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  Considerazioni sparse sul dopo elezioni

Data di pubblicazione: Martedì, 20 Giugno 2006

Prodi Berlusca

Prodi Berlusca

TRAGUARDI SOCIALI / n.21 Giugno / Luglio 2006 :: Considerazioni sparse sul dopo elezioni

di Vittorio Benedetti


CONSIDERAZIONI SPARSE SUL DOPO ELEZIONI


       Finalmente è finita la più lunga e brutta campagna elettorale della storia repubblicana d’Italia. Ciò nonostante la partecipazione al voto è stata massiccia ed in controtendenza rispetto alle ultime volte. Merito della radicalizzazione dello scontro e della sua incertezza o anche, se non piuttosto, del ritorno al proporzionale?

       I commentatori politici, visti i risultati delle Regioni più popolose, sono concordi nel sottolineare come, mantenendo la vecchia legge elettorale, il Polo avrebbe avuto più deputati e senatori dell’Unione. Può darsi, ma non è detto ché molto avrebbe influito la scelta dei candidati nei singoli collegi, e comunque non è questo il punto su cui riflettere, salvo per arrivare alla conclusione che portando alla vittoria chi avrebbe ottenuto meno voti, ancora una volta avrebbe dato pessima prova di sé.

       Quando in occasione del referendum proposto dall’On. Mario Segni, anche come Mcl, trattandosi di tema politico di primaria importanza, ci confrontammo con estrema chiarezza e serenità di vedute, furono valutati i pro ed i contro del modello maggioritario e di quello proporzionale.

       Memori dell’appello ai Liberti e forti del Partito Popolare Italiano di Sturzo e De Gasperi non si poteva ignorare che per loro non sarebbe stato possibile realizzare una vera democrazia mantenendo il modello elettorale tipico dei regimi liberali Ottocenteschi e di quel primo Novecento, dove erano le élites dirigenti a scegliere i candidati, ad imporli grazie a un collaudato intreccio di interessi e camarille. Ma non si poteva neppure ignorare che la storia più recente aveva imposto, da un lato con la fine dello spettro sovietico e da un altro lato con sempre più rapidi e complessi processi d’integrazione planetaria impropriamente designati col termine di globalizzazione, di superare quel sistema elettorale proporzionale puro che di fatto poneva il potere esecutivo alla mercé di un parlamentarismo degenerato prima in senso partitocratrico e indi, minato questo da interessi corporativi, consociativi o dei soliti potentati economico-finanziari, sceso ad imboccare la via del voto di scambio, delle collusioni e delle tangenti rispetto alla quale il tribunale della Storia ha emesso una sentenza sommaria di condanna pur in presenza di una marea di sentenze assolutorie rispetto ad una pletora di rinvii a giudizio, che comunque sortirono l’effetto di eliminare dalla scena politica personaggi protagonisti da sempre e lasciati invece in pace altri, applicando agli uni un criterio e agli altri uno di senso opposto.

       La speranza che ad un diverso modello elettorale (che poi avrebbe portato alla luce quel bipartitismo che sino ad allora avevamo avuto, ma solo in modo imperfetto, secondo una felicissima espressione del grande politologo francese Duverger) si potesse legare un nuovo e più diretto rapporto eletti/elettori e creare le condizioni per assicurare una maggiore stabilità al governo che fosse stato varato dal leader del partito vincitore, ci indusse a nutrire grandi attese, anche se il pensiero che il correttivo al sistema proporzionale voluto da De Gasperi nel 1953, con sbarramento e premio di maggioranza per assicurare una governabilità al riparo da pressioni ed umori di questo o di quel “notabile”, non aveva niente di truffaldino ed aveva trovato applicazione felice in Germania ed in Francia ci convinceva maggiormente.

       Per Spinoza la libertà di una persona dotata di ragione si esprime non nel nuotare invano controcorrente rischiando di esserne travolti, ma nell’andare secondo corrente, però nel modo ritenuto più congeniale per arrivare all’approdo migliore. Analogamente, ritenemmo opportuno guardare con speranza all’introduzione di un sistema elettorale maggioritario per collegi uninominali all’inglese. L’esito plebiscitario del referendum è noto, come pure il modo con cui successivamente il Parlamento legiferò in materia, salvando capra e cavoli nelle intenzioni, con il cosiddetto ‘Mattarellum’, che alla prova dei fatti ha portato agli esiti paradossali sopra accennati: nel 1994, nel 1996, nel 2001 ha sempre vinto una coalizione minoritaria, o meglio non chi ha ottenuto più voti ma chi ha saputo vincere in più collegi uninominali, anche a costo di doversi scegliere alleati sgraditi ma necessari, seppur eterogenei rispetto alle linee guida indicate.

