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  Bipolarismo “ideologico” o modello tedesco?

Data di pubblicazione: Venerdì, 23 Marzo 2007

TRAGUARDI SOCIALI / n.25 Marzo / Aprile 2007 :: Bipolarismo “ideologico” o modello tedesco?

Sistemi elettorali


Sistemi elettorali
BIPOLARISMO “IDEOLOGICO” O MODELLO TEDESCO?



      Il tema della riforma del sistema elettorale sta, prepotentemente, ritornando al centro del dibattito politico e all’attenzione dell’opinione pubblica. In Italia, i ragionamenti sulla legge elettorale, così come anche le iniziative referendarie relative sono, ormai da molti anni, caratterizzati da un’impostazione “decisionista”, solo Apparentemente “aideologica”. Una impostazione sottesa, nella buona sostanza, dal Pensiero che il fine dei sistemi elettorali debba essere, solo ed esclusivamente, quello di garantire un meccanismo capace di produrre il maggior tasso possibile di decisionismo e di governabilità.

       Ora, se è fuori discussione che un sistema elettorale debba essere in grado di produrre capacità di decisione e governabilità è, anche, fuori discussione che deve, pur, essere capace di garantire rappresentatività e partecipazione che costituiscono -   e certo in misura non minore di governabilità e decisionismo! – il fulcro di una moderna democrazia. Il prezzo che si rischia di pagare, trascurando questo equilibrio, è quello di un oggettivo impoverimento del tessuto democratico, e di una caduta verticale della partecipazione e dell’interesse della gente nei confronti della politica. Appunto, ciò che, da tempo, sta accadendo in Italia.

       Il dibattito sui sistemi elettorali è stato, fino ad oggi – volutamente? – connotato in senso tecnico, quasi si trattasse di scelte di “ingegneria istituzionale” esclusivamente finalizzate al più efficiente funzionamento dei meccanismi decisionali. Ma non è questa l’ottica giusta. La scelta del sistema elettorale ha, infatti, pesanti implicazioni storiche, ideologiche, culturali e politiche. è giunto il momento di togliere queste implicazioni dal cono d’ombra in cui sono state relegate e ragionarne a fondo. è questo il vero cuore del problema.

       Ci accorgeremo, allora, che il dibattito sulla legge elettorale è, in realtà, quanto di più ideologico e politico possa esservi; che ogni differente sistema elettorale è strettamente collegato e funzionale ad uno specifico assetto sociale, ad uno specifico progetto di società, ad un preciso equilibrio di forze e di interessi in campo, ad una specifica logica culturale e storia nazionale. Non a caso i referendum elettorali di Mario Segni sono stati, assieme agli scandali sul finanziamento della politica, il principale strumento di scardinamento ed eversione della prima Repubblica! Cioè di una crisi di sistema. Ora, quello che risulta, a tutta prima evidente, è che, in realtà, sostanzialmente anche se non esplicitamente, il modello del bipartitismo americano, tranne sporadiche eccezioni, affascina tutti i politici della seconda repubblica: da destra a sinistra. Si pensi all’artificiale tentativo di innesto delle primarie in realtà estranee alla tradizione politica italiana – recentemente riproposte anche da Berlusconi – si pensi al pervicace tentativo di costruzione del “partito democratico” nell’area del centro-sinistra: “americano” perfino nel nome.

       In realtà, il sistema elettorale americano è un sistema molto complesso, nella buona sostanza, rigidamente maggioritario e bipartitico, frutto della forma federale dello Stato e della visione aristocratica ed elitaria della democrazia che avevano i padri costituenti. La democrazia americana è senza dubbio una grande democrazia, ma, certo, non è incentrata sulla partecipazione. è una democrazia fondata sull’individuo, più che sulle comunità, sulla scorta di una forte e radicata tradizione anglosassone. è noto, inoltre, che, negli Stati Uniti, la percentuale di elettori partecipanti al voto oscilla sempre intorno al 40% ed il sistema elettorale, anche per l’elezione del presidente, è rigidamente maggioritario: i voti si attribuiscono per singolo Stato e, vanno tutti ed esclusivamente, a prescindere dalle reali percentuali, al candidato che ha ottenuto la maggioranza dei consensi.

      Va poi aggiunto, in sovrappiù, che il sistema elettorale americano è anche strettamente funzionale ad un modello assolutamente ispirato al liberismo più radicale, sotto il profilo sociale ed economico.

       Il suo bipolarismo e bipartitismo faticano, in realtà, a rappresentare le mille sfaccettature e tensioni culturali ed ideologiche che la realtà italiana presenta. Da noi è, a tutt’oggi, troppo debole l’ “idem sentire” che fa in qualche modo funzionare il meccanismo politico statunitense, consentendo un’alternanza, apparentemente radicale ma che, in realtà, si muove entro una forte cornice di valori condivisi.

