NOME UTENTE        PASSWORD  

Hai dimenticato la tua password?

Nell'ultimo numero di Traguardi Sociali:
Traguardi Sociali

Stai sfogliando il n.21 Giugno / Luglio 2006

Leggi la rivista in formato pdf Cerca numeri arretrati in archivio
.PDF Numero 21 (1864 KB) Sfoglia l'archivio di Traguardi Sociali Sfoglia l'archivio di Traguardi Sociali

  Per il sindacato non ci devono essere Governi ‘amici’

Data di pubblicazione: Giovedì, 29 Giugno 2006

TRAGUARDI SOCIALI / n.21 Giugno / Luglio 2006 :: Per il sindacato non ci devono essere Governi ‘amici’

Parla Raffaele Bonanni, nuovo Segretario Generale della Cisl


Parla Raffaele Bonanni, nuovo Segretario Generale della Cisl


PER IL SINDACATO NON CI DEVONO ESSERE GOVERNI 'AMICI'



       Abruzzese (di Bomba, in provincia di Cheti), classe 1949, Raffaele Bonanni è dal 27 aprile scorso il nuovo segretario generale della Cisl, eletto con consensi plebiscitari dal Consiglio generale (220 voti su 243 componenti) alla guida dell’organizzazione di via Po, secondo sindacato più grande d’Italia, dopo le dimissioni anticipate di Savino Pezzotta, che ha guidato la Cisl dal 2000 in poi. Accanto a Bonanni, il Consiglio generale ha eletto Pierpaolo Baretta in qualità di Segretario generale aggiunto.

       Sposato, due figli, cattolico convinto (è vicino al movimento dei catecumenali), uomo appassionato e dalla militanza tutta sindacale, cominciata nel 1972, Bonanni è stato segretario generale della Cisl di Palermo nei duri anni Ottanta, quando ha conosciuto l’ex Segretario generale Sergio D’Antoni, cui è legato da forte amicizia, e dal 1991 al 1998 è stato segretario dell’importante categoria degli edili. Entrato in Segreteria confederale nel 1998 (dove è stato riconfermato nel 2000 e nel 2005) si è occupato in modo attento e proficuo di politiche del lavoro, Mezzogiorno e sviluppo del territorio. Nel 2002 è stato tra i protagonisti della trattativa che si è conclusa con la firma del patto per l’Italia, patto che ha causato la rottura con la Cgil, ed è il più importante esponente dell’area “centrista” del suo sindacato ma anche della sua irrinunciabile vocazione all’autonomia e alla partecipazione.

       Brusco nei modi, all’apparenza, Bonanni è personalità forte dalle grandi passioni, a partire dalla musica, che conosce in profondità e che suona (chitarra, pianoforte e fisarmonica). Tosto e tenace, ha davanti sfide importanti ma per uno che ha combattuto la mafia, contrastato governi, stretto patti, conosciuto e apprezzato Marco Biagi e la sua riforma, non sarà difficile dimostrare le sue qualità.

Segretario, sembra che ormai il sindacato sia ovunque, dalle massime istituzioni in giù… E’ così?

       L’elezione di due ex sindacalisti come Franco Marini e Fausto Bertinotti tra le più alte cariche dello Stato non è l’apoteosi del “sindacato-politico”, anzi: rappresenta un legittimo riconoscimento alla funzione sociale e al ruolo di garanzia delle regole democratiche che il sindacato italiano ha avuto dal dopoguerra ad oggi. Basterebbe pensare agli anni difficili della lotta al terrorismo, al sacrificio di uomini vicini al sindacato come i riformisti Ezio Tarantelli, Massimo D’Antona, o Marco Biagi, ai grandi accordi di concertazione dei primi anni ‘80 e degli anni ‘90 che hanno consentito al Paese di sconfiggere l’inflazione ed entrare nella moneta unica europea. E’ una sfida che oggi si rinnova, per il sindacato, in una fase politica che si caratterizza per una maggioranza parlamentare non certo solida, con un bipolarismo sempre più caratterizzato dalla presenza vincolante delle ali estreme.

       Bisogna superare il clima di rissa continua, l’intolleranza alternativa, le esasperazioni di parte. Il Paese ha bisogno di essere governato e di ritrovare una unità di intenti sulle grandi scelte istituzionali, economiche e sociali. Per questo oggi è ancora più utile e necessario ripristinare la politica di concertazione, che è la strada per governare con la coesione sociale le società complesse. Ieri l’obiettivo era ridurre l’inflazione, oggi deve essere quello di favorire la crescita e lo sviluppo del Paese.

