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  Lavorare per combattere la dipendenza

Data di pubblicazione: Lunedì, 8 Gennaio 2007

TRAGUARDI SOCIALI / n.24 Gennaio / Febbraio 2007 :: Lavorare per combattere la dipendenza

Le innovative proposte di due Premi Nobel


Le innovative proposte di due Premi Nobel

LAVORARE PER COMBATTERE LA DIPENDENZA



       Come riportato nella Populorum progressio “Lo sviluppo integrale dell’uomo non può avere luogo senza lo sviluppo solidale dell’umanità”. “E’ dunque compito dei credenti – in collaborazione con tutti gli uomini e donne di buona volontà – contribuire alla comprensione dei meccanismi sociali ed economici che hanno come conseguenza la violazione della dignità dell’uomo, per individuare, con fatica e non senza contraddizioni, obiettivi, mezzi e forme organizzative per apportare i necessari correttivi (…). Le scienze sociali ed economiche possono offrire un contributo importante, nella consapevolezza degli ambiti di loro competenza e della necessità di una complementarità con discipline di altra natura” (AA.VV.   - Etica, sviluppo e finanza – EDB, Bologna, 2006, p.6). Certamente due uomini di buona   volontà sono Muhammad Yunus ed Edmund Phelps, due economisti, che si sono aggiudicati nel 2006, rispettivamente, il premio Nobel per la pace e per l’economia. Infatti, con la loro attività di ricerca hanno contribuito a migliorare la comprensione ed il funzionamento del mercato del credito e di quello del lavoro.

       Mentre nel prosieguo dell’articolo ci occuperemo delle proposte di Phelps ora accenneremo all’idea rivoluzionaria di Yunus che ha contribuito a ridurre la povertà nelle zone rurali dei Paesi in via di sviluppo che l’hanno applicata. La sua invenzione della “finanza popolare” definita anche “microfinanza” si pone l’obiettivo di mettere in opera risorse finanziarie e materiali spesso disperse rendendole di nuovo fruibili, di restituire speranza e distribuire opportunità alle persone, consentendo loro di poter mettere a frutto le proprie potenzialità. Nella sua semplicità questa proposta ha il merito di combinare l’obiettivo delle pari opportunità all’interno della società di appartenenza con quello dello sviluppo economico, in quanto quest’ultimo è strettamente legato all’occasione che deve essere concessa a tutti gli uomini di buona volontà di sviluppare le proprie vocazioni. Il segreto della microfinanza sta nella capacità di far leva sui fattori immateriali, trascurati dalla finanza tradizionale, che costituiscono le vere determinanti della giustizia sociale ed il volano per lo sviluppo: la dignità umana, la stima ricevuta all’interno del proprio ambiente sociale e la qualità delle relazioni tra i membri di una comunità locale. Insomma con “microfinanza” si intende quell’insieme di servizi che vanno dalla raccolta del capitale finanziario esistente, al suo utilizzo per il finanziamento di attività di consumo o investimento all’interno di un sistema economico locale.

       Ora, nella speranza di essere riuscito ad incuriosirvi sulla semplice ma efficace trovata di Yunus (che tratterò diffusamente in un prossimo articolo) passo ad occuparmi della proposta di Phelps. L’economista della Columbia, nel solco delle Encicliche sociali dedicate ai temi del lavoro, e da lui non prese in considerazione, parte col riconoscere che lavorare è anzitutto un valore in sé. Non tanto perché “chi lavora non mangia”, essendovi oggi degli ammortizzatori sociali, convenzionali e non, che assicurano la mera sussistenza; ma perché lavorare significa “guadagnarsi con i propri sforzi la possibilità di godere di un tenore di vita accettabile, di avere una famiglia, di partecipare in qualche misura alla vita della comunità”, mentre la dipendenza dagli altri per il proprio sostentamento distrugge la propria autostima. Salari, occupazione e disoccupazione non possono poi essere trattati come il prezzo e la quantità di un qualsiasi bene, a motivo delle pesanti ricadute sociali che sono connesse al lavoro ed al non lavoro. Per questo il lavoro non deve essere lasciato alle spietate leggi del suo mercato che è portato ad escludere i lavoratori svantaggiati. L’inoccupazione regolare di una parte consistente della popolazione provoca gravi danni alla società: alle famiglie di coloro che non riescono ad entrare stabilmente nel mondo del lavoro, come all’intera società, sia attraverso la rottura degli equilibri sociali sia per la riduzione della produttività del sistema e sia per l’aggravio dei costi sul bilancio pubblico.

         Ecco nella sua semplicità estrema la questione da affrontare. Per gruppi consistenti di lavoratori il salario calcolato in base alla produttività sociale del loro lavoro, che ingloba i benefici sociali che deriverebbero dal passaggio dal non lavoro ad una occupazione regolare, supera e non di poco, il salario rapportato alla produttività del settore privato, che è quanto essi possono ottenere secondo le leggi di mercato. E’ dunque necessario che lo Stato intervenga per colmare questa differenza, finanziando il lavoro, piuttosto che il non lavoro, come fanno i tradizionali sistemi di welfare.

       Quando la produttività privata sia bassa e parimenti basso il salario offerto, per “premiare il lavoro” in misura sufficiente a stimolare sia la domanda sia l’offerta di occupazione regolare nelle fasce di lavoratori svantaggiati, deve essere corrisposto un sussidio all’occupazione, tale da rendere il guadagno appetibile per il lavoratore, senza costo per l’impresa. Questa è nella sua essenza la proposta di Phelps. Nella speranza di avervi incuriosito vi rimando al prossimo numero di Traguardi sociali e ad un Working paper del Dipartimento studi del Mcl, di prossima pubblicazione, in cui si analizzano in dettaglio le proposte dei due premi Nobel.


Marco Boleo

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