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  Meridione, questione sempre aperta

Data di pubblicazione: Martedì, 9 Gennaio 2007

TRAGUARDI SOCIALI / n.24 Gennaio / Febbraio 2007 :: Meridione, questione sempre aperta

di Vincenzo Conso


MERIDIONE, QUESTIONE SEMPRE APERTA



       Il tema della “questione meridionale” è tornato di attualità in queste ultime settimane, anche a proposito di alcuni recenti provvedimenti del Governo.

      In realtà, oggi, quando si parla di “questione meridionale”, bisogna tornare a dire che essa non è solo una questione di carattere economico, ma una questione anche di carattere religioso, culturale, umano e morale. E’, cioé una questione che riguarda il vissuto degli uomini, quindi è un problema di valori umani.

       E’ anche una questione di carattere nazionale e fino a quando non ci sarà una presa di coscienza in tale direzione, i problemi resteranno insoluti. Ritengo che sia necessario avviare a conclusione un processo storico di liquidazione di passati equilibri, inserendo il Sud nell’Europa, recuperando pienamente la visione sturziana, che è attualissima e quindi battendosi per una soluzione rispettosa delle caratteristiche etniche e culturali delle aree meridionali.

      Credo che, d’accordo con illustri meridionalisti, i guai sono venuti proprio perché si è dimenticato il richiamo di Sturzo al rispetto per le tradizioni e le culture particolari e sono stati invece riproposti schemi di intervento inadeguati o comunque non adatti alle differenze zonali. Quindi, dando luogo a nuove ingiustizie e nuovi soprusi.


       Sturzo può ancora insegnarci qualcosa, anche se non è pensabile una pura e semplice trasposizione del pensiero sturziano nell’attuale realtà storica, senza tenere conto dei cambiamenti intervenuti e di quelli in corso nella nostra società. Alla fine della seconda guerra mondiale, Sturzo, in contrasto con altri economisti, si rende conto che il futuro dell’Italia meridionale non potrà mai realizzarsi senza una espansione economica e commerciale del Mezzogiorno verso il Mediterraneo meridionale.

      Il pensiero di Sturzo è lungimirante ed ha presenti non solo le condizioni della sua terra, la Sicilia, o del solo Mezzogiorno. Egli ha orizzonti vastissimi; ma il suo equilibrio di uomo politico e di economista emerge quando egli capisce chiaramente che il superamento del colonialismo può non significare l’annullamento della vocazione mediterranea del Mezzogiorno: è giustamente mutata la qualità del rapporto con i paesi emergenti dell’Africa occidentale e del Medio Oriente, ma non è mutata la necessità, imposta dalla geografia, dei contatti economici e culturali con quei Paesi.

       Sturzo si accorge che ormai l’Italia è legata allo sviluppo delle grandi nazioni europee, in seguito al Mercato Comune e soprattutto al mercato. Egli parlerà allora di industrializzazione del Sud ma rifiutando decisamente sia il colonialismo industriale dei capitalisti del Nord, sia la presenza massiccia e clientelare dell’industria di Stato, patrocinata da tutti i partiti.

       Bisogna tentare di attualizzare quelle proposte, tenendo conto sia del notevole progresso sociale ed economico verificatosi negli anni del secondo dopoguerra sia dei nuovi problemi affacciatisi alla ribalta. Il Mezzogiorno, pur non avendo un’area industrializzata nel vero senso della parola, è vittima di una crisi etico-religiosa e socio-politica, tipica delle società industriali avanzate.

       Mi pare allora importante ed urgente sforzarsi, tutti insieme, ad aiutare a fare esplodere le capacità dell’uomo meridionale, ricercando nel Sud la soluzione ai problemi del Sud, intensificando quelle iniziative positive che sono concretamente in alcuni Regioni del sud ad opera della Comunità ecclesiale. L’abolizione della Cassa per il Mezzogiorno, ha posto, già molti anni fa, la necessità e l’urgenza di inventare un nuovo modo di intervento straordinario nel Sud che superasse l’assistenzialismo di quegli anni, tenendo presenti le profonde trasformazioni intervenute nell’economia e nella società del Mezzogiorno.

       Una nuova politica meridionalista, dunque, deve basarsi sulla presa d’atto dei cambiamenti intervenuti nella realtà meridionale e della forte articolazione che si è prodotto nel suo tessuto territoriale ed umano, che tuttavia non scalfisce la permanente sostanziale unità della questione meridionale come questione nazionale, come piena e definitiva integrazione del Paese nell’orizzonte delle grandi democrazie avanzate.

       Si tratta allora di innescare processi che ci aiutino a capire che siamo chiamati a vivere in una determinata realtà, non a sopravvivere, fruendo acriticamente di ciò che viene offerto. Come cattolici, siamo chiamati ad essere coraggiosi costruttori di una coscienza comunitaria, di comune appartenenza e responsabilità, sulla base di un progetto di vita che accetta e cambia il Sud.


Vincenzo Conso
Vice Presidente Fondazione Europa Popolare

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