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  La globalizzazione ormai fa parte di noi. Lo Stato sia responsabile, non paternalista

Data di pubblicazione: Lunedì, 24 Ottobre 2005

TRAGUARDI SOCIALI / n.16 Maggio / Giugno 2005 :: La globalizzazione ormai fa parte di noi. Lo Stato sia responsabile, non paternalista

Nostra intervista al prof. Daniel Navas Vega, docente di economia


LA GLOBALIZZAZIONE ORMAI FA PARTE DI   NOI.
LO STATO SIA RESPONSABILE, NON PATERNALISTA


       Cileno, da 18 anni in anni in Italia, docente di Economia sociale presso l’Università di Santiago del Cile prima del regime di Pinochet, Daniel Navas Vega è oggi responsabile della programmazione e dello sviluppo imprenditoriale del Centro Internazionale di Formazione dell’Oil, un’organizzazione internazionale che si batte per i diritti sociali e del lavoro, per la promozione di un lavoro decente per tutti, per la tutela e la sicurezza dei lavoratori. A lui abbiamo rivolto alcune domande sulla situazione del mercato del lavoro in Ue e nel mondo.

Nel mondo globalizzato nuovi orizzonti e nuove sfide si aprono anche per quelle organizzazioni che, come l’Oil, si impegnano per la promozione e la tutela dei diritti del lavoro, per lo sviluppo e per il dialogo sociale. Secondo lei, quali sono le problematiche e quali invece le opportunità?

       Innanzi tutto la globalizzazione è un fenomeno che esiste e dal quale non è possibile prendere le distanze, come non è possibile fermare il mondo e tornare indietro. Detto questo va chiarito che non può essere solo un fenomeno economico, ma è un processo che necessita di alcuni principi guida nell’interesse di tutti: anzitutto occorre impegno e presenza da parte dello Stato, sia a livello nazionale che internazionale; poi serve un sistema democratico che offra garanzie, diritti e pari opportunità. Inoltre un buon livello di efficienza per una crescita stabile che favorisca la qualità della vita dei cittadini (penso all’educazione, alla cultura, ai servizi sociali) e, infine, occorre una società capace di muoversi dinamicamente, in cui i lavoratori giocano un ruolo chiave per lo sviluppo del dialogo sociale. Un dialogo vero è infatti l’unico strumento in grado di garantire politiche sociali adeguate per tutti, l’antagonismo non è un buon sistema. La globalizzazione implica ovviamente anche alcune problematiche, prima fra tutte il fatto che spesso è intesa solo come sviluppo economico. E’ arrivato il momento di fare attenzione anche al ‘sociale’, introducendo criteri equitativi per tutti, garanzie che diventino parte integrante di questo processo mondiale. In questo senso trovo molto corretta la visione formulata nella nuova Costituzione europea, nei capitoli sul diritto sociale: evidentemente quando c’è una volontà politica comune sono possibili buone leggi.

      Quanto alle opportunità è chiaro che la globalizzazione ci pone di fronte un mondo diverso, reso più piccolo e più vicino dalla possibilità di comunicare con la massima facilità. Il che è senz’altro un bene, a patto che vi sia un profondo rispetto per tutte le diversità – culturali, religiose, di etnia –: senza di ciò non potrà mai aversi una vera universalità.

Il mercato del lavoro in Italia e in Europa, si sta rapidamente evolvendo in direzione di una sempre maggiore mobilità, anche attraverso nuove forme contrattuali atipiche. Come conciliare questi orientamenti con forme efficaci di tutela per i lavoratori? Quali le proposte dell’Oil?

      Certamente il mercato del lavoro riflette i cambiamenti in atto, e ciò riguarda non solo l’Ue, ma anche l’Africa, l’Asia, l’America Latina, ecc.. La partecipazione delle donne al lavoro, il telelavoro, una mobilità pressoché continua: c’è tutta una nuova realtà che dobbiamo conoscere meglio. Ritengo che agli organismi sociali spetti un compito determinante: accrescere la capacità di assorbire il nuovo e formulare proposte adeguate.

