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  Cattolici: testimoni in rete

Data di pubblicazione: Martedì, 11 Dicembre 2007

TRAGUARDI SOCIALI / n.28 Novembre / Dicembre 2007 :: Cattolici: testimoni in rete

Riflessioni a conclusione delle Settimane Sociali di Pisa e Pistoia


Riflessioni a conclusione delle Settimane Sociali di Pisa e Pistoia

CATTOLICI: TESTIMONI IN RETE



      Pathos, passione. Si potrebbe identificare in questi termini la prospettiva che indirizza l’impegno dei cattolici italiani dopo il convegno di Verona e le settimane sociali di Pistoia-Pisa.

      E’ l’atteggiamento di chi, pur consapevole della difficoltà della situazione, della limitatezza dei numeri e della disparità di mezzi (umani), ma percependo la grandezza del messaggio cristiano ed il conseguente impegno, non rinuncia ad una testimonianza, pur difficile ed impegnativa, rivolta alla costruzione di una società antropocentrica e del bene comune.

       Una prospettiva che attraversa in forza della fede i passaggi della storia e si ripropone oggi ancora più chiara rispetto a cento anni fa, quando cattolici illuminati diedero avvio all’esperienza delle Settimane Sociali, entrando nello spazio sociale e politico per fedeltà all’appartenenza alle due città, quella di Dio e quella dell’uomo, e dimostrando, pur bersaglio delle sassate degli anticlericali del tempo (evidentemente non ci sono mai stati tempi facili per i cattolici), che la storia non è un succedersi di avvenimenti a lato rispetto all’esperienza di fede, che non ci sono due storie distinte o parallele: una di fede e una della quotidianità dell’esperienza umana. No, una sola è la nostra vita e in questa vanno fatti valere i talenti della fede. E’ su ciò che facciamo o non facciamo in questa vita che saremo giudicati, non solo dalla storia degli uomini ma soprattutto dal Padre.

       Il messaggio inviato dal Papa ai mille delegati di Pisa chiudeva con questa considerazione: “La Chiesa, se da una parte riconosce di non essere un agente politico, dall’altra non può esimersi dall’interessarsi del bene dell’intera comunità civile in cui vive ed opera, e ad essa offre il suo peculiare contributo, formando nelle classi politiche e imprenditoriali un genuino spirito di verità e onestà, volto alla ricerca del bene comune e non del profitto personale.” Nella sua prolusione così il card. Bagnasco: “Attenta com’è alla persona umana nella sua dimensione sociale e trascendente, la Chiesa è chiamata ad applicare oggi il suo discernimento che è ascolto e proposta, elaborazione e comunicazione, come servizio comunitario e atteggiamento ecclesiale. Nel diretto impegno politico, i laici sono chiamati a spendersi in prima persona attraverso l’esercizio delle loro competenze (anche professionali, imprenditoriali, associative, ecc. ndr) e contestualmente in ascolto del Magistero della Chiesa. Non è questo il tempo di disertare l’impegno, ma semmai di   prepararlo e orientarlo. A tal fine la parola dei pastori non potrà essere assente”.

       Lo stesso Papa Paolo VI nella Populorum Progressio, di cui nel 2007 abbiamo ricordato il 40° e la straordinaria attualità, così si esprimeva indicando chiaramente il compito della Chiesa intesa come Popolo di Dio, consacrati e laici insieme: “Portare la parola di speranza non solo religiosa ma sociale altresì, non solo spirituale ma anche terrena, non solo per i credenti in Cristo ma ugualmente per tutti, e sempre dettata dalla luce che viene dalla fede.” Non vi trova spazio una “scelta religiosa” che non sia correttamente intesa, neppure l’idea di una Chiesa crocerossina della storia, relegata al pur rilevantissimo, irrinunciabile ma non esclusivo, ruolo di assistenza agli ultimi.