Già, il problema è ‘come’. Il sindacato sembra solo chiedere, chiedere, chiedere…

       Tutti gli indicatori economici sono fermi da tempo: Pil, produzione industriale, consumi, redditi. I lavoratori e i pensionati fanno una fatica immane ad arrivare alla fine del mese, alle prese ogni giorno con aumenti continui di prezzi e tariffe. Su chi devono ricadere i sacrifici per far ripartire il Paese e dove reperire le risorse per i necessari investimenti e far credibile un nuovo “patto sociale”? La Cisl ritiene che ciascuno deve mettere la sua parte, in uno “scambio autonomo”, con pari assunzione di responsabilità. Ogni volta che le parti sociali hanno rinunciato al confronto, è intervenuto il legislatore, creando divisioni ideologiche e conflitti sociali.

       E’ il caso della legge Biagi. Per questo bisogna ripristinare la contrattazione sulle materie del lavoro. La flessibilità ha bisogno di più tutele sul piano salariale e contributivo per sostenere il reddito con ammortizzatori sociali, servizi e incentivi al reinserimento, aiuti alla famiglia. Ma il punto centrale rimane la riforma contrattuale: il sistema creato nel 1993 non è più adeguato alle esigenze del mondo produttivo. Per competere c’è bisogno di fare più qualità e maggiore partecipazione perché dove si crea più ricchezza ci saranno più risorse da distribuire per i lavoratori.

Già, però Confindustria nicchia e la Cgil punta al rapporto preferenziale con il governo Prodi…

       La Confindustria deve dire con chiarezza se vuole davvero cambiare le regole del 1993 e la Cgil deve uscire dalla sua posizione conservatrice ed ideologica, dimostrando di voler praticare nei fatti una linea riformatrice. Per noi è indispensabile estendere il secondo livello in tutti i posti di lavoro, sia nel privato sia nel pubblico impiego, legando il salario ai risultati e alla produttività. E il Governo deve saper guidare questo necessario clima di cooperazione per ricreare le condizioni di un nuovo circolo virtuoso.

       Noi siamo pronti a concedere flessibilità in cambio di più salario e più tutele. E’ la contrattazione collettiva che garantisce gli interessi del singolo individuo. Questa resta la strada per un rapporto paritario e non subordinato tra impresa e lavoratori.

       Per favorire il nuovo “patto” che chiediamo è essenziale ripristinare la politica dei redditi, far partire la previdenza integrativa, combattere l’evasione, controllare i prezzi e le tariffe, concordare insieme nuove regole nelle liberalizzazioni, contro gli assetti monopolistici, le scalate speculative, le svendite agli stranieri del patrimonio pubblico (vedi lo scandaloso caso di Autostrade). La Cisl si batte per guadagnare una autentica collaborazione e coesione sociale, capace di mobilitare tutte le energie del Paese, sapendo che per il sindacato non ci devono essere governi “amici”. La nostra politica è la “concertazione”, oggi ancora più necessaria per unire il Paese e dare ad esso una svolta positiva.

Tocchiamo un tema dolente e insieme a lei molto caro. Flessibilità, precarietà e legge Biagi.

       I mercati del lavoro in cui esiste una flessibilità governata dalle parti sociali, garantendo le giuste tutele, al di fuori del rapporto di lavoro, in termini di ammortizzatori sociali, sostegni al reddito, servizi, formazione continua, e incentivi per il reinserimento, funzionano meglio. In Italia invece la flessibilità è diventata solo una deroga alla rigidità del sistema, un modo per ridurre i costi delle aziende. Il lavoro flessibile dovrebbe essere retribuito in misura maggiore rispetto a quello stabile.

       Occorre dunque dare maggiori tutele al lavoro flessibile, aumentando i contributi, e costruendo le condizioni per stabilizzare il rapporto di lavoro attraverso i giusti incentivi fiscali e contributivi.

