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  L’Italia stretta fra tre crisi

Data di pubblicazione: Martedì, 13 Dicembre 2011

TRAGUARDI SOCIALI / n.50 Novembre / Dicembre 2011 :: L’Italia stretta fra tre crisi

L’analisi della situazione economica

Quando si compie un’analisi economica, occorre farlo in termini dinamici, disegnando lo scenario entro cui ci si muove, altrimenti si rischia di compiere un’analisi sterile.
Attualmente in Italia siamo alle prese con tre crisi. La prima è quella a cui i più fanno riferimento, ed è quella originatasi negli Usa nell’agosto 2007; poi vi è quella italiana, tutta interna, che ha inizio al principio degli anni ’90 del secolo scorso e che tiene il tasso di crescita del nostro Pil al di sotto dell’1%; e poi vi è quella del vincolo delle materie prime. I Paesi del gruppo dei Bric (Brasile, Russia, India e Cina), infatti, sperimentando tassi di crescita importanti pongono il problema che un siffatto scenario è insostenibile data la tecnologia e le risorse naturali a disposizione. In questo caso, se i prezzi delle materie prime dovessero ripartire alla grande non appena ci sarà un po’ di ripresa, allora lo scenario inflazionistico diventerebbe più probabile e, per Paesi come il nostro con alta dipendenza estera, le cose potrebbero complicarsi.
Alla luce di ciò, questa volta ci concentreremo solo sulla nostra crisi interna, lasciando ad un’altra occasione l’analisi delle altre.
E’ raro trovare analisi sulla crisi economica italiana che fotografino bene la realtà. I più pensano che gli attuali problemi siano figli della crisi economico–finanziaria originatasi dalla crisi dei mutui subprime degli Usa, esplosa nell’agosto del 2007. Nulla di più sbagliato. Uno shock esterno va solo ad evidenziare problemi e carenze strutturali di natura endemica, che solo per circostanze fortunate non si sono fino ad allora manifestati. I nodi irrisolti nel nostro sistema-Paese si trascinano almeno dal 1992, ed i nostri principali indicatori economici stanno a testimoniarlo. La natura interna della nostra crisi comporta ovviamente che il superamento della crisi mondiale non risolve affatto i problemi di carattere strutturale della nostra economia che, oltre ad aver sperimentato la diminuzione del Pil peggiore in tempi di pace, ha un andamento negativo della produttività, il cui declino è iniziato dagli inizi degli anni Novanta. Un tale andamento della produttività ha provocato una riduzione del tasso di crescita del Pil ed una perdita di competitività delle nostre merci sui mercati esteri. Prima dell’adozione dell’euro un siffatto gap di competitività veniva sanato dalle svalutazioni competitive della lira.
La crescita del Pil è stata frenata principalmente da quattro fattori: 1) dall’andamento della finanza pubblica che necessita di una riduzione della pressione fiscale, di una diminuzione della spesa corrente e di un aumento della spesa in conto capitale che privilegi le infrastrutture (trasporti, comunicazioni e reti); 2) dall’inadeguatezza delle infrastrutture materiali ed immateriali: oltre al potenziamento delle infrastrutture materiali abbiamo bisogno anche di una riscrittura del diritto dell’economia (commerciale, societario, fallimentare e civile) che adegui le regole del gioco alle esigenze del sistema produttivo; 3) dal nanismo delle nostre imprese: la crescita economica necessita di imprese dinamiche e richiede una sinergia tra piccole, medie e grandi imprese - visto che solo le imprese di grandi dimensioni, come ci insegna Schumpeter, riescono a diffondere ed applicare le innovazioni più promettenti; 4) dal venire meno della concorrenza dinamica. Bisogna favorire l’ingresso nel mercato di nuove imprese che costituendo una minaccia per quelle già presenti porteranno ad un livellamento dei profitti tra settori e ad un aumento della produttività attraverso la ricerca, l’innovazione ed il progresso tecnico. I punti 1) e 2) necessitano di un intervento riformatore dello Stato e quindi del settore pubblico; i punti 3) e 4), invece, di un impegno delle imprese e quindi del settore privato. Altrimenti si corre il rischio di un peggioramento della nostra crisi alimentato dal circolo vizioso: insolvenza delle imprese, perdite nei bilanci delle banche e conseguente blocco del credito agli investimenti. La conseguente riduzione dell’occupazione potrebbe ridurre i consumi e portare ad un aumento del debito pubblico. Al contrario gli interventi sopra ricordati potrebbero risollevare la crescita del Pil e portarla ad un ritmo di almeno il 2,5% l’anno che ci porterebbe fuori dal guado.

Marco Boleo
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