       La scelta di impegno nell’ambito sociale e politico in senso ampio, non limitato esclusivamente all’area partitica o istituzionale, ma rivolto complessivamente alla città dell’uomo, è conseguenza giustificata ed orientata dall’esperienza di fede: nel mondo proprio perchè cristiani. Perdere il riferimento a questo assioma è pericoloso in particolare in questo tempo caratterizzato dal relativismo, considerato da Benedetto XVI il più grave pericolo che incombe sulla umanità. E questo tarlo si insinua anche tra i credenti se è vero, come ha segnalato Mons. Giampaolo Crepaldi nel primo dei seminari preparatori della Settimana Sociale, che si è subita l’idea di una laicità come neutralità e quindi si è ceduto sul piano della identità. Neutralità che sfocia in quell’indifferenza, denunciata dal card. Caffarra nell’intervista al Corriere dell’inizio novembre, che è certamente atteggiamento molto diffuso ma che va nella direzione diametralmente opposta rispetto alle posizioni sopra espresse e alla stessa imponente, anche se misconosciuta, storia del movimento cattolico.

       Proprio nello spirito di quella “fraternità” (tra i molti vescovi sacerdoti e laici, tra i laici fra loro, tra associazioni diverse) che le Settimane Sociali hanno affermato nei fatti e nelle prospettive (spirito che abbiamo molto apprezzato e consideriamo importantissimo per i passi futuri), ci permettiamo sommessamente di far presente che sembra affiorare tra gli stessi cattolici quell’esercizio pericoloso di una eccessiva selezione tra quelli che vengono comunemente chiamati valori non negoziabili, da alcuni usati come arma impropria di contrapposizione. Non ci sembra foriero di prospettive positive né di speranza per le persone, mettere in contrapposizione vita e famiglia da una parte e pace e giustizia sociale dall’altra (spesso utilizzando l’obsoleto e inadeguato schema destra-sinistra per cui vita e famiglia sarebbero valori di destra e gli altri di sinistra). Proprio nel corso delle Settimane Sociali un autorevole e stimato convegnista chiedeva ai Vescovi di evitare una sovraesposizione su etica e famiglia a vantaggio dei temi della pace e dello sviluppo, non cedendo alla logica del muro contro muro e favorendo la mediazione della politica.

      L’intransigenza è controproducente, affermava. A noi sembra che, probabilmente, una sovraesposizione dei Vescovi c’è stata, ma proprio per questo li ringraziamo: non c’è altra voce in Italia con la stessa autorevolezza e non c’è, almeno per il momento, un’altrettanto credibile e unitaria voce del laicato. Crediamo che le critiche ai Vescovi non possano venire dal mondo cattolico, almeno non con questi argomenti, tant’è vero che il relatore (prof. D’Agostino) a cui la domanda era rivolta, rispondeva grosso modo così: ci sono punti su cui non si negozia. Forse qualcuno è disposto a mediare sulla tortura, ad accettare compromessi sulla pedofilia? Sicuramente no, considerandoli reati contro natura, contro la dignità delle persone (e chi viene arrestato per questi reati rischia molto anche da parte degli altri detenuti). Cosa penseremmo di una politica che dicesse: la pedofilia fino ad un certo livello è ammessa, oltre no (come invece si fa per la vita, l’aborto, ecc.)? E’ strano che proprio sui temi della vita e della morte si tiri fuori l’argomento del muro contro muro e della necessità di mediare. Sono i valori umani a non poter essere oggetto di trattativa, non perché cattolici ma in quanto appartengono a tutti. Tenere posizioni ferme non è intolleranza!

       Dialogo, condivisione, moderazione, tolleranza, sono comportamenti virtuosi da perseguire in ogni circostanza. Quante volte il MCL ha promosso occasioni di incontro e riflessione, fatto convegni (anche europei o dell’area mediterranea), avanzando proposte per affermare la coesione sociale che di questo modo di agire è frutto e diretta conseguenza! Ma la tolleranza è rischiosa se diventa autoreferenziale e si trasforma in mito impedendo di discernere il bene dal male, il positivo dal negativo e, quando così intesa, può condurre, come su un piano inclinato, a quella neutralità e indifferenza che non vogliamo accettare.

