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  Il viaggio in Turchia, le ragioni di Benedetto XVI

Data di pubblicazione: Mercoledì, 10 Gennaio 2007

TRAGUARDI SOCIALI / n.24 Gennaio / Febbraio 2007 :: Il viaggio in Turchia, le ragioni di Benedetto XVI

Il Papa ai turchi, libertà e carità


IL VIAGGIO IN TURCHIA, LE RAGIONI DI BENEDETTO XVI


       Abbiamo trepidato per lui e per noi. L’abbiamo pure scritto, quel viaggio in Turchia di Benedetto XVI partiva sotto i peggiori auspici. Un clima politico ostile, le polemiche non ancora sopite dopo le parole di Regensburg, i cristiani e i cattolici costretti a vivere in una oscura marginalità. Il viaggio del Papa in Turchia, programmato dal 28 novembre all’1 dicembre, non aveva nessuna delle caratteristiche di festosità che siamo abituati a considerare, a vedere, ad auspicare. Speriamo che non gli spari qualche matto, è una delle frasi sentite dire in giro poco prima che partisse. Ma chi glielo ha fatto fare, dicevano altri, a insistere nel suo programma di recarsi nel Paese del Bosforo a incontrare i pochissimi cattolici locali, a riannodare le fila dell’ecumenismo con il Patriarca ortodosso Bartolomeo I, a guardare negli occhi coloro che per primi lo hanno attaccato dopo le dure parole sull’Islam.

      Avevano ragione tutti, a dubitare, avevamo ragione anche noi. Ma l’orizzonte della fede e le scelte che essa detta agli uomini camminano sempre su di un piano superiore, spesso ignoto ai più, il piano della carità e della comprensione, il piano del coraggio. Nessuna delle nostre critiche alla situazione turca può essere ritrattata, nessuna delle paure suscitate da un Paese dove non vige libertà religiosa e culturale e politica all’infuori del recinto islamico, può essere ignorata. Ma il Papa ha avuto ragione su tutti i dubbiosi, con la sua ostinata voglia di andare in Turchia, l’ostinazione dei buoni, la forza dei miti, il coraggio di chi è capace di gesti d’amore. Così il viaggio in Turchia è stata l’occasione per un disgelo impensabile con le autorità politiche di quel Paese, che pure hanno cercato e realizzato forzature, cercando di far dire al Papa anche cose magari non dette, e obbligando Benedetto XVI a mettere in pratica ciò che di più bello e di più grande la fede cristiana insegna ai suoi, cioè la virtù della carità. Carità nel rapporto con i potenti, carità di fronte alla maleducazione istituzionale annunciata fino a poche ore prima che l’aereo atterrasse, cioè di non concedere l’accoglienza formale che spetta a un’autorità che ha il rango del Papa. Carità nel pregare nella famosa moschea blu e nel tenero desiderio di poter visitare questo luogo di fede. Carità nel recarsi pellegrino e rispettoso eppure intimidito di fronte alla casupola di Efeso che la tradizione vuole sia stata l’ultima dimora di Maria.

       Benedetto XVI non si è rimangiato nessuna delle cose che ha sempre detto a proposito della libertà della fede, della libertà dell’amore, della forza della ragione, dell’impossibilità che la fede si faccia strada con la violenza anziché con la libertà. Le ha ripetute e spiegate con mitezza e fermezza, le ha rinnovate come proposta di dialogo. E ne ha ricevuto apprezzamento e stima, ne ha ricavato simpatia e cordialità.

       Il popolo turco, come hanno riferito i giornali, seppure non ha incontrato il Papa in nessuna manifestazione pubblica, ha seguito passo passo la visita papale incollato davanti ai televisori. Un Paese immobile, con il respiro trattenuto dall’attesa e dalla voglia che qualcosa accadesse, in quei giorni, un incontro che mostrasse il rovescio della medaglia, cioè che ci si può parlare, ci si può capire. Un popolo che voleva conoscere questo Papa, di cui aveva sentito critiche d’ogni genere, ma che non aveva mai ascoltato e seguito in presa diretta. E alla fine il popolo ha apprezzato, ha capito. La freddezza e l’ostilità si sono trasformate in simpatia, l’allerta psicologico di fronte a un possibile nemico che viene in casa si è tramutato in voglia di ascolto. Aveva ragione Benedetto XVI a voler fare quel viaggio, a voler incontrare quel Paese, quei cattolici sparuti, quel Patriarca ortodosso fratello nella fede. Aveva ragione il Papa a voler giocare la carta dell’incontro con una nazione a grande prevalenza musulmana, invece della carta della chiusura e della paura.

