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  Si abbassa la soglia di tutela delle persone gravemente malate

Data di pubblicazione: Martedì, 24 Maggio 2022

TRAGUARDI SOCIALI / n.105-106 Gennaio-Aprile 2022 :: Si abbassa la soglia di tutela delle persone gravemente malate

Le tre criticità del ddl sul suicidio assistito recentemente approvato alla Camera

La “cultura dello scarto” ignora la medicina palliativa e rischia di trasformare gli ospedali in erogatori di morte

La Camera ha approvato il ddl unificato “Disposizioni in materia di morte volontaria medicalmente assistita”, relatori Bazoli e Provenza.
Nelle intenzioni si intenderebbero raccogliere le indicazioni della Corte costituzionale, che ha escluso la punibilità di chi, davanti a certe puntuali condizioni di sofferenza e malattia, agevola l’esecuzione del proposito suicida di un paziente con una «patologia irreversibile». Tale esito non è affatto esente da critiche, in quanto si abbassa evidentemente la soglia di tutela verso la vita delle persone gravemente malate.
Si rilevano, tuttavia, ulteriori e ancora più marcate criticità – non presenti nella sentenza della Consulta ma - presenti nel disegno di legge e, tra queste, tre assolutamente da rimuovere nella prossima lettura del Senato.
La prima. Il ddl aggiunge al requisito della «patologia irreversibile», previsto in via esclusiva dalla Corte costituzionale, anche il fatto che la persona interessata sia «portatrice di una condizione clinica irreversibile », ampliandone così l’orizzonte applicativo anche alle persone con disabilità e pur in assenza di una malattia. Si tratta di un salto radicale, con un messaggio culturale particolarmente insidioso: la vita di chi versa in condizione di menomazione, anche se non malato, potrebbe legittimare l’agevolazione di un intento suicidario. Se la norma fosse approvata anche dal Senato sarebbe il peggiore epilogo in campo sanitario di quella cultura dello scarto tanto contrastata da Papa Francesco, con una progressiva spinta subdola e sotterranea delle persone con disabilità verso nefasti e purtroppo già conosciuti scenari eutanasici. Una seconda grave criticità del ddl sta nel travisamento della pre-condizione dell’effettiva fruizione di un programma adeguato di medicina palliativa.
La Corte costituzionale ha indicato che soltanto dopo l’attivazione di un percorso di palliazione e terapia del dolore – e non prima, come intende ora il ddl - al paziente possa, quale ipotesi estrema, essere consentita una scelta suicidaria assistita.
La terza criticità, la più devastante. Il ddl assegna agli ospedali il compito di assicurare l’espletamento delle procedure di suicidio assistito. Il tema è cruciale e riguarda il ruolo del SSN, che viene ribaltato, con tutte le conseguenze sul prevedibile depotenziamento degli investimenti sulle terapie, a cominciare da quelle sul dolore e le cure palliative, deformando nella percezione collettiva l’immagine plurimillenaria di luoghi di ricovero e assistenza sanitaria che rappresentano oggi, specie in Italia, un fondamentale architrave di solidarietà nella malattia. Non può tacersi la preoccupazione che tutto ciò finisca per rappresentare una spinta verso scelte finali drammatiche e spesso esito di solitudine esistenziale, che certamente non è nelle intenzioni degli stessi proponenti del ddl: saranno soprattutto i pazienti più fragili, vulnerabili e soli a spingersi verso l’esito della morte provocata da una procedura di auto-avvelenamento.
Occorre suscitare una riflessione urgente per scongiurare che protocolli suicidari possano attuarsi negli ospedali italiani, che altrimenti finiranno col mettere ancora più paura ai pazienti. La stessa Corte costituzionale che ha invitato a fare la legge, si è ben tenuta distante da questo esito, indicando chiaramente che non possono esserci obblighi per i medici e, dunque, per il Servizio sanitario nel suo complesso.

Alberto Gambino
Presidente di Scienza & Vita
Prorettore Università Europea di Roma
Ordinario di diritto privato
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