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  Luddisti o gucciniani?

Data di pubblicazione: Sabato, 24 Giugno 2006

TRAGUARDI SOCIALI / n.21 Giugno / Luglio 2006 :: Luddisti o gucciniani?

di Paolo Viana


LUDDISTI O GUCCINIANI?



       In Inghilterra, nel Settecento, c’era un tizio, Ned Ludd, che si divertiva a spaccare i telai meccanici perché temeva che sostituissero il lavoro operaio. Si sa com’è finita. Ludd fu impiccato e i telai meccanici proseguirono la loro marcia trionfale, molti tessitori artigiani persero il lavoro e molti altri acquistarono un nuovo telaio. Tre secoli dopo, la sinistra radicale ha assunto più o meno lo stesso atteggiamento sul tema delle grandi infrastrutture di trasporto. Contesta la realizzazione del Ponte sullo Stretto perché deturpa il paesaggio e disturba i pesci che nuotano tra Scilla e Cariddi, avversa il traforo delle Alpi adombrando rischi di inquinamento letali per le popolazioni, si schiera contro il Mose e si mobilita ovunque si accantieri un’autostrada…

       Questa strategia non riesce a convincere neppure un bambino se se ne discute pacatamente di fronte a una bibita ma muove migliaia di persone se si tratta di mettersi in marcia dietro a una bandiera. Come se in un corteo No Tav, No Ponte o No Mose contasse più il marciare che la direzione di marcia.

       In effetti, per chi scandisce il ritmo del cammino è proprio così: dopo aver abbandonato la lotta di classe, essendole preclusa una rotta riformista, la sinistra radicale che passa da Rifondazione Comunista, lambisce l’arcipelago verde e si ingrossa con il contributo dell’area extraparlamentare, ha scoperto che il dualismo “amicus-hostis” – essenziale per una forza politica di impronta massimalista – si può ricostruire solo anatomizzando quel progresso che l’ha guidata per due secoli verso il sol dell’avvenire.

       Spaccando il telaio sotto casa, Ned Ludd era convinto di togliere di mezzo tutti i telai del mondo. Molto meno ingenuamente, i rifondaroli verdi puntano a infrangere le speranze, appunto, “progressiste” dei cugini socialdemocratici, a contestare il modello di sviluppo dei Bersani, a dimostrare la fragilità dei progetti sottoscritti dalla Commissione europea guidata da Prodi e, da ora in poi, a mettere sotto tutela il programma politico-economico del nuovo governo. Pazienza, poi, se gli allarmi lanciati in Valle di Susa si dimostrano infondati e se il ponte sullo Stretto non è quella cattedrale nel deserto nata dall’immaginazione di quattro mafiosi ma un pezzo importante nel sistema delle reti internazionali di trasporto.

       La sensazione che, in questo confronto senza esclusione di colpi, Berlusconi non sia riuscito a difendere i propri progetti con convinzione e trasparenza è forte. Soprattutto nelle zone interessate dalle grandi opere, i cittadini hanno avuto la sensazione di dover scegliere tra no global sognatori e affaristi senza scrupoli. E nessuno scende in piazza per difendere il portafoglio degli altri. Di questa deriva si sono avvantaggiati, anche elettoralmente, i partiti della sinistra radicale ma, il che è più grave, essa ha messo in luce la debolezza delle forze intelligenti, quei moderati e quei riformisti che dovrebbero sapere come si governa il progresso. Questa latitanza, che è durata almeno fino alla fine dell’anno scorso, è un problema grosso anche per il nuovo governo, il quale, per quanto non sia previsto nel programma dell’Unione, dovrà porsi il problema di smorzare l’idea che la sinistra possa fare politica “socialmente giusta” solo con l’antagonismo. Per prima cosa, il Professore potrebbe chiedere a Pecoraro Scanio cosa c’entra l’ambientalismo con il veto su infrastrutture che promettono di alleggerire le nostre strade, pulire la nostra aria, salvare i monumenti della nostra Storia.

       Certo, anche le forze di centrodestra dovrebbero interrogarsi se basti delegare a ingegneri, seppur di vaglia, la progettazione di realtà ciclopiche, ingovernabili senza la politica, ma oggi tocca ai riformisti del centrosinistra, che hanno la responsabilità di governare il Paese, elaborare una risposta alle pressioni di chi fa dell’antagonismo un programma politico. Lungo questa strada, l’Esecutivo dovrà confrontarsi con un problema antico per la sinistra, quello della contrapposizione tra il sogno che costruisce una società diversa e l’utopia che, non riuscendo a farlo, si trasforma in rabbia distruttiva. Che esito debba avere questo dualismo lo cantava già negli anni Settanta Francesco Guccini con la sua “Locomotiva”, dove l’eroe della giustizia proletaria, che voleva distruggere il simbolo del progresso, veniva «deviato lungo una linea morta».


Paolo Viana

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