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  Lavoro nero

Data di pubblicazione: Sabato, 10 Giugno 2006

TRAGUARDI SOCIALI / n.20 Aprile / Maggio 2006 :: Lavoro nero

di Marco Boleo


LAVORO NERO



       Mettendo da parte ogni considerazione sul sommerso economico complessivo cui il Servizio studi del Mcl ha dedicato recentemente un’analisi, vorrei focalizzare in questa sede l’attenzione sul lavoro irregolare traendo spunto da alcuni dati contenuti in un recente rapporto.

      Nel nostro Paese la sua diffusione varia notevolmente da regione a regione: mentre nel centro-nord abbiamo soprattutto il lavoro irregolare grigio, nel sud abbiamo una prevalenza del lavoro nero. Questo perché, com’è noto, nelle zone d’Italia dove è presente un tessuto industriale efficiente e dinamico, con una rappresentanza sindacale forte, con la pressione e la diffusione dell’attività di vigilanza e con la sensibilità sociale e politica, il lavoro nero assume una minore rilevanza quantitativa.

       Al riguardo l’ultimo rapporto del Censis relativo all’anno 2005 fotografa una realtà caratterizzata dalla crescita sia del lavoro nero che dell’evasione fiscale. Negli anni che vanno dal 2002 al 2005, infatti, pur emergendo una riduzione dell’incidenza delle imprese irregolari (da quelle caratterizzate da un sommerso totale a quelle che fanno uso dell’evasione fiscale e contributiva), che è passata dal 66% al 53%, si è manifestata nel contempo una crescita complessiva dei livelli di irregolarità del lavoro, particolarmente significativa nel Sud del nostro paese, che ha portato l’incidenza del lavoro autonomo irregolare dal 15,7% al 16,2% e di quello dipendente totalmente irregolare, dal 26% al 27,9%. Questa contraddizione dei dati è solo apparente e può essere spiegata col fatto che la diminuzione delle imprese irregolari è dovuta in prevalenza alla marcata diminuzione del saldo tra le imprese che vengono create e quelle che cessano l’attività. Ciò è avvenuto in prevalenza nei settori di produzione più maturi, dove neanche il ricorso al sommerso riesce a far loro recuperare la competitività necessaria per stare sul mercato. In questo contesto troviamo anche un aumento della quota dei lavoratori regolarmente assunti (dal 21.3% al 22.5%), verso i quali però vengono messe in atto delle pratiche che sono regolari solo a livello nominale: mancato rispetto dei contratti collettivi, doppia busta paga, dichiarazione del numero di ore di lavoro inferiore a quelle effettivamente svolte. Nella ricordata analisi del Servizio studi Mcl viene avanzata una proposta che ci sentiamo di rilanciare e che potrebbe porre fine ad una delle cattive pratiche cui è soggetto quasi un quarto dei lavoratori in regola. Le mprese dovrebbero essere obbligate ad effettuare i pagamenti salariali in modalità controllabili, quali ad esempio l’accreditamento bancario, riducendo in questo modo la ricordata piaga di remunerazioni di fatto inferiori alle dichiarazioni formali.


Marco Boleo

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