      Il ritorno a Roma di Benedetto XVI è stato per molti un sospiro di sollievo, ma quel sospiro è diventato nulla, di fronte alle attese e agli orizzonti nuovi che quel viaggio ha aperto. Non ci facciamo troppe illusioni, certo, ma il seme è piantato. Non crediamo che dalla sera alla mattina, le libertà che non c’erano ci saranno; o che la tolleranza che mancava in terra di Turchia, si farà viva all’improvviso in groppa a un cavallo bianco. I problemi che c’erano restano intatti. Ma il velo della separazione, quello che genera ostilità e incomunicabilità, quello che suscita i rancori, ecco quel velo è stato stracciato. E ciò ha reso onore anche al povero don Andrea Santoro, il parroco di Trebisonda, titolare di una parrocchia di poche anime, testimone cristiano fino all’estremo, ucciso due anni fa da uno dei tanti musulmani che odiano i cristiani in quanto tali. Quel viaggio era stato pensato e voluto per quel povero prete romano, per mandare un segnale alla Turchia musulmana, ma soprattutto ai cattolici turchi, che la Chiesa non li ha dimenticati e abbandonati. Quel viaggio era stato pensato per ritrovare nel dialogo con la comunità ortodossa, un legame antico, e rilanciare l’unità dei cristiani che al Papa sta molto a cuore.

       Non crediamo di esagerare se affermiamo che in Turchia nulla sarà più come prima nei rapporti con il Papa di Roma e con i cristiani. Certo, non mancheranno i fanatici, né suoneranno le campane a festa per un Paese che ha fatto del laicismo forzato in salsa islamica, il suo credo pubblico. Ma nulla sarà più come prima.


IL PAPA AI TURCHI, LIBERTA’ E CARITA’


      Ad Ankara, prima al “Diyanet” per gli affari religiosi e poi al corpo diplomatico, Benedetto XVI ha messo al centro di entrambi i discorsi la questione della libertà. Ha raccomandato “autentico rispetto per le scelte responsabili che ogni persona compie, specialmente quelle che attengono ai valori fondamentali e alle personali convinzioni religiose”. E ha aggiunto che “la libertà di religione, garantita istituzionalmente ed effettivamente rispettata, sia per gli individui come per le comunità, costituisce per tutti i credenti la condizione necessaria per il loro leale contributo all'edificazione della società, in atteggiamento di autentico servizio, specialmente nei confronti dei più vulnerabili e dei poveri”.

       “Come esempio del rispetto fraterno con cui cristiani e musulmani possono operare insieme” il Papa ha citato “alcune parole indirizzate da papa Gregorio VII, nell’anno 1076, ad un principe musulmano del Nord Africa, che aveva agito con grande benevolenza verso i cristiani posti sotto la sua giurisdizione. Papa Gregorio VII parlò della speciale carità che cristiani e musulmani si devono reciprocamente, poiché ‘noi crediamo e confessiamo un solo Dio, anche se in modo diverso, ogni giorno lo lodiamo e veneriamo come Creatore dei secoli e governatore di questo mondo’”.

       Ai diplomatici, Benedetto XVI ha ricordato che “la Costituzione turca riconosce ad ogni cittadino i diritti alla libertà di culto e alla libertà di coscienza”. E ha aggiunto: “è compito delle autorità civili in ogni Paese democratico garantire la libertà effettiva di tutti i credenti e permettere loro di organizzare liberamente la vita della propria comunità religiosa. [...] Ciò implica che le religioni per parte loro non cerchino di esercitare direttamente un potere politico, poiché a questo non sono chiamate e, in particolare, che rinuncino assolutamente a giustificare il ricorso alla violenza come espressione legittima della pratica religiosa”. Il Papa ha concluso citando la lettera di Paolo ai Galati (5, 13): “Voi fratelli siete stati chiamati a libertà. Purché questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne ma mediante la carità, siate a servizio gli uni degli altri”.

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