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  Dall’“Amor dei Intellettualis” al “Movimento Cristiano Lavoratori”

Data di pubblicazione: Sabato, 24 Dicembre 2022

TRAGUARDI SOCIALI / n.109 Dicembre 2022 :: Dall’“Amor dei Intellettualis” al “Movimento Cristiano Lavoratori”

Pagine di storia MCL

Ripensare - cinquanta anni dopo - agli avvenimenti che nei primi anni settanta del secolo scorso permisero la nascita del Movimento Cristiano Lavoratori - dei suoi servizi, delle sue articolazioni, dei suoi rapporti, dei suoi documenti, della sua prima gestione, dei suoi errori, delle sue prospettive etc. - significa per i suoi “sopravvissuti” all’interno della sua realtà organizzativa una meditazione, un’analisi, un approfondimento di temi e di esperienze indubbiamente vitali, che hanno segnato alcuni anni del mio impegno sociale. La scelta dell’opposizione interna, prima, e dell’abbandono, poi, delle Acli, significò per me - come per molti altri - un trauma profondo e doloroso, e quindi in una che si concretizzò in un’uscita senza ripensamenti.
Fatta questa premessa necessaria, il mio ricordo si focalizza, come si è sempre focalizzato, sui convincimenti assai profondi, a mio avviso, che continuano a rappresentare una giustificazione e nello stesso tempo una certezza derivante dalla convinzione , l’unica che dà un senso alla vita: il dono della fede.
Per un cristiano - penso - tutto comincia da qui: dalla fede e dalla congruenza delle opere - in verità, difficilissima - che ad essa si riferiscono: “la fede senza le opere è morta”. E, il primo momento della fede è riconoscere in Cristo e, nella sua dottrina, il fondamento del nostro essere, i due comandamenti, le due tavole: da una parte, la tavola “dell’amore di Dio” e, dall’altra, quella “dell’amore del prossimo.
Allora chiamai la prima quella dell’Amor e, la seconda, quella dell’Amor i comandamenti, secondo la definizione del Maestro, sono tanti quanti le tavole di Mosè - cioè due -, e il secondo è simile al primo, per cui il primo è simile al secondo, anche se appartenente ad un piano inferiore.
Sto trascrivendo qui le modalità del processo intellettuale di cui mi servii allora, che mi impose di definire l’amore, in generale, quale “desiderio di possedere eternamente il bene”: una questa, da considerare che avevo mutuato dal (207A) di Platone e che mi parve la più esaustiva rispetto a tutte quelle che fino a quel momento avevo udito ed analizzato.
Una che ho sempre tenuto presente è stata quella, già citata, dell’Amor mutuata da Spinoza (1632-1667), che include quella di nel cui àmbito insistono incondizionatamente “la nostra salvezza, la nostra felicità e la nostra libertà” e che sostiene nel contempo - razionalmente - la nostra fede (Spinoza forse, a sua volta, l’aveva ricavata dagli scritti del filosofo Leone Ebreo, 1460-1530, arricchendola significativamente).
Della quella abbiamo parlato più sopra; ma su essa è necessario ritornare tra poco per un ulteriore e necessario accenno.
Le quattro definizione surriferite hanno il loro fondamento nella fede che, in sostanza, è rappresentata dalla parola dei Vangeli: conservata, coltivata e protetta nella Chiesa, sotto il magistero di Pietro. Per tale motivo non dobbiamo - come cristiani - mai dimenticare ciò che Gesù disse al primo degli apostoli istituendo la Chiesa, quasi certamente durante il primo mese della sua vita pubblica e sùbito nel suo primo incontro con il capo degli apostoli: “Tu sei Simone, il figlio di Giovanni: tu ti chiamerai Cefa (che vuol dire Pietro)” (Gv. 1,42), su cui io “edificherò la mia Chiesa, e le potenze dell’inferno non prevarranno contro di essa” (Mt. 16, 18).
Se la cronologia di un fatto ha, sotto l’aspetto storico, la sua rilevanza, poiché Cristo come suo primo atto e annuncio fonda la Chiesa e chiama Pietro il fondamento della sua nuova istituzione, si deve conseguentemente affermare che tale istituzione è il necessario e indispensabile contenitore del suo messaggio e di quanti ad esso si richiamano; l’annuncio - senza dubbio l’essenza del “contenuto” della Chiesa - deve essere conservato.
