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  Ornaghi: “Serve una cultura viva”

Data di pubblicazione: Domenica, 10 Dicembre 2006

TRAGUARDI SOCIALI / n.23 Novembre / Dicembre 2006 :: Ornaghi: “Serve una cultura viva”

Speciale IV Convegno Ecclesiale Nazionale


L'intervento di Lorenzo Ornaghi, Rettore Università Cattolica


“SERVE UNA CULTURA VIVA   PER SUPERARE LO SPAESAMENTO”


       Per riuscire a cogliere l’essenziale della nostra stagione storica, per superare quella condizione di spaesamento che è così tipica dei nostri giorni, la cultura non può che essere una cultura – se questa formula la si intende bene – intrinsecamente sperante.

       Soprattutto nel corso degli ultimi tre secoli, si è via via ampliata e socialmente radicata la fiducia nelle illimitate possibilità dell’uomo di applicare mediante la scienza, con successo e senza troppi ostacoli, le proprie capacità razionali per trasformare il mondo e migliorare senza sosta le condizioni di vita. I grandi e positivi traguardi raggiunti hanno condotto a una sopravvalutazione della ragione scientifica e tecnologica, talché quest’ultima, oggi, continua a godere di una autolegittimazione quasi assoluta. Nemmeno l’intatta fiducia nella ragione scientifica e tecnologica, però, riesce ad alleviare o a mascherare la crescente difficoltà di trovare il senso unitario della vita e, dentro di esso, il senso autentico di ciò che consente di guardare con speranza al futuro.

       La politica democratica, se necessariamente vive e cresce grazie alla insostituibile e legittima concorrenza partitica (ossia vive, vale la pena di aggiungere, di pluralismo e di mediazione), non si esaurisce affatto – e non si consuma per intero, nemmeno quando modalità e toni siano esasperati all’eccesso – nella competizione fra partiti e aggregazioni partitiche. Facile è anzi prevedere che, negli anni che ci attendono, il gioco democratico ci porrà di fronte alle grandi questioni della politica: da quelle che direttamente determinano ciò che ormai chiamiamo il “bene-essere” di ogni persona e di tutta la comunità, a quelle della sicurezza nei momenti straordinari e ordinari di una collettività, sino a quelle della biopolitica e di un’etica pubblica realmente creduta e praticata. La promozione della famiglia fondata sul matrimonio sarà al proposito – e non dimentichiamolo mai – un elemento centrale.

       La nostra società, non diversamente da quelle dell’Occidente avanzato, esprime una variegata pluralità di offerte culturali che si traducono in progetti di vita e rivendicazioni di senso, sovente tra loro in competizione, talvolta in conflitto. La pluralità di tali offerte non può però degenerare in un “pluralismo parossistico”. Contro il rischio di questo parossismo, contro le sue nocive conseguenze nei confronti soprattutto delle generazioni dei giovani, le istituzioni come la scuola e l’università, insieme con i mezzi di comunicazione, devono sforzarsi di essere sempre più luoghi e strumenti di esperienza educativa essenziale ed efficace, creduta, accolta e sempre più responsabilmente partecipata. Non è un compito agevole e non è una lieve responsabilità, lo sappiamo. Ma sappiamo anche che solo dall’educazione viene la bussola per potersi orientare – senza troppe inquietudini, e senza dover patire eccessive insicurezze o fragilità – dentro il pluralismo parossistico della società, dentro una condizione di relativismo sociale e culturale che, moltiplicandone le parziali o ingannevoli risposte, non solo rende sempre insoddisfatta, ma allontana nel tempo e alla fin fine tradisce o uccide la naturale domanda, che è in ogni persona, di felicità.

       Le nostre società, perennemente in bilico e in attesa, aspettano quasi sopra ogni altra cosa la felicità. In mille modi la chiedono, la inseguono e continuano ad attenderla, mentre va crescendo sempre più la percezione rattristante della mancanza, la consapevolezza del vuoto di un’autentica felicità personale e sociale. Di fronte alle tante, troppe proposte di felicità banale e fuggevole, occorre tornare a educare i propri desideri affinché si rivolgano verso ciò che davvero e durevolmente vale: il bene, il vero, il bello. Se la formula la si intende bene, anche in questo caso è necessario un “ritorno dei trascendentali” al vertice dei nostri desideri più sinceri e profondi.

       Educazione e formazione, in un tale orizzonte, sono la risorsa più grande di cui disponiamo per bloccare e rovesciare quei processi, all’apparenza inarrestabili, di scomposizione dell’esperienza umana e di contestuale, connessa pluralizzazione parossistica delle convinzioni e convenzioni, delle mentalità e più conformistiche rappresentazioni, dei comportamenti e degli stili di vita più banali e superficiali della società. Al tempo stesso, educazione e formazione preparano e costruiscono quella cultura intrinsecamente sperante che – nei momenti straordinari e in quelli più ordinari, nella manifestazione di una leadership o nell’elaborazione di nuove idee e ipotesi scientifiche, così come nello svolgimento quotidiano del nostro lavoro e della professione, nei gesti di solidarietà sociale, di consapevole partecipazione politica, o di appartata e confidente accensione di una candela votiva – offre piena e pubblica testimonianza del nostro desiderio e della nostra capacità di convertirci e saper convertire.

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