       Stupiscono, inoltre, le reazioni al messaggio di saluto del S. Padre ai partecipanti all’appuntamento di Pisa in particolare per la parte riguardante il lavoro. Ci si è accorti, all’improvviso, che la Chiesa è interessata ad ogni momento della vita delle persone, dunque anche al lavoro, per quella intrinseca dimensione valoriale che il MCL, avendo principalmente a cuore l’uomo che lavora, aveva sottolineato con uno specifico contributo offerto alla riflessione di tutti proprio in occasione delle Settimane Sociali, nel quale si chiedeva di affrontare il lavoro in un ambito di ordine culturale prima che politico, economico e sociale, superando le tradizionali schematizzazioni che spingono a considerare il lavoro in brutale chiave economicista. Come se non fossero mai state offerte a tutti la Laborem exercens, la Centesimus Annus, la Sollecitudo Rei socialis, la Populorum Progressio, la Humanae vitae (che assume sempre più la valenza di enciclica sociale) che partono dalla centralità dell’uomo e la affermano rispetto ai sistemi economici e all’organizzazione del lavoro! E così anche il Papa, come successo ai Vescovi, è stato assoldato, strattonato e strumentalizzato per convenienza o secondo una appartenenza. E’ strano (ma non più di tanto) che il Papa venga considerato un paladino dei diritti del lavoro (e lo è, e ci fa piacere), ma venga dileggiato quando interviene a favore della vita, contro i di.co., prendendosi accuse di “intollerabile ingerenza”. Ma nella storia della Chiesa non è una novità: già Paolo VI, considerato da alcuni interessati osservatori (!) conservatore, l’affossatore della carica giovannea, preoccupato di chiudere in fretta l’esperienza del Concilio, cappellano dell’Occidente, nel momento in cui scrive la Populorum Progressio viene accusato di marxismo (si ricorda il titolo del Borghese: “Avanti populorum alla riscossa!”); poi Giovanni Paolo II, che aveva contribuito alla riunificazione europea, alla fine dei regimi comunisti, veniva considerato anti-americano per aver ammonito i governanti rispetto ai rischi della guerra (nel marzo 2003 dalla finestra, con voce roca: “Ho vissuto la seconda guerra mondiale e sono sopravvissuto, per questo ho il dovere di ricordare a tutti i più giovani, a tutti quelli che non hanno avuto questa esperienza, ho il dovere di dire, mai più la guerra!”). Ed ora Benedetto XVI, dipinto come superconservatore tanto da reintrodurre la Messa in latino che diventa (sempre secondo interpretazioni di parte) sponsor della sinistra antagonista nei giorni di una manifestazione romana. A noi pare che troppe volte anche noi cattolici ci facciamo prendere dal vizio di collocare Papa e Vescovi sotto questa o quella bandiera, come se il problema del mondo fosse stare con questa destra o con questa sinistra e come se ciò costituisse lo spartiacque tra bene e male, tra vita e morte, come una sorta di nuova cortina di ferro o muro di Berlino. Sembra essere questo un esercizio, sia se compiuto dai cosiddetti laicisti che dall’interno del nostro mondo, piuttosto sciocco, banale e dannoso perché incapace di cogliere il centro del messaggio, dunque incapace di portare alla soluzione dei problemi.

       Davanti a questi scenari a noi pare non si possa fare altro che quello che il card. Bagnasco ha delineato: “Si profilano nuovi scenari sociali e ai cattolici si aprono nuove possibilità per continuare a tessere una trama di amore e responsabilità civile, a condizione che si rinunci a modelli di democrazia e di mercato non più sostenibili”. Alle parole del Presidente Cei si aggiungono quelle del Papa quando invita i laici italiani a “cogliere con consapevolezza la grande opportunità che offrono queste sfide e reagiscano non con un rinunciatario ripiegamento su se stessi ma, al contrario, con un rinnovato dinamismo, aprendosi con fiducia a nuovi rapporti e non trascurando nessuna delle energie capaci di contribuire alla crescita culturale e morale dell’Italia”.

       Se i cattolici italiani avevano bisogno di un viatico l’hanno avuto, e non ci sono scuse per ulteriori ritardi nel “preparare e orientare” l’impegno di gruppi, associazioni e movimenti, la cui azione sinergica possa tessere la trama su cui fondare una rinnovata testimonianza politica nel senso più ampio e nobile. Una testimonianza che parta dalla ragione dei valori umani validi per tutti e non tesoro rivendicato gelosamente da una parte, costruendo, come dice Papa Benedetto, ponti di comprensione e comunicazione tra l’esperienza ecclesiale e l’opinione pubblica.


Noè Ghidoni

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