Non si può pensare che Cristo abbia affermato qualcosa di inutile, fuori luogo: ogni cosa che egli ha detto è necessaria, perché la novella mantenga e contenga la verità che predicherà poi tale istituzione: “Che nulla vada perduto”, ha comandato.
La è stata da me ricavata per analogia dalla terza, si riferisce al secondo comandamento di Gesù, ed è trasmessa attraverso la seconda tavola di Mosè, quella che Gesù dichiara simile alla prima e che viene anteposta e dichiarata più importante dell’offerta per il sacrificio: “Se presenti la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare e va prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono” (Mt. 5, 23- 24).
Le quattro definizioni sopra riferite vengono da me enunciate nella loro essenzialità, anche se su ognuna insiste una infinità di scritti, trattati su trattati: fiumi d’inchiostro - insomma-, in ogni epoca della storia occidentale; ma, ovviamente, esse non possono essere analizzate esaustivamente in un articolo in cui ci si propone un ripensamento e un proponimento in occasione della celebrazione di un fausto cinquantennio, coronato dalla realizzazione di molte opere. E, su di esse - principalmente sulle ultime tre definizioni - è necessaria un’annotazione a proposito del comandamento dell’amore: quella relativa alla loro razionalità, qui coniugata nella sua accezione “intellettuale”.
La storia del pensiero - anche quella cristiana - ha dibattuto per secoli questo tema: se nell’uomo è preminente il sentimento o la ragione. La “querelle” pare si sia conclusa nel secolo scorso con la pace dichiarata dalla corrente filosofica cristiana dello “spiritualismo”: Michele Federico Sciacca, che considero mio maestro, anche con l’opera dal titolo introduce la filosofia dell’integralità in cui viene definitivamente superata - a mio avviso - ogni dualità tra sentimento e ragione. Al percorso logico fin qui descritto, che per lungo tempo mi ha profondamente interessato e che tuttora mi interessa, devo aggiungere quanto si deduce dal del 28 giugno 1949 41) dal titolo voluto da papa Pio XII e ribadito da papa s. Giovanni XXIII il 28 ottobre 1958 - 3 giugno 1963, con il decreto dal titolo: Per quanto precedente detto, anche qui mi debbo limitare alla enunciazione delle opere e, dopo una breve delucidazione, rinviare il lettore alla consultazione dei testi citati. Ovviamente, un cristiano non può perseguire l’ideologia propria del comunismo ateo. Per tutti i credenti viene per prima la fede in Cristo e, segnatamente, nella sua parola. Pietro deve vigilare sulla verità del messaggio: è il suo còmpito, ed ha il dovere di farlo sempre per cui, anche tutti coloro che si ritengono impegnati ad annunciare il messaggio sociale del Maestro devono ascoltare ogni esortazione di Pietro ed ogni suo comando. I due decreti - quello di Pio XII e quello di s. Giovanni XXIII - non permettono alcuna replica.
Ora, si renderebbe qui utile, se non doveroso, parlare dei due temi fondamentali di necessaria conoscenza: quello relativo alla giustizia sociale (si veda ad es., l’opera di A: Rosmini, e quello riguardante le indicazioni che provengono dai fondamenti della dottrina sociale della Chiesa, cominciando almeno dalla un impegno che dovrebbe essere preminente nella storia del secondo cinquantennio del Movimento Cristiano Lavoratori: gli iscritti di cinquanta anni fa hanno atteso che la Chiesa si pronunciasse relativamente alle loro scelte: e la Chiesa lo ha fatto solennemente con papa S. Paolo VI, il quale l’otto dicembre 1972 parlò ai profughi delleAcli in Piazza S. Pietro e disse: “E’ presente un gruppo di lavoratori cristiani, fedeli ai loro principi morali, fiduciosi di portare nella propria vita e nel mondo del lavoro moderno una testimonianza di fede , di solidarietà , di rivendicazioni sociali, di elevazione morale e civile. Vi salutiamo di cuore e ci compiaciamo con i vostri rinnovati propositi d’unione e di attività.
Tutti vi benediciamo con speciale e augurale cordialità”.
Ora gli iscritti del secondo cinquantennio studino e approfondiscano il messaggio sociale della Chiesa: l’aiuto che eventualmente possiamo dare agli altri consiste principalmente nella forza delle nostre specifiche conoscenze.

Lorenzo Del Bucchia
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