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  Liberalizzazioni e democrazia economica: due opinioni a confronto

Data di pubblicazione: Venerdì, 23 Marzo 2007

TRAGUARDI SOCIALI / n.25 Marzo / Aprile 2007 :: Liberalizzazioni e democrazia economica: due opinioni a confronto

Pier Paolo Baretta (Cisl): “Democrazia economica: la nuova strategia”
Raffaello Vignali (CdO): “Più società, meno Stato”



Liberalizzazioni e democrazia economica:
due opinioni a confronto


PIER PAOLO BARETTA (CISL): “DEMOCRAZIA ECONOMICA: LA NUOVA STRATEGIA”

RAFFAELLO VIGNALI (CDO): “PIU' SOCIETA', MENO STATO”


       Quale giudizio dare alle liberalizzazioni di cui tanto si parla in questi tempi? Ed è bene o no continuare sulla strada delle privatizzazioni? La democrazia economica è un’utopia o un obiettivo realizzabile? Di questo ed altro abbiamo parlato con Raffaello Vignali, Presidente della Compagnia delle Opere, e con Pierpaolo Baretta, Segretario Confederale Cisl.   Due opinioni a confronto, due punti di osservazione privilegiati, un comune intento: sostenere l’iniziativa privata, volano dell’economia del Paese.




CHI E' BARETTA

      
Pier Paolo Baretta, 56 anni, dopo un’esperienza giovanile nell'associazionismo cattolico ha scelto la via dell’impegno nel sindacato. Nella segreteria confederale della Cisl dalla fine degli anni ’90 - con delega alla Democrazia economica, Economia sociale, Fisco e Previdenza - ha collaborato con Marco Biagi nella trasposizione delle Direttive comunitarie sui C.A.E. e sulla Società Europea.

Che giudizio dà delle prime e seconde liberalizzazioni effettuate dal Governo? Può sostanziarlo con degli esempi concreti un eventuale giudizio positivo o negativo?

       Il primo pacchetto “Bersani” ha avuto il merito di riaprire il dibattito sulle liberalizzazioni e sulle privatizzazioni, dopo anni di oblio, e di avviare un primo ed importante passo nella direzione della liberalizzazione dei settori produttivi e della promozione della concorrenza. Non a caso si sono viste subito anche le resistenze delle categorie interessate (pensiamo ai tassisti) di fronte alle quali la politica ha manifestato notevole incertezza. Il secondo pacchetto, varato dal Consiglio dei Ministri il 25 gennaio u.s., contiene altri interventi importanti in favore dello sviluppo e del rilancio della competitività.

       Penso all’introduzione di procedure semplificate per l'avvio di una nuova impresa, ai primi timidi passi verso la Borsa del Gas, alle norme che prevedono la rivisitazione e il rafforzamento dello sportello unico per le imprese, all’obbligo di abrogazione per le banche della commissione di massimo scoperto. Tuttavia, manca ancora una visione d’insieme, sulla politica industriale e sul modello di sviluppo. Soltanto attraverso una seria politica di modernizzazione ed efficientamento dei servizi di pubblica utilità, infatti, si può concretamente rilanciare il sistema economico italiano.

Come devono essere fatte altre e nuove privatizzazioni, dopo quelle già realizzate? Secondo quali modalità?

       Innanzitutto bisogna liberalizzare e regolare, prima di privatizzare, assumendo la Democrazia economica e la partecipazione come elementi costitutivi del sistema capitalistico.Questo approccio richiede una discontinuità profonda con le politiche economiche degli anni ’90 che hanno dismesso l’enorme patrimonio industriale pubblico senza saper vendere e che hanno anteposto l’obiettivo di cassa a quello di prospettiva. Si tratta anche di agire sulla governance, separando la gestione delle aziende pubbliche dalla politica e creando un preventivo sistema di bilanciamento dei poteri all’interno dell’impresa. Insomma serve un sistema di regole che garantisca dalle deviazioni alle quali abbiamo assistito negli anni scorsi e, purtroppo, ancora assistiamo (si pensi alla vicenda Alitalia).

       Da questo punto di vista segnalo anche l’importanza del memorandum d’intesa siglato fra il Governo e le Organizzazioni Sindacali sulla riforma della pubblica amministrazione che è uno strumento fondamentale per garantire la competitività dell’intero sistema - Paese.

Che vuol dire per lei democrazia economica e come si sostanzia? E’ un obiettivo a cui si può tendere in tempi realistici e lo Stato cosa dovrebbe fare per favorirla?

       Il tema della democrazia economica è essenziale nella ridefinizione di una nuova politica industriale. Si pensi, infatti, alla regolamentazione delle concessioni pubbliche, o al ruolo dello Stato quando è azionista di maggioranza di molte importanti imprese. Ma anche alle opportunità offerte dalla nuova disciplina del diritto societario (il sistema duale nel governo dell’impresa), alla partecipazione dei lavoratori, al ruolo crescente degli stakeholders, ai compiti ed ai poteri delle autorità pubbliche di vigilanza ed indirizzo.

