Il mercato del lavoro ci chiede flessibilità tutelata

Parla Natale Forlani, amministratore delegato di Italia Lavoro


IL MERCATO DEL LAVORO CI CHIEDE FLESSIBILITA' TUTELATA


       Conversare – sia pure solo per una mezz’oretta, data l’urgenza dei suoi impegni – con uno storico e vitalissimo esperto dei problemi del lavoro come l’ex numero due della Cisl ed oggi amministratore delegato di Italia Lavoro (agenzia tecnica che realizza azioni e progetti sulla base di indicazioni e linee guida del Ministero del Lavoro ed in stretta collaborazione con Regioni e Province, operando nei campi dell’incontro della domanda e offerta, del welfare to work, dell’occupabilità, dell’immigrazione, della disabilità e dell’inclusione sociale) Natale Forlani, è decisamente illuminante. Ecco le domande che il giornale del Mcl gli ha posto e alle quali ha cortesemente risposto.

Forlani, partiamo dalla Finanziaria. Che risposte offre, dal lato mercato del lavoro?

       E’ forse ancora un po’ troppo presto per formulare un giudizio definitivo, ma a una prima occhiata ci sono elementi positivi che vanno valorizzati. Alcuni interventi sono in continuità con politiche positive del e sul mercato del lavoro. Parlo degli aumenti dei contributi per i cocopro, una linea di tendenza già messa in campo dalla legge Biagi e dunque della ricerca di una flessibilità tutelata e non solo agevolata nei costi. Ma anche della decisione di ridurre il cuneo fiscale e i contributi per chi assume a tempo indeterminato. Anche le annunciate decisioni contro il lavoro sommerso e il lavoro nero sono positive e guardano alle reali trasformazioni del mercato del lavoro anche se da un lato vengono da tanti tentativi, fatti, su questa materia, e che mai hanno ottenuto buoni risultati. Poi, certo, vi sono, nelle norme decise dal governo, alcuni e negativi segnali contraddittori. La mobilità lunga per i lavoratori della Fiat, e cioè per sole 3mila persone ad esempio, è in contraddizione, indica una scelta – tutta e solo politica - alla rovescia, che fa a pugni con la proposta di pensionare cinque milioni di lavoratori over 50 in cambio di altrettante nuove assunzioni. Per quanto riguarda le misure anti-evasione, invece, i controlli ispettivi del fisco oggi inaspriti, le norme più rigide e serie intraprese indicano un’altra buona direzione di marcia.

Insomma, un giudizio sostanzialmente positivo. Dall’altra parte c’è un ministro del Lavoro che intima alle parti sociali di mettersi d’accordo -entro tre mesi, a partire da gennaio-, per la stabilizzazione dei contratti a termine, altrimenti procederà d’imperio. La Cisl si è subito detta contraria, -nel merito e nel metodo-, a questo modo di fare. Lei cosa ne pensa?

       La legge attuale è frutto integrale di un avviso comune e di una direttiva europea fatta, ai tempi, senza l’avallo della Cgil. In quell’ambito è possibile prendere decisioni di stabilizzazione del lavoro precario attraverso decisioni tecniche di carattere motivato, e cioè per la sostituzione di lavoratori che vanno in pensione o per variabili di produzione. Il contratto a termine, d’altronde, proprio sulle basi stabilite dall’avviso comune non può essere reiterato per più di due volte oltre i tre anni, perché si tratterebbe di contratti a termine impropri. Questo dice la normativa europea e questo ribadisce, come non potrebbe fare altrimenti, la legge italiana. Le parti contrattuali sono abilitate a introdurre elementi aggiuntivi di ordine tecnico, non altri. Insomma, il principio è che il contratto a tempo indeterminato è quello principale e ordinario, in questo le dichiarazioni di Damiano sono condivisibili, ma nulla di più. Margini di miglioramento tecnici, ripeto, sono sempre possibili ma solo questi. D’altra parte, vorrei far notare che in tutti i Paesi dell’Unione europea si usano i contratti a termine per portare “dentro” il mercato del lavoro chi ne sta fuori: in Germania, per esempio, sono state introdotte agevolazioni contributive per inserire al lavoro gli over 50 con contratti a termine attraverso meno contributi alle imprese e con salari più bassi. Se si facesse in Italia, molti lo considererebbero uno scandalo…

Vuol dire che la sinistra radicale che protesta tanto contro il precariato sbaglia?