      Senza nessuna preclusione ideologica, né, tantomeno, alcuna condanna si deve constatare che la società italiana è profondamente diversa: più solidale, più ancorata alla nostra identità popolare ed alle sue radici culturali, più europea. Il nostro modello di società non è riconducibile a quella logica bipartitica senza evidenti forzature.

       Malgrado le apparenze di instabilità, dai primi giorni della Repubblica fino agli anni ’80/’90, vi è stato, in Italia, un sistema politico forte ed una legge elettorale proporzionale finalizzata verso un modello di società basato sui principi di politica e partecipazione. è questa la vera ragione per cui negli anni del dopoguerra la società italiana ha potuto realizzare una crescita economica e sociale assolutamente straordinaria.

       Un modello, sicuramente, oggi non riproponibile, che al finire del secolo, divenuto ormai usurato e autoreferenziale, ha collassato improvvisamente, a fronte dei violenti cambiamenti della situazione internazionale ed interna, interrompendo, così, ogni possibile naturale evoluzione graduale che avrebbe potuto condurre, senza lacerazioni cruente, a recuperare capacità di innovazione, stabilità e governabilità.

         E' questa frattura che ha aperto e determinato la crisi della politica in cui viviamo ancora oggi. Una crisi che, per essere superata, ha, innanzitutto, bisogno della capacità di recuperare un meccanismo elettorale realmente misurato sulle peculiarità che caratterizzano l’identità culturale, storica e politica italiana. Un meccanismo elettorale capace di ridare alla “Politica” – scritta non casualmente con la “p” maiuscola! – diritto di cittadinanza in questo Paese.

       Ciò spiega perché ultimamente si sta manifestando una significativa, crescente, forte attenzione verso il “modello tedesco”. Sono, infatti, numerose e significative le analogie politiche, storiche, e culturali che possono riscontrarsi tra la situazione tedesca e quella italiana e il modello elettorale tedesco potrebbe rivelarsi lo strumento vincente per offrire adeguata risposta all’esigenza di coniugare governabilità, rappresentatività e partecipazione.

       Se ci si ferma un attimo a riflettere, appare immediatamente del tutto evidente che il sistema politico italiano dopo il crollo dell’Unione Sovietica e la crisi del PCI stava andando a configurarsi secondo una logica abbastanza simile a quella del modello tedesco, se a bloccare questa evoluzione non si fosse determinato un pesante intervento esterno.

       Un grande partito socialdemocratico, a guida socialista, stava per inglobare la componente comunista ricollocandola saldamente nella tradizione socialdemocratica europea nell’area di centrosinistra. Ciò avrebbe innescato una contemporanea parallela evoluzione della Democrazia Cristiana verso un formula popolare-europea abbastanza simile a quella della CDU tedesca, nell’area di centrodestra. Con buona pace della sinistra dossettiana!

         Ci si avviava in questo modo verso un sistema politico fondato su una logica fondamentalmente proporzionale – capace dunque di dare rappresentanza istituzionale anche alle posizioni minoritarie significativamente sedimentate nella società italiana – ma, capace, anche, di agevolare la convergenza ed il confronto al centro, da destra e da sinistra, dei due grandi partiti popolari: quello di ispirazione cristiana e quello di tradizione socialdemocratica assicurando, dunque, stabilità, governabilità e alternanza.

       A questo punto, superata, la questione comunista, che aveva condizionato l’assetto politico italiano dal dopoguerra in poi, ci si sarebbe probabilmente avviati verso un vero bipolarismo moderato, non ideologico. L’ “idem sentire” di cui parlavamo a proposito dell’alternanza nel sistema americano, avrebbe potuto cominciare a configurarsi, seppure su valori condivisi diversi.

       E', infatti, fuor di dubbio che la tradizione popolare e quella socialdemocratica condividono, seppur in ottiche differenziate, valori fondamentali: la partecipazione, la solidarietà, il rispetto della persona, la tutela dei più deboli. L’insieme di questi valori condivisi consente, senza dubbio, di poter immaginare il consolidarsi di un bipolarismo non conflittuale. Cioè di un bipolarismo vero. Ma questa evoluzione non c’è stata; “l’invasione di campo” dei primi anni ’90 ha interrotto bruscamente questo processo ed ha dato all’Italia quasi quindici anni di interminabile transizione e di crisi della politica.

         Oggi si tratta, aldilà delle nostalgie e dei nominalismi, badando soltanto alla sostanza politica, di ritrovare e riannodare i fili di questa rottura, e di questo processo per tentare di rimettere la politica italiana nell’alveo della sua evoluzione naturale.

       L’adozione del sistema elettorale e del “cancellierato” tedesco, potrebbe costituire la premessa per riavviare verso un lungo periodo di normalità e di stabilità la politica italiana.


Pierpaolo Saleri
Fondazione Europa Popolare

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