    La Biagi, come tutte le leggi, contiene luci ed ombre. La riforma delle collaborazioni coordinate continuative è uno dei suoi punti più importanti. Mancano però gli ammortizzatori sociali, uno Statuto dei lavori che assicuri tutele di basi comuni per le diverse forme di contratto di lavoro. Un fatto è certo però: la precarietà non l’ha fatta la riforma Biagi e sopprimerla vuol dire aumentarla. Bisogna ristrutturare l’impianto dei diritti e dei doveri perché è la flessibilità senza tutela che causa precarietà, non la legge. Serve un tavolo di lavoro concertativo, in primo luogo tra le parti sociali, che devono sviluppare una gestione negoziale: quando interviene il legislatore vuol dire che le parti sociali sono state latitanti. La tutela dei lavoratori la fa molto meglio la contrattazione collettiva!

Si parla molto di riformare il sistema di welfare italiano. Quale il modello migliore, secondo lei?

       I nostri riferimenti valoriali sono per un welfare che miri ad affermare eguaglianza, dignità sociale e partecipazione. Qualsiasi riforma non può prescindere dalla centralità della persona e delle sue relazioni nella comunità, dal pieno esercizio dei diritti di libertà civile e politica. In Italia ci vuole una rinnovata politica sociale a partire dalla definizione dei nuovi livelli essenziali di assistenza sociale e del loro adeguato finanziamento, in modo da offrire un quadro certo di riferimento per la programmazione regionale e territoriale. Occorre mettere la famiglia al centro di tutte le politiche pubbliche, sostenendo la rete di relazioni e di rapporti che al suo interno si sviluppano. La costituzione di un fondo per le persone non autosufficienti, alimentato dalla fiscalità generale, è una componente essenziale di un nuovo welfare, assieme a forme di adeguamento delle pensioni da definire nel negoziato con le parti sociali, e al contempo facendo partire la previdenza integrativa.

Da quanto dice immagino sia d’accordo che la famiglia è tuttora un fattore fondante della società.

       Sì, ma non ci si può fermare qui. La famiglia deve essere messa al centro di tutte le politiche pubbliche, sostenendo positivamente la rete di relazioni e rapporti che al suo interno si sviluppano. In Italia siamo molto indietro e sono ancora molto scarse le vere misure a favore della famiglia. Si dovrebbe ricorrere al parametro-famiglia per il fisco, i servizi sociali, l’organizzazione degli orari, i trasporti, l’istruzione, la casa. E soprattutto bisognerebbe sostenere la maternità, conciliare meglio i tempi di vita ed i tempi di lavoro in modo da favorire l’occupazione femminile, sostenere il carico di cure gravanti sulle famiglie, anche attraverso una adeguata politica di servizi per l’infanzia.

Cosa significa per Lei il principio di sussidiarietà e quale ruolo ha nell’attività del suo sindacato?

       Per un sindacato come la Cisl, solidale e fondato sui valori della persona, la sussidiarietà è un modo per valorizzare la partecipazione responsabile dei cittadini all’organizzazione della società. Lo Stato da solo non ce la fa a svolgere tutte le funzioni: ha bisogno dell’aiuto dei corpi intermedi, di una società che si auto-organizza, che produce efficienza, solidarietà, servizi, crescita della comunità. Per noi si tratta di difendere e promuovere un assetto istituzionale che non solo riconosca ma sostenga l’iniziativa delle forme organizzate della società civile, che si esprime nella sussidiarietà. Per questo siamo scesi in campo con forza per dire no al referendum sulla riforma costituzionale. Sono le autonomie sociali, ricche della responsabilità diretta della società civile organizzata, che devono costruire e alimentare il nuovo federalismo solidale.

Il Mcl si spende molto nella cooperazione e integrazione internazionale, in particolare nei Balcani. Lei cosa ne pensa?

       L’allargamento dell’Unione Europea a 25 Stati è un percorso cui la Cisl, in continuità con la sua ispirazione europeista di sempre, guarda positivamente. Il completamento dell’allargamento a Romania e Bulgaria apre la strada dell’Europa anche all’area balcanica. Noi vogliamo una Europa non solo economica ma anche politica e sociale. Senza investimenti congrui e una forte crescita che generi lavori, rischia di allargarsi il divario tra i Paesi: l’integrazione deve essere piena ed efficace. Ecco perché è decisiva la cooperazione internazionale e il lavoro che svolgono tutte le organizzazioni del terzo settore, a cominciare dal Mcl, in questi Paesi per la promozione del lavoro, per la lotta alla povertà, l’istruzione dei bambini e il rispetto dei diritti fondamentali della persona.


Ettore Colombo

 Torna ad inizio pagina 
Edizioni Traguardi Sociali | Trattamento dati personali