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  Una Finanziaria più ombre che luci

Data di pubblicazione: Martedì, 9 Gennaio 2007

TRAGUARDI SOCIALI / n.24 Gennaio / Febbraio 2007 :: Una Finanziaria più ombre che luci

Parla Sergio Betti, Segretario confederale Cisl


PARLA SERGIO BETTI, SEGRETARIO CONFEDERALE CISL
UNA FINANZIARIA PIU' OMBRE CHE LUCI


Una legge Finanziaria “più ombre che luci”, interventi per il sociale “minimi e inadeguati”, un’assenza di dialogo con interi pezzi del Governo (Ministro della Solidarietà sociale in testa), un rischio, per il mondo del non profit, praticare “dumping sociale” a danno dei suoi lavoratori. E infine, un appello ai moderati a cavallo tra politica, sindacato e associazionismo e in particolare nell’area moderata: nel rispetto dell’autonomia di ognuno, “impegnarsi di più per il bene comune”. Queste le parole clou di Sergio Betti, toscano calmo e signorile come ricco di passioni e volontà nell’agire e nel pensare, una brillante quanto discreta carriera dentro la Cisl, di cui oggi è segretario confederale con delega alle Politiche sociali e alla Salute e di cui è stato segretario organizzativo.


Segretario, quale bilancio si può trarre della legge Finanziaria appena approvata dalle Camere?

       Più ombre che luci, direi. Si poteva fare una Finanziaria meno onerosa per lavoratori dipendenti e pensionati: al di là delle compensazioni sul lato dell’Irpef, infatti, l’aggravio delle tasse dirette e indirette è forte, per loro. Per fare un esempio, l’aliquota Irpef sulla prima casa torna ad essere base imponibile su cui vengono applicate le tasse, per non dire degli aumenti dei contributi previdenziali. Del resto, la modifica della base imponibile dell’Irpef ha un effetto diretto sulle addizionali regionali e comunali a causa del passaggio dal sistema delle detrazioni sul reddito a quelle delle detrazioni d’imposta. Oggi l’imponibile si calcola su tutto il reddito mentre le deduzioni agivano come deduzioni di reddito. Cambiando la base imponibile, sale il loro peso. Per non dire dei ticket sanitari, che gravano in modo significativo sulle famiglie, e delle imposte indirette, in aumento.

Insomma, un bilancio negativo…

       Sì. In sostanza, si tratta di una manovra economica segnata da troppe tasse ed eccessivo prelievo fiscale, che rischia di penalizzare fortemente i consumi, che possono raffreddarsi, e rallentare la crescita. Inoltre, la riduzione del cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti che arriva attraverso la rimodulazione dell’Irpef, ha effetti marginalmente visibili solo per i lavoratori dai redditi più bassi.

Cosa manca, sul piano sociale?

       Non c’è nulla in fatto di risorse per la lotta alla povertà né vi sono risorse per sostenere realmente il lavoro flessibile e precario, ma solo l’aumento della contribuzione per i co.co.pro., e di ben 5 punti, in cambio di un po’ di diritti in tema di maternità e malattia. Inoltre, non c’è nulla in tema di ammortizzatori sociali, che anche i lavoratori precari hanno diritto ad avere. Infine, c’è troppo poco per la non-autosufficienza e nessun vero strumento di contrasto all’impoverimento delle famiglie. Di nuovo, ci sono i 100 milioni per asili nido e scuole materne, una cifra importante, che va nella direzione giusta, ma inadeguata soprattutto ai bisogni delle giovani coppie di lavoratori flessibili, cui non basta contenere i costi dei servizi, ma che hanno bisogno di vere politiche familiari di sostegno, a partire dal problema orari. Stiamo lavorando con il ministro Bindi in modo collegiale, mentre devo lamentare l’assenza di rapporti con il ministro Ferrero, nonostante molte sollecitazioni. Invece il Patto per la salute stipulato tra governo ed enti locali ha contenuti buoni: l’intenzione del Governo è di ricercare una misura dell’appropriatezza della spesa sanitaria e contenerne i costi.

