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  Nasce la Prima Latteria nel sud Tanzania

Data di pubblicazione: Lunedì, 24 Ottobre 2005

TRAGUARDI SOCIALI / n.16 Maggio / Giugno 2005 :: Nasce la Prima Latteria nel sud Tanzania

Realizzata dal Cefa di Bologna e dal MCL, servirà migliaia di persone


NASCE LA PRIMA LATTERIA NEL SUD DELLA TANZANIA


       Da qualche tempo il sottoscritto beve latte Granarolo, cercandolo accuratamente sugli scaffali del supermercato. Voi pensate che la questione non vi riguardi, e invece vi sbagliate. Perché dietro alla decisione di spendere i miei soldi in favore di questa azienda non c’è solo la qualità del prodotto medesimo (il che non guasta) ma anche molto altro che si trova a 9 mila km dall’Italia, e precisamente a Njombe, paesone del sud della Tanzania, qui pomposamente definito città, anche se di ciò che noi siamo abituati a chiamare città non ha proprio nulla. Caterve di casupole e baracche sparpagliate per molti km quadrati. Tutte rigorosamente al piano terra, alcune in muratura. Come quelle della diocesi, che coincide con il centro del paese e il luogo di ritrovo.

       Njombe è una località piena di gente allegra, con vestiti coloratissimi, che vive per strada e si muove a piedi. Pochi i mezzi di trasporto, soprattutto pulmini, qualche camion, rarissime auto. C’è una sola strada asfaltata, la statale, tutto il resto delle vie è fatto di tratti sterrati, pieni di buche. Njombe è anche un luogo giovane, attraversato da moltitudini di ragazzini. Mi ha impressionato la domenica in Chiesa: un gran numero di ragazzi e bambini, seduti disciplinatamente, attenti e partecipi. Al mio arrivo in chiesa stava per finire una   Messa. La folla di ragazzi presenti mi ha stupito. Forse sono qui per un’occasione o una festa speciale, mi sono detto. Poi però alla Messa successiva ne ho visti altrettanti, silenziosi e compunti. E quando è terminata la messa a cui ho preso parte io, fuori aspettava di entrare un’altra folla di giovani e giovanissimi, con e senza madri al seguito, pochi gli uomini. Mi si è aperto il cuore. In Italia folle così si vedono solo in occasione di raduni di gruppi e associazioni giovanili, mai alle Messe della domenica.

      In tutti questi ragazzi, un dato mi è parso costante: la povertà dignitosa, una fede semplice. All’offertorio non c’è, come da noi, il tizio che passa con il cestino in mano. Qui ognuno si alza e va di fianco all’altare a deporre la sua offerta. Tutti si mettono in coda per dare la loro offerta. Mi sorprendo ad assistere alla scena, perché molti di loro probabilmente a casa non possiedono nulla, forse non possiedono nemmeno una casa. Avrebbero loro bisogno di un’offerta per trascinare al meglio quelle povere esistenze. Invece no, la chiesa per loro è tutto. Senza la chiesa sarebbero perduti. E non per l’assenza di beni materiali, tanto quelli mancano lo stesso. Ma proprio perché attorno alla chiesa costruiscono la loro vita, la loro socialità e solidarietà. Perciò il poco che hanno lo donano senza pensarci, con normalità. La chiesa è tutto.

       Ma se pensate che la sorpresa sia tutta qui, vi sbagliate. Alla fine della Messa infatti accade un’altra cosa che mi lascia stupefatto. Una donna segaligna e dalla voce stridula prende il microfono e arringa l’assemblea. E’ la presidente del consiglio pastorale. Intrattiene i presenti, urlando per quasi un’ora, con gli argomenti più disparati. Comincia con l’elenco dei genitori che hanno chiesto preghiere per i loro bambini alle prese con gli esami della scuola elementare. Si sono affidati alla Madonna in una circostanza importante, di tutti dice nome cognome e scuola. Segue poi l’elenco di quelli che hanno chiesto protezione per i figli e altri parenti ammalati. La folla ascolta attenta e silenziosa. Solo io e altri bianchi, in quella marea di neri, ci lasciamo sfuggire qualche sbuffo impaziente. Loro imperterriti ascoltano, non vola una mosca.

      La donna col microfono informa del nuovo ciclo di vaccinazioni in alcuni quartieri, dà gli orari e altre prescrizioni. Infine, prima dei saluti, e con una voce ammonitrice, ancora più stridula, affronta le problematiche della Pasqua imminente. Anzitutto, dice, quest’anno non ci sono soldi per la festa delle palme, quindi ognuno pensi da sé ai ramoscelli. Poi avviene l’incredibile: ad una folla di poveri e poverissimi, la donna ricorda che è giunto il tempo di cominciare a preparare i pacchi dono per i poveri, e invita tutti a darsi da fare. Ha detto proprio così, i pacchi dono per i poveri.

       Sono uscito da questa esperienza tramortito. La generosità di questa gente è immensa, come la loro miseria. Ma nessuno che si piange addosso. Niente lamenti. Dignità e una grandissima attesa e speranza nei giovani.

       Ma che c’entra tutto questo con la Granarolo? Ora ci arrivo.