       In tempi nei quali la democrazia politica non sembra in grado di influenzare concretamente il destino dell’economia, il ruolo della democrazia economica diventa strategico. A tale riguardo bisogna adottare modelli relazionali e assetti proprietari maggiormente partecipativi, facilitando il ricambio della classe imprenditoriale e pervenendo ad una maggiore diffusione e contendibilità del capitale sociale. E’ in questo contesto che si inserisce la necessità di prevedere moderne forme di partecipazione finanziaria, anche attraverso il coinvolgimento degli utenti e dei lavoratori. Il tema dell'azionariato dei dipendenti ha superato la fase culturale e propositiva ed è ormai entrato nella fase complessa e diversificata della sperimentazione. Ma le azioni ai dipendenti sono ancora oggi governate dagli articoli del Codice Civile e manca una legge di sostegno che regolamenti l'istituto e che consenta l'esercizio del voto collettivo dei dipendenti azionisti.

       Ci attendiamo, pertanto, che siano introdotte significative novità sul versante della normativa di sostegno della partecipazione azionaria.

CHI E' VIGNALI

Raffaello Vignali, 43 anni, una vita trascorsa nell’associazionismo cattolico. Laureato in Sociologia della Conoscenza, ha svolto attività di ricerca e di didattica in Sociologia dell’Organizzazione ed Economica presso l’Università di Bologna. Direttore Generale dell’IReR dal 1999 al 2004 è, oggi, al secondo mandato al vertice della Compagnia delle Opere.

Che giudizio dà delle prime e seconde liberalizzazioni effettuate dal Governo? Può sostanziarlo con degli esempi concreti, un eventuale giudizio positivo o negativo?

       Il decreto che ha dato il via alle prime liberalizzazioni conteneva una serie di norme (quelle cioè riconducibili al vice ministro Visco) da cui traspariva un’impostazione culturale che rifiutiamo completamente, vale a dire una sorta di sospetto preventivo nei confronti di chi fa impresa. La pur giusta intenzione di combattere l’evasione fiscale non può in alcun modo giustificare un tale atteggiamento nei confronti degli imprenditori, soprattutto piccoli e medi, che continuano ad essere il nerbo della nostra economia. Nelle “seconde liberalizzazioni” si nota invece qualcosa di diverso: la semplificazione degli adempimenti amministrativi per l’avvio di una nuova impresa, per esempio, così come gli sgravi fiscali per lo sviluppo dimensionale delle imprese sono elementi apprezzabili. Per rendere ancora più efficace queste novità, il passo successivo dovrebbe essere quello di intervenire in modo deciso e significativo sul fronte fiscale per premiare gli imprenditori che investono.

Come devono essere fatte altre e nuove privatizzazioni, dopo quelle già realizzate? Secondo quali modalità?

       Innanzitutto non bisogna confondere tra liberalizzazioni e privatizzazioni: le seconde, infatti, portano troppo spesso ad un semplice passaggio da un monopolio pubblico ad un monopolio privato, o a società che sono definite private, ma che in realtà sono ancora completamente sotto il controllo statale.

       Sicuramente sono importanti le liberalizzazioni nel campo dell’energia, delle telecomunicazioni e delle professioni, come è stato sottolineato da molti economisti. Ma il fronte prioritario per le liberalizzazioni è certamente quello scolastico, dove il monopolio statale è totale. Lo Stato deve garantire pari opportunità per tutti di accedere ai più elevati gradi di istruzione, ma questo non significa che lo Stato debba anche gestire centralmente il sistema scolastico. Liberalizzare il sistema scolastico e la professione docente porterebbe sicuramente ad un miglioramento dell’offerta formativa. E questo avrebbe importantissime ripercussioni anche in campo economico, soprattutto in un’economia della conoscenza come quella attuale, in cui la formazione e valorizzazione del capitale umano è l’elemento fondamentale. La proposta del ministro Fioroni di trasformare le scuole in fondazioni va sicuramente nella giusta direzione. Tutto sta nel vedere se si è trattato di una semplice boutade o di un impegno che verrà portato avanti con decisione.

Che cosa vuol dire per lei democrazia economica e come si sostanzia? E’ un obiettivo a cui si può tendere in tempi realistici e lo Stato cosa dovrebbe fare per favorirla?

       Democrazia economica significa sostanzialmente premiare il merito. Il nostro Paese è ancora, sotto troppi aspetti, una “repubblica fondata sulle rendite”: basti pensare a tutti i privilegi che si annidano soprattutto nella pubblica amministrazione. Una vera democrazia economica dovrebbe proprio combattere le rendite di posizione e invece favorire chi produce ricchezza: favorire le famiglie che fanno figli, le imprese che creano lavoro, che innovano, che tentano la sfida dell’internazionalizzazione.

       Per arrivare a questo, però, è necessario essere chiari su quello che deve essere il rapporto fra Stato e società. Una vera applicazione del principio di sussidiarietà, che da tempo riassumiamo con il motto “più società, meno Stato”, è l’unica strada che può permettere di arrivare ad una vera valorizzazione di tutte le realtà che nascono dal basso, dalle persone e dalle associazioni. Lo Stato e la politica in generale devono saper guardare e favorire queste realtà, mentre invece il più delle volte dallo Stato non arriva altro che complicazione burocratica.

       Un esempio di democrazia economica è quella che ha permesso che piccole iniziative nate in un garage, come ad esempio quella di Bill Gates o di Hewlett e Packard, possano poi affermarsi e diventare protagonisti a livello internazionale. Da noi, invece, se un Bill Gates inizia la propria attività in un garage, presumibilmente possiamo aspettarci che arrivi l’Asl e lo costringa a chiudere. Democrazia economica significa innanzitutto non impedire la libertà di costruire.


Servizio a cura di Ettore Colombo

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