Parliamo dell’accordo sul Tfr e del memorandum d’intesa per la riforma delle pensioni.

       In tutta la vicenda del Tfr c’è solo un dato positivo: è partita finalmente la previdenza complementare. L’accordo fatto sul Tfr solo grazie all’intervento del sindacato è riuscito a modificare l’impostazione originaria data dal Governo, che era inaccettabile. Per quanto riguarda il deposito presso l’Inps del Tfr inoptato per le aziende sopra i 50 dipendenti è il risultato di una mentalità che vede solo nel sistema pubblico la fonte di garanzia. Mi auguro solo che tutti i lavoratori scelgano di avvalersi del sistema di previdenza complementare e dei fondi di categoria.

       Per quanto riguarda le pensioni, la necessità di alzare non solo le pensioni minime ma anche quelle al di sotto dei mille euro al mese è inderogabile: per effetto dell’euro la perdita del loro potere d’acquisto è davvero preoccupante. Al tavolo governosindacati bisognerà dunque guardare innanzitutto a come aumentare gli assegni pensionistici in maniera proporzionale al costo della vita. Più che una nuova riforma, comunque, vedo una manutenzione del sistema esistente, la legge Dini, colpendo i privilegi che ancora non sono stati colpiti e individuando i lavori realmente usuranti. L’unica novità potrebbe essere quella di introdurre un sistema di incentivi per chi resta al lavoro, mentre come sindacato siamo contrari ai disincentivi. Si possono individuare però elementi di flessibilità sull’età anagrafica e contributiva per spalmare su una platea più ampia di contribuenti gli effetti dell’eliminazione dello scalone, che provoca problemi sul lato della spesa. Non si può allungare l’età lavorativa di diversi anni e di colpo, ma di diversi mesi e in modo graduale sì.

Quale lo stato dei rapporti tra sindacato e Terzo settore e quali problemi vedi?

      Il rapporto con il Terzo settore, che ha un ruolo cruciale nella organizzazione dei servizi alla persona e alle famiglie e fa crescere il Pil, grazie agli occupati che coinvolge, è molto importante. Ma bisogna stare attenti: è un mondo vasto, variegato, e c’è un rischio, che con il decentramento di servizi fino ad oggi in carico alle istituzioni locali si instaurino meccanismi di dumping sociale a danno dei suoi stessi lavoratori. Innanzitutto va distinta bene l’area del volontariato ‘puro’ da quella del non profit organizzato. Inoltre, una cooperativa sociale deve produrre profitti sul lato dell’organizzazione del lavoro, non riducendo i salari dei suoi dipendenti. Ecco perché bisogna aprire una discussione seria su tutte le fasi di esternalizzazione dei servizi alle imprese sociali: l’elemento innovativo sta nel dare ai cittadini servizi accessibili, non certo nel risparmiare sui salari.

Questo giornale ci tiene a una tua considerazione finale sui rapporti tra associazionismo e politica.

       L’autonomia dell’associazionismo e del sindacato resta un valore da riaffermare sempre ma è l’ora di sviluppare nuovi rapporti tra l’associazionismo collettivo di area moderata (Cisl ed Mcl in testa) e la politica che ha davvero a cuore il bene comune del Paese e non solo di una parte di esso. Un confronto che ha bisogno di una rete di contatti, di esperienze, di rapporti per far vincere un modello virtuoso di politica, che sia fatto di partecipazione, ricerca del bene comune, contenuti forti. In particolare, le tradizioni associative che vengono dalla Dc, oggi diversamente collocate nei poli ma di certo affini ai partiti del centro politico, devono trovare forme di sinergia e collaborazione per richiamare alla politica su temi concreti, dal lavoro ai giovani alla solidarietà, e porsi l’ambizione di migliorare gli assetti politici attuali a partire dai contenuti, non dalle ideologie.


Ettore Colombo

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