       Lo stesso sarebbe accaduto anche stavolta se non fosse stata cambiata la legge elettorale. Molti per questo hanno irriso il centrodestra che a maggioranza tale mutamento delle regole del gioco ha voluto per poi doversene dolere. Però dovremmo tutti riflettere e valutare ciò da politici che abbiano di mira il bene comune e gli interessi del Paese, anche se forse stanno divergendo e non poco. Cosa ha determinato nella sua concreta e reiterata applicazione il modello maggioritario? Ha avuto il difetto di creare a livello circoscrizionale e nazionale contrapposizioni che, portando all’esasperazione il confronto, hanno di fatto depauperato il ruolo di mediazione tipico del centro i cui elettori ed esponenti sono stati blanditi ma, una volta divisi, ridotti di peso politico oggettivo.

       L’esatto contrario produce ed ha prodotto ovunque un modello elettorale proporzionale, sia esso puro o corretto. Non a caso stavolta, seppure in un contesto radicalizzato e presentato da ultima spiaggia, si sono rafforzati in entrambi i fronti i partiti di centro, mentre le ali estreme, da una parte e dall’altra, hanno subito un ridimensionamento.

       Purtroppo, nonostante ciò, per gli accordi preeelettorali hanno poi dovuto pagare un grosso dazio, anzitutto a Bertinotti, che forse per smarcarsi ha preteso un ruolo istituzionale in nome del quale giustificherà eventuali rospi da ingoiare e, sul versante opposto, alla Lega, impegnandosi per un referendum che avrebbe dovuto essere evitato, andando a suo tempo la CdL alla ricerca di larghe intese su una riforma in senso federalista, ma solidale, dello Stato, arrivando a realizzare il sogno di Sturzo ed il suo “Appello ai liberi e forti” del 1918. Una preistoria che deve diventare storia, non per un vezzo, ma perché l’unità italiana, historia magistra vitae docet, o non c’è stata o è stata imposta da re, imperatori, dittatori o élites dominanti avulse dal popolo che pretendevano di guidare.

       Per non paralizzare l’attività parlamentare e del governo, archiviata la pratica referendum che meriterebbe di riscuotere lo stesso tasso di adesioni dell’anno passato, deve con forza riproporsi il tema delle riforme costituzionali, non per sbranarla ma per adattarla ad una realtà assai diversa da quando i nostri padri costituenti esattamente 60 anni fa vi misero mano. Molti punti di riferimento sono cambiati o spariti, così come molti pericoli allora incombenti: la monarchia , fascismo e comunismo, la divisione del mondo in blocchi, il modello industriale fordista, le teorie keynesiane, le illusioni circa una possibile terza via tra capitalismo e collettivismo. Ma altrettanti punti di riferimento odierni all’epoca erano forse impensabili: globalizzazione e regionalizzazioni, la nuova religione laica dei diritti umani, il trio ecologia, ambiente e sviluppo sostenibile, quella realtà sovrastatale che è l’Unione Europea, il crescere di tante giurisdizioni internazionali nuove, il multiculturalismo ed i vari etnocentrismi irrisolvibili in termini omologativi o d’egemonia culturale, le nuove tecnologie e tra esse quelle più insidiose, Internet e sistemi informatici, ma pure le bioingegnerie e tante nuove questioni bioetiche.

       Infine i problemi nuovi che i Costituenti non potevano prefigurare: del terrorismo, specie internazionale; d’una società in crisi profonda (a causa del benessere costruito a scapito della famiglia atomizzata, con un ruolo educativo cui ha largamente abdicato ma senza trovare efficaci surrogati, ed al contempo della precarietà economica, lavorativa, sentimentale ed affettiva, che va anch’essa immediatamente a colpire la famiglia); dello sfilacciamento dei vari sensi di appartenenza, con scadimenti vari, per non parlare del ruolo di guida de facto assunto dalle grandi concentrazioni multinazionali nel mondo della finanza, delle banche etc. Più uno di valore positivo, ossia il nuovo ruolo che nell’ordine internazionale ripolarizzatosi dopo il 1989, assumono gli interventi a fini umanitari in Patria (per profughi ed esuli davvero tali e per sviluppare la cooperazione allo sviluppo unica diga possibile per ragioni di giustizia, sempre foriera di pace, e per evitare di ripetere gli errori di nostri presunti antenati del IV-V secolo che credettero bastasse accogliere altri nostri presumibili antenati tenendoli alla larga e commissionando loro i lavori più umili e pericolosi) e là dove urgono interventi a fini umanitari o di vera e propria polizia internazionale.

       C’è dunque da rifare la cornice a tutta la nostra Costituzione e da adattarla alle nuove necessità, problemi e valori condivisi, non solo per risolvere questioni delicate di governabilità e di struttura stessa di uno stato altrimenti anacronistico.


Vittorio Benedetti

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