      A Njombe e in tutto il circondario, un’area nella quale vivono alcuni milioni di persone, i bambini vengono allevati con il latte appena munto dalle mucche. Qui la corrente elettrica è poco diffusa e anche mal funzionante. In ‘città’ viene erogata per alcune ore al giorno, ma non in tutti i quartieri. Nei villaggi è pressoché inesistente.

       Il latte che bevono i bambini di qui è fresco, anzi freschissimo, in pratica appena munto. Infatti, non esistendo frigoriferi, e visto che il latte a lunga conservazione che viene da lontano costa un occhio della testa, non c’è modo di conservare questo prezioso alimento. Quindi lo si munge e si beve, quasi subito, altrimenti va a male.

       I bambini, soprattutto loro, devono fare i conti anche con un problema non da poco: le mucche da cui proviene il latte non sono quasi mai sottoposte a controllo sanitario. Ci sono pochissimi veterinari e mancano fondi e strutture, e tecnologie e conoscenze, per qualunque tipo di profilassi degna di questo nome. Spesso si munge anche da animali malati. Non a caso, a parte la malaria, sono le malattie gastrointestinali, prese appunto a causa del latte infetto, come pure dell’acqua sporca, quelle che fanno le maggiori vittime fra i piccoli di qui. Quegli stessi piccoli che le mamme premurose affidano alla protezione della Madonna perfino per l’esame di scuola. Ed eccoci al punto: a Njombe ora è nata una bellissima latteria, l’unica di tutto il sud della Tanzania. L’hanno costruita, e arredata di cose e strumenti, i volontari del Cefa, con i soldi del governo italiano, di alcuni privati e soprattutto con il sostanzioso contributo della Granarolo, azienda bolognese del settore.

       Il merito di quest’opera va soprattutto a chi l’ha pensata, cioè il Cefa, perché è un’opera ad altissimo impatto sociale, sanitario e anche economico, ed è collocata in una zona che ne ha grande bisogno.

      Ma un merito speciale va a chi l’ha finanziata (a parte il governo italiano), specialmente a quei privati come la Granarolo che hanno creduto nel progetto e sborsato bei soldi per realizzarlo.

       La latteria in queste settimane sta effettuando le sperimentazioni, ed entro l’estate dovrebbe entrare in funzione. Qui convergerà il latte di tutte le mucche della zona, verrà controllato dal punto di vista sanitario, pastorizzato e quindi reso fruibile senza rischi per la salute. Il latte verrà anche confezionato nelle buste a lunga conservazione, così che possa essere consumato con più comodità, quando serve.

      Le buste a lunga conservazione quindi ovvieranno all'assenza di frigoriferi, e soprattutto consentiranno di fare scorte a missioni, orfanotrofi e villaggi lontani dove oggi, a causa delle strade dissestate, le consegne sono difficoltose e saltuarie.

       Soprattutto, questo latte sarà venduto a prezzo politico, non avendo la latteria fine di lucro, quindi sarà un latte accessibile a tutti. Da settimane è stata avviata anche la produzione sperimentale di ricotte, formaggi e yogurt, dati in assaggio alla popolazione per verificarne il gusto e il gradimento.

       Come si vede è un’opera grande, non solo nel senso della struttura. Qui a Njombe in questi anni si sono alternati vari volontari nella realizzazione del progetto. La parte finale di questo lavoro è stata condotta magistralmente e con passione da Emanuele Pagoni, Eleonora Battistelli e Nicola Loi. Marchigiani i primi due,   cagliaritano il terzo. Sono volontari del Cefa con particolari caratteristiche: Emanuele è un esperto di produzioni alimentari, Eleonora cura la contabilità e l’amministrazione, Nicola si occupa della parte meccanico-motoristica. Con i tre giovani italiani lavorano varie persone del posto, che diventeranno una ventina quando l’attività entrerà a regime.

       Quando la latteria sarà in grado di camminare da sola, il Cefa si ritirerà, e la struttura passerà ad una società non profit locale.

       A Njombe il Cefa ha costruito anche una acquedotto che tira l'acqua dal fiume, la depura e la porta fino alla latteria. Presto un reticolo di tubi raggiungerà alcune migliaia di persone del quartiere di Melinze dove le case non hanno rubinetti ed è il fiume a riempire di acqua terrosa i secchi e i bidoni che pesano tutti i giorni sulla testa di donne e ragazzi.

       Quando ho visitato Njombe ho ammirato il gran lavoro del Cefa, portato avanti anche con fatica, problemi, a volte perfino con momenti di sconforto, per le difficoltà, le incertezze, per il timore di non riuscire a giungere fino alla fine.

       In quell’occasione ho deciso che il latte che si consuma a casa mia d’ora in poi sarà quello della Granarolo, come segno di amicizia e gratitudine verso un’azienda che ha avuto il merito di donare tanti soldi in favore dei bambini tanzaniani, pur sapendo che da quel gesto non avrebbe avuto in cambio alcun ritorno pubblicitario.

       La latteria voluta dal Cefa come risposta alle richieste della popolazione locale risponde anzitutto ad una esigenza sanitaria e alimentare, perché fornirà latte sicuro alla gente. Ma ha anche un risvolto economico: il latte sarà venduto a prezzo accessibile anche alla popolazione più povera.


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