      Le faccio un esempio: ci si lamenta che i prodotti cinesi stanno invadendo i mercati anche grazie ai bassi costi della manodopera locale, ma d’altra parte i nostri lavoratori, che potrebbero profittare delle nuove prospettive di occupazione in settori chiave come l’informatizzazione, l’alta tecnologia, la comunicazione, e via dicendo, non sono in grado di cogliere le nuove opportunità per la carenza di formazione professionale. Quanti lavoratori italiani, che pure si rifiutano di fare certi tipi di lavori – come gli operai, gli agricoltori, i raccoglitori di pomodori -, hanno un livello di preparazione così basso da non consentire loro il reinserimento in nuovi settori del mercato del lavoro?   

       Ecco, io credo che la formazione sia un elemento chiave del futuro, perché crescere professionalmente è la miglior tutela che si possa immaginare: anche su questo piano mi aspetto che le organizzazioni sociali, dei lavoratori, maturino velocemente nuove proposte. Auspico una formazione diversa, che parta già dalla scuola, cui spetta il compito di incoraggiare la creatività e fornire la padronanza di strumenti tecnologicamente avanzati per creare la futura forza lavoro.

Il Mcl da tempo si sta impegnando per l’introduzione di forme di partecipazione dei lavoratori all’impresa, anche sotto il profilo dell’azionariato dei dipendenti. Qual è il suo parere in proposito?

    Personalmente sono totalmente d’accordo. Tra l’altro già alcune precedenti esperienze hanno dato risultati incoraggianti: così in Germania, con il Consiglio di copartecipazione, ma anche in Cile nel campo dell’elettricità, si sono avute esperienze molto positive.

       D’altronde il punto centrale dello sviluppo è pur sempre l’impresa, e perché questa funzioni bene è essenziale che i lavoratori abbiano anche ruoli di responsabilità e di coordinamento. L’impresa non è solo il luogo dove lavoro ma dove ‘vivo’: questa, a mio avviso, è la visione corretta da cui partire.

L’emergenza della disoccupazione da tempo ormai non è più un male solo italiano, ma internazionale. Ritiene che si stia facendo abbastanza in proposito? Quale ricetta suggerirebbe?

       Il dato costante da rilevare è che i Paesi con minore crescita economica hanno un maggiore tasso di disoccupazione; quindi la questione è ‘come’ dare un impulso forte alla crescita economica dei singoli Stati. Non dimenticherei poi la flessibilità, da sviluppare ovviamente con precise garanzie. Non voglio dire che si debba sempre essere d’accordo con le posizioni imprenditoriali, ma è certo che la disponibilità a spostarsi di sede o di città, non può che facilitare il mantenimento del posto di lavoro, diventando di per sé una garanzia per il lavoratore.

       In un mercato come quello attuale non bastano più solo le regole a tutelare i lavoratori; occorre che la classe lavoratrice - e per essa le organizzazioni che la rappresentano -, facciano un passo avanti, crescano in responsabilità e facciano non solo rivendicazioni ma anche proposte concrete e basate sulla realtà.

La sicurezza sul lavoro è ancora un tema aperto e spesso le norme minime di garanzia vengono disattese in nome della produttività e del profitto a tutti i costi. La situazione è ancora più grave nei Paesi dell’est e in Cina. Che fare? Quanto è lontano il momento in cui non dovremo più sentir parlare di bambini e donne schiavizzati in nome dell’utilità di mercato?

       Oggi la povertà nel mondo è un problema del tutto speciale: oltre la metà della popolazione mondiale (che equivale a circa 1.000 milioni di persone) vive con meno si due dollari al giorno. In una tale situazione è giocoforza che chi ha davvero bisogno sia disposto a tutto pur di lavorare, anche se in condizioni indecorose. Allora il problema diventa quello di garantire un lavoro decente, che permetta cioè non solo la sussistenza ma anche una buona qualità di vita (in termini di orari di lavoro, di trattamento economico, di buoni livelli di sicurezza).

       Il mercato non può essere l’unico elemento di analisi, il mercato non aggiusta tutto. Occorre la presenza di uno Stato democratico efficiente, non ‘paternalista’ ma ‘responsabile’, che sappia offrire equilibrio alla società e al mercato. Invece purtroppo ancora oggi le teorie neoliberaliste (che fanno del mercato il centro unico di tutto) sono ancora molto diffuse. La strada è insomma ancora lunga, ma noi andremo avanti fino in fondo.


Fiammetta Sagliocca

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