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  La vita al di sopra di ogni altra cosa. Tutto il resto sono parole vuote

Data di pubblicazione: Mercoledì, 4 Maggio 2005

TRAGUARDI SOCIALI / n.15 Marzo / Aprile 2005 :: La vita al di sopra di ogni altra cosa. Tutto il resto sono parole vuote

Riflessioni sul referendum sulla procreazione assistita


Riflessioni sul referendum sulla procreazione assistita


LA VITA AL DI SOPRA DI OGNI ALTRA COSA. TUTTO IL RESTO SONO PAROLE VUOTE



       In vista ormai del triplice referendum sull’attuale normativa regolante per la prima volta una materia assai delicata come quella sulla procreazione ‘assistita’, capita di sentire, leggere e vedere sui mass media, interventi, prese di posizione e j’accuse insidiosi, perché partendo da un’affermazione condivisibile (la vita è il fine ultimo di migliaia di coppie) ed estendibile fino ad assumere una portata tendenzialmente generale, se ne deduce che l’infertilità è una malattia riconosciuta dall’OMS da curare in quanto tale. Segue a mo’ di corollario l’ulteriore conseguenza (aberrante) che il farlo non è mai innaturale o che non lo è meno dei trapianti d’organi, di terapie invasive come la chemio, o da sempre utilizzate anche se non rimuoventi le cause della malattia, né più né meno dei comunissimi occhiali atti a correggere il nostro ‘visus’, ma non il difetto della vista che ci affligge.

         Quel che sfugge a chi così ragiona è un dato semplice, a nostro modesto parere: l’intervenire per rimuovere l’infertilità non è fatto esclusivamente individuale e come tale da rimettersi alla volontà del singolo, bensì è scelta che ridonda sul coniuge anzitutto, secondariamente sull’intero nucleo familiare e sulla società, ma riguarda in prima persona l’eventuale nascituro.

         Questo dovrebbe far comprendere perché la materia sia da affrontarsi con la massima cautela: non si dispone della nostra vita, ma di quella altrui e di un ‘altro’ tanto debole nella sua soggettività da dover essere tutelato e garantito addirittura anteriormente ad un concepimento ‘programmato’ per essere il più naturale possibile, non tanto per le modalità di sua realizzazione quanto per il contesto nel quale il nuovo, attesissimo essere umano andrà ad inserirsi.

       Partendo da tale riflessione, appaiono chiare e giuste le scelte fatte grazie a un dibattito (non condizionato da logiche di schieramento, una volta tanto) svolto nelle sedi parlamentari, muovendo da scelte basate su questioni di senso, ovvero sul significato della vita umana, su una concezione antropologica di fondo nella quale innestare l’opzione per un ordine morale, giuridico, filosofico ad essa adeguato, e sulle cui basi riportare la cultura civile e sociale che rappresenta il tessuto connettivo del Paese, esprimendo il necessario consenso atto ad assicurare in primo luogo l’efficacia ed insieme la validità sostanziale d’ogni regola di condotta. Il giudicare innaturale ‘programmare’ orfani di un padre o di una madre che si vorrebbe far nascere, spiega tanto le ragioni del divieto di ricorrere alla procreazione assistita fuori di un rapporto di coppia stabile, da parte di (un o una) single, ovvero utilizzando un donatore/donatrice esterni (come sarebbe per la cd. ‘eterologa’) trattandosi di tecnica che romperebbe la necessaria uguaglianza e parità fra i coniugi, restando appagata sì l’attesa di esser genitori di entrambi – e già questo fatto andrebbe appurato a fondo, seriamente, e il farlo potrebbe portare la coppia a entrare in crisi -, ma assicurata in realtà la discendenza genetica e biologica solo di uno dei due. Che se poi quell’attesa è davvero comune a entrambi, meno innaturale e più rispettoso del valore della pari dignità e diritti/doveri dei coniugi è il ricorso all’adozione, se appunto a spingerli è una concorde e insopprimibile volontà comune ad avere dei figli da allevare   e soprattutto amare, non come egoistica proiezione di sé nel tempo, ma come persone da aiutare a realizzare il loro progetto di vita.

       Più complesso il discorso sugli embrioni in eccesso e sulla modalità della loro conservazione: per chi, muovendo da un presupposto ideologico materialista, non vi scorga niente più che un surplus di un qualsiasi prodotto appare logico, secondo un’impostazione di tipo utilitarista   non conservarli né disperderli ma avvalersene a fini di sperimentazione.

       Per chi abbia invece una concezione antropologica diversa, dal punto di vista della fede, affermante la sacralità della vita fin dal suo concepimento o considerante, dal punto di vista scientifico, che comunque quell’embrione dopo due settimane dall’avvenuta fecondazione è in grado di provare sensazioni di dolore e che potenzialmente è un altro figlio della coppia tanto desiderosa di averne, si impongono scelte di cautela e di rispetto per quest’altro prodotto ‘a tavolino’, assolutamente incolpevole, condannato ad essere eliminato, smaltito come un rifiuto speciale o, peggio ancora, ad essere letteralmente fatto a pezzi, utilizzato come cavia da laboratorio, quasi non meritasse la benché minima considerazione e non avesse quella dignità d’essere umano che otterrebbe se lasciato sviluppare. Se dei genitori con più figli ne prediligono uno e non provano uguali sentimenti d’amore per gli altri sono certamente considerati pessimi, se non degeneri. Qui la differenza sta a monte, nell’aver voluto un figlio e solo quello, ed aver rifiutato a priori l’altro: alla cecità del sentimento si aggiunge l’insensibilità della ragione.

       Non andare a votare per i referendum, visto che questi si propongono obiettivi intrinsecamente contrari ad una civiltà che fa di fede e scienza un binomio e non un’antitesi, assume un duplice significato politico: di volontà di veder fallire i quesiti referendari e di spingere il legislatore a modificare le norme in materia, alzando il numero delle firme da raccogliere e prevedendo l’addebito dei costi del referendum, qualora il quorum dei votanti sia inferiore al 50%, a carico del promotore o dei promotori.


Vittorio Benedetti



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