       Voglio dire che tirocinio e apprendistato sono presenti in Italia molto meno che nel resto d’Europa. Da noi si ama tanto fare propaganda sul termine “precario” ma il mercato del lavoro italiano è molto meno precario che altrove: sono solo 800 mila i contratti a termine per gli under 29, in Italia, rispetto ai quattro milioni e mezzo di contratti a tempo indeterminato per la stessa fascia d’età. Negli altri Paesi, invece, il tasso di occupazione è più alto per gli adulti come per i giovani. Per me inserire un milione di giovani disoccupati con dei contratti a termine non vuol dire aumentare il precariato ma l’occupazione, mentre per altre parti politiche e sociali è vero il contrario.

In Spagna, però, c’è stata una stretta non di poco conto, sui contratti a termine, introdotta dal governo Zapatero. Non si potrebbe fare così anche qui da noi?

       La situazione della Spagna bisogna conoscerla e studiarla bene. In quel Paese c’è stata una crescita impetuosa, tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta: dall’autarchia e dall’agricoltura gli spagnoli sono passati ad avere altri tassi di occupazione, anche e soprattutto grazie all’apertura al mercato europeo e all’ingresso nell’Unione europea. Lì, in pochi anni, gli investimenti di capitale hanno preso a tirare in modo impetuoso e i contadini si sono trasformati in lavoratori dell’industria o nei servizi. Questo è successo anche grazie alle agevolazioni concesse per i contratti a termine: gli spagnoli avevano sei punti in meno di noi, in quanto a tasso di occupazione, ora si trovano quattro punti avanti. Da qualche anno si è cercato di disincentivare i contratti a termine, arrivati al 34% del totale, e farli costare di più, un processo cominciato dal governo conservatore di Aznar, peraltro, e non da quello socialista di Zapatero. Oggi, in Spagna, la percentuale dei contratti a termine si è stabilizzata e il contratto a tempo indeterminato costa di meno, è diventato più flessibile: non esiste, da loro, la giusto causa per il reintegro del lavoratore licenziato, ma c’è un bonus economico, che peraltro è stato ridotto. Glielo proponga alla sinistra italiana e vedrà la risposta…

Eccoci, dunque, in conclusione, a parlare dell’eterno dibattito sulla legge Biagi o 30. Che farne, secondo lei?

       E’ una polemica che trovo molto sgonfiata, francamente. Bisogna invece guardare agli aspetti di struttura: la produzione del Libro Bianco di Marco Biagi è molto simile allo Statuto dei Lavori varato dall’allora ministro Tiziano Treu e alle cose che dice oggi il ministro Cesare Damiano. Il sistema corporativo che abbiamo ereditato crea squilibri nel mercato del lavoro. Vanno rinforzate tutele essenziali come il sistema degli ammortizzatori sociali e serve un nuovo Statuto dei Lavori che presenti un equilibrio diverso di tutele e reti di protezione sociale per chi perde il lavoro e ne cerca un altro di tipo diverso. Biagi ha fatto un importante pezzo di strada ma non è riuscito a rompere lo schema corporativo che regge il sistema italiano del lavoro.

       Serve un diritto dell’occupazione e reti sociali di tipo nordico e anglosassone, non cattive politiche del lavoro, anche rompendo un sistema di relazioni industriali vecchio e che ha fatto il suo tempo. Un vero sistema di flexsecurity, cioè, che integri un mercato del lavoro flessibile, regolato e contemperato con norme che aiutino l’inserimento lavorativo. Lo Statuto dei Lavori e nuovi ammortizzatori sociali, dunque.


Ettore Colombo

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