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  Editoriale

Data di pubblicazione: Venerdì, 12 Gennaio 2007

TRAGUARDI SOCIALI / n.24 Gennaio / Febbraio 2007 :: Editoriale

Il coraggio di essere Riformisti


IL CORAGGIO DI ESSERE RIFORMISTI


       Non ci stancheremo mai di ripeterlo: senza una proposta riformista di democrazia sociale e di democrazia economica avanzata, l’Italia rimarrà impantanata nelle secche dei corporativismi e dell’antagonismo.

       La vera anomalia italiana è di tipo culturale e va ricercata nell’intensità e nella violenza di un tipo di conflitto sociale che da tempo ha superato i livelli di guardia. Ciò che ha smesso di funzionare sono le relazioni industriali, oggi ridotte a poco più di un “feticcio”: non solo incapaci di ridurre il grado di litigiosità ma, anzi, esse stesse divenute una delle principali cause del conflitto, come risulta dalla miriade di scioperi politici, per non parlare di quelli sempre più numerosi motivati da ragioni di mera concorrenza tra le diverse sigle sindacali. La vera svolta non può che essere culturale, e cioè il rifiuto di una cultura sindacale e giuridica del lavoro di tipo antagonista.

       Cosa ancora possibile a condizione che le (poche) forze relativamente riformiste in campo sappiano compiere scelte coraggiose e per questo anche impopolari.

       E’ indispensabile rendere più efficienti le strutture del Mercato, anche con vere politiche di liberalizzazione (cose diverse dalla privatizzazione Telecom del Governo D’Alema), significa rendere più sostenibile la maggiore socialità, grazie ad un’economia più competitiva; significa non ridurre, ma accrescere ulteriormente l’equità sociale. Maggiore concorrenza vuol dire vantaggio del consumatore rispetto all’impresa protetta, dell’impresa minore rispetto all’impresa dominante, dell’utente di servizi pubblici rispetto a categorie che a volte godono di privilegi ingiustificati. A vantaggio soprattutto dei giovani senza lavoro (o veramente precari), che solo da riforme e da un’economia più competitiva, meno zavorrata da chiusure corporative, possono attendersi un futuro di speranza.

       Come possono forze importanti della società italiana (i sindacati) spiegare ai loro aderenti, ai ceti che ritengono di rappresentare, un’opposizione a misure che darebbero, a questi, vantaggi e maggiore dignità, riducendo i privilegi di altre categorie sociali oggi più favorite? Facendo così si opera (involontariamente?) per “un’arcaica conservazione capitalistica”, si aiutano di fatto le forze corporative a mantenere il capitalismo italiano in una condizione inefficiente, a danno dei più deboli: e noi qualche interrogativo dobbiamo pur porcelo.

       Oggi il lavoro è senza rappresentanza politica. Come rappresentare veramente lavoro e lavoratori è un quesito che tutte le forze responsabili devono porsi. Il Sindacato deve interrogarsi sulla sua rappresentanza sociale: nel Sindacato il rischio è il corporativismo. Mettere al centro lavoro e diritti non vuol dire né guardare al passato né essere (per forza) “di sinistra”, ma interrogare e sfidare (con proposte riformiste) temi come innovazione, formazione, efficienza e chiedere profondi cambiamenti, a partire dall’azione di Governo. Le dimissioni dai DS dell’economista Nicola Rossi sono un segnale forte: da noi più che altrove efficienza, competizione e meritocrazia si accompagnano per gran parte della strada a equità e giustizia sociale.

         Riformiamo la pubblica amministrazione rendendola più efficiente; nelle Università e nell’intero settore pubblico vanno smantellate le norme che sostengono collusioni corporative e impediscono ai giovani “capaci e meritevoli” di affermarsi; affrontiamo il tema pensioni preoccupandoci dei giovani, ma occupiamoci anche dei costi, diventati eccessivi, della politica e degli stipendi dei “super-manager” (che spesso gestiscono aziende inefficienti). E rivendichiamo con orgoglio le riforme che proponiamo.


Carlo Costalli

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