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  Intervista all’On.le Alfredo Mantovano

Data di pubblicazione: Martedì, 3 Febbraio 2015

TRAGUARDI SOCIALI / n.69 Gennaio 2015 :: Intervista all’On.le Alfredo Mantovano

Coppie di fatto, depenalizzazioni, eutanasia: tutto da rifare.

Eletto in Parlamento per quattro legislature con AN – Il Popolo della Libertà, più volte Sottosegretario con i Governi Berlusconi, giornalista e cattolico convinto – fra l’altro è stato uno dei 121 promotori di Scienza & Vita ed ha aderito alla campagna UnodiNoi di cui è stato componente del Comitato nazionale – Alfredo Mantovano è oggi soprattutto un magistrato di Corte d’Appello. Infatti, concluso il mandato parlamentare, ha deciso di non ricandidarsi al Parlamento per tornare a far parte dei ranghi della magistratura.

In un suo libro di alcuni anni fa, “La guerra dei Dico”, lei sostenne la tesi che una legge che disciplini le coppie di fatto, dando riconoscimento pubblico e formale anche alle convivenze tra persone dello stesso sesso, non è, in realtà, necessaria in quanto la gran parte dei cosiddetti diritti individuali, spesso evocati a fondamento di una legge sulle convivenze, già trovano puntuale tutela nel nostro ordinamento giuridico. Potrebbe indicarci qualche esempio concreto ad illustrazione di questa tesi?

I diritti che sono già riconosciuti ai componenti di una coppia di fatto sono numerosissimi; una disamina attenta e oggettiva fa scoprire, per esempio, che nulla osta all’assistenza in qualunque struttura sanitaria del convivente nei confronti del proprio partner. Addirittura - quando il paziente non è in condizioni di capire e in assenza di coniuge - in base a una legge del 1999, il convivente viene informato e può decidere un’operazione di trapianto di organo. Norme di parificazione del convivente al coniuge, derivanti dalla legge ordinaria o dalla giurisprudenza, ci sono in tema di assistenza da parte dei consultori, di interdizione e inabilitazione, di figli, di successione nella locazione e nell’assegnazione di un alloggio popolare; il partner di fatto ha titolo, a determinate condizioni, al risarcimento del danno subito dall’altro partner; perfino la legislazione sulle vittime di mafia o terrorismo equipara il convivente al coniuge. E questo accade sia che la convivenza riguardi persone di sesso diverso sia che riguardi persone del medesimo sesso. è più facile elencare quello che resta ancora fuori: a) la riserva di legittima per la successione; b) l’adozione; c) il regime pensionistico di reversibilità.

La nostra Costituzione definisce la famiglia una “società naturale fondata sul matrimonio”. Questa definizione fa chiaramente riferimento al diritto naturale e, pertanto, sembra limitare strettamente il concetto stesso del matrimonio a quello tra uomo e donna. A fronte di questo non sorge il dubbio che una eventuale legge di riconoscimento del matrimonio omosessuale implichi, quantomeno, una modifica della Costituzione, con tutto quello che ne consegue sul piano procedurale?

Tante espressioni nella Costituzione e in importanti leggi ordinarie fanno riferimento a concetti che vanno oltre lo stretto diritto positivo, senza destare scandali o contrasti: si pensi ai requisiti civilistici della buona fede o della diligenza del buon padre di famiglia. Prima ancora che con la Costituzione, l’estensione del matrimonio all’unