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  Il futuro è oggi

Data di pubblicazione: Domenica, 26 Dicembre 2021

TRAGUARDI SOCIALI / n.101-102-103 Ottobre / Novembre 2021 :: Il futuro è oggi

Investire sui giovani con un sguardo nuovo di prospettiva

Senza rimpensare i paradigmi nell’educazione alcun sviluppo

Crescono in fretta i nostri figli. E tutti, prima o poi, ci facciamo la stessa domanda. Che cosa faranno da grandi?
è un interrogativo ineludibile quanto difficile e persino insidioso.
Un interrogativo destinato a rimanere senza risposte certe. Soprattutto per quella generazione di padri e di madri che hanno abbandonato la sfida educativa preferendo il comodo ruolo di complici nel suggerire scorciatoie o nell’alimentare in loro facili illusioni che poi conducono ad amare delusioni. Una fuga dalla responsabilità e dalla libertà dove non di rado i genitori finiscono con il riversare sui figli le proprie aspirazioni e ambizioni personali.
Lo ha detto in questi giorni anche il Presidente del Consiglio Mario Draghi. Bene sognare e provare a guardare lontano. Ma quello che conta è come impiegano oggi il loro tempo i nostri ragazzi. Perché è nel fare al meglio e con impegno i compiti di oggi che si gettano le fondamenta per un solido futuro. Curiosità, intraprendenza, umiltà e desiderio di senso: è questa la mentalità che porta a sviluppare quelle capacità e quelle competenze (autonomia, scelta, relazione, affidabilità) che serviranno ai nostri figli nel mercato del lavoro del futuro. Quella mentalità che ci porta ad amare quello che facciamo oggi e che ci insegna a coltivare un valido interesse in quello che incontriamo lungo il cammino, soprattutto per quelle relazioni umane che fanno la nostra vita più ricca e degna di essere vissuta.
Certò, lo sappiamo bene. Oggi molti giovani sbarcano il lunario alternando lavori occasionali e occupazioni temporanee e anche tirocini e stage dal contenuto formativo pressoché nullo e attività di volontariato dove le più nobili finalità morali e solidaristiche sempre più spesso si mischiano con necessità e intenti occupazionali. I meno fortunati restano a lungo imbrigliati nei percorsi scolastici e universitari, spesso non portando neppure a termine il cammino intrapreso. Secondo i dati ISTAT, soltanto uno studente universitario su tre riesce a conseguire il titolo e nella maggior parte dei casi lo fa in ritardo: 24,5 anni per le lauree triennali e 27,2 per le lauree magistrali biennali. Anche da questo (ma non solo da questo, considerando che molti sono i giovani non impegnati in studi universitari) consegue che l’ingresso nel modo del lavoro avviene tardi, con un lavoro più o meno stabile che arriverà oltre i trent’anni, quando un coetaneo tedesco o olandese ha già maturato dieci anni di esperienza magari nel percorso di apprendistato duale. Conseguenza di tutto ciò è un evidente - e preoccupante - slittamento in avanti di tutte le scelte di vita tra cui, in particolare, la stabilizzazione dei legami affettivi nel matrimonio e la decisione di mettere al mondo dei figli.
Conosciamo tutti molto bene anche i gravi malesseri della economia italiana soprattutto nelle periferie e nelle aree del Mezzogiorno. Ma proprio per questo dobbiamo interrogarci con largo anticipo su cosa faranno da grandi i nostri figli. Certo, il futuro delle giovani generazioni dipende anche dall’esito dei processi di transizione legati al PNRR, come negli scorsi anni dipendeva dall’Industria 4.0, prima ancora dalla globalizzazione (e via dicendo). Ma molto di più dipende, almeno così crediamo, da cosa stanno facendo ora i nostri ragazzi e, dunque, anche da cosa stiamo facendo noi per loro. Da come cioè vengono orientati e guidati lungo gli snodi strategici della loro crescita, assimilando dall’esempio familiare quotidiano i valori della responsabilità, della solidarietà, dell’etica del lavoro.
Certo, nessuno potrà mai dirci con sicurezza se, a trent’anni, i nostri figli avranno un lavoro stabile oppure saranno precari o peggio disoccupati ma spetta a noi genitori, anche a costo di qualche sacrificio, indirizzarli verso quei percorsi scolastici e quelle esperienze di vita che servono a far capire loro chi sono e cosa vogliono d’avvero e a maturare quella conoscenza di sé, dei propri punti di forza e dei propri limiti, che è imprescindibile per orientarsi e muoversi con sicurezza in un mondo del lavoro in piena trasformazione.
Lo ha detto anche Papa Francesco al popolo di MCL: «educare aiuta a non cedere agli inganni di chi vuol far credere che il lavoro, l’impegno quotidiano, il dono di sé stessi e lo studio non abbiano valore». Dobbiamo certamente sperare che le istituzioni e la politica facciamo la loro parte per rendere più efficiente e inclusivo il nostro mercato del lavoro, ma è nostro dovere, a partire dall’esempio quotidiano, educare i figli ad amare quello che fanno e anche a farlo nel migliore dei modi possibili perché quello alla lunga paga e ancora oggi fa la differenza rispetto a chi ha smesso di coltivare nella quotidianità la costruzione del futuro.

Michele Tiraboschi
Ordinario di Diritto del Lavoro presso l’Università di Modena e Reggio Emilia
Coordinatore Scientifico ADAPT
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