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  Economia e famiglie, obbligo di conciliazione

Data di pubblicazione: Mercoledì, 21 Marzo 2007

TRAGUARDI SOCIALI / n.25 Marzo / Aprile 2007 :: Economia e famiglie, obbligo di conciliazione

di Paolo Viana


ECONOMIA E FAMIGLIE, OBBLIGO DI CONCILIAZIONE


       La famiglia è una risorsa ma pochi se ne rendono conto, anche nei Palazzi del potere Legislativo ed esecutivo. La conciliazione tra famiglia e lavoro spetta a loro, ma non Solo. Anche il sindacato dovrebbe essere più attento ai problemi delle famiglie che Sono confinate nella penombra delle tutele, per far convergere tutte le attenzioni sulla figura del lavoratore.

       Di questi e di altri problemi connessi alla promozione della famiglia nel mondo Del lavoro si è parlato a Milano il 5 marzo, in occasione del seminario organizzato Dal Mcl Lombardia in coincidenza del corso Caf per il Nord Italia. Un’occasione di confronto resa particolarmente feconda dalla presenza di Paola Soave, vicepresidente del Forum delle Famiglie e del professor Francesco Belletti, direttore del Centro Internazionale Studi sulla Famiglia. Un confronto voluto da Noé Ghidoni, presidente lombardo del Movimento, il quale ha sottolineato la necessità di conciliare questi ambiti, per permettere «l’autorealizzazione personale e la generazione di quelle relazioni di fiducia, reciprocità e dono che sono insostituibili per la persona».

       «Se la famiglia fosse veramente considerata una risorsa sociale forse potremmo ragionare non più solo in termini di costi, bensì di un investimento che persone e società fanno su se stesse e sul proprio futuro» ha detto Paola Soave chiedendo al legislatore di «rendere più usufruibili modelli di partecipazione al mercato del lavoro che tengano conto delle esigenze connesse alla cura dei figli e alla cura degli anziani». Dell’impegno delle imprese di «includere la famiglia tra i valori in gioco in una moderna dinamica dello sviluppo» ha parlato Belletti, il quale ha indicato alcune esperienze imprenditoriali di questa conciliazione possibile tra esigenze produttive e famigliari, mettendo in guardia rispetto al « rischio, sempre presente, di trasformare un valore come il lavoro in idolo. La sfida è quella di restituire alla famiglia una rilevanza sociale, ad esempio, realizzando un modello di welfare non totalmente fondato sul lavoro».

       Provocazioni e spunti di grande interesse anche per il Movimento Cristiano Lavoratori di Milano, che a questi temi sta dedicando una particolare attenzione. Nei mesi scorsi, infatti, il Mcl ambrosiano ha posto il problema della conciliazione tra economia e famiglie interpellando una grande catena di supermercati sul tema del riposo domenicale. Ne è scaturita un’iniziativa pubblica, svoltasi in un ipermercato della cintura milanese, dalla quale è risultato che: 1) l’utenza dei centri commerciali è costituita prevalentemente da famiglie, e spesso da gruppi di famiglie, il che interpella il mondo cattolico sulla necessità di dialogare con esse; 2) la fruizione del centro commerciale è concentrata nelle fasce pomeridiane della domenica e non si pone quindi in alternativa alle pratiche religiose e ai momenti di socializzazione della domenica mattina; 3) la scelta di frequentare un centro commerciale di domenica non dipende esclusivamente dal momento dell’approvvigionamento alimentare, perché una parte significativa dei clienti si limitano a passeggiarvi e ad osservare senza fare acquisti. E’ altrettanto chiaro che la scelta di trascorrere un pomeriggio in un centro commerciale presuppone l’assenza di un’offerta ricreativa diretta alle famiglie sul territorio (oratori, parchi, centri ricreativi) o la mancanza di un’abitudine all’accoglienza (le famiglie non si ritrovano più nelle case ma preferiscono passeggiare in un supermercato perché l’abitazione è piccola o l’accoglienza è considerata troppo impegnativa). In entrambi i casi, è evidente che la soluzione non consiste nel chiudere i centri commerciali. Semmai, il problema culturale più inquietante è un altro.

       Un popolo che trascorre la sua domenica in un centro commerciale è un popolo che si concepisce in termini di “consumatore” piuttosto che di “famiglia”: il fatto stesso di ripetere nel giorno del riposo gesti e scelte tipiche della vita “economico-produttiva”, scegliendo di trascorrere il proprio tempo in un ambiente da cui si ricevono esclusivamente messaggi “consumeristici” è la conseguenza e non l’origine di quella deriva antropologica che temiamo.

       Fatta l’analisi, ci si trova ad un bivio: taluni scelgono di opporsi all’apertura dei centri commerciali, altri vorrebbero “contaminare” i messaggi che circolano in quegli ambienti. Personalmente, considero velleitaria la prima opzione e difficilissima la seconda. Chiamiamola: conciliazione (im)possibile.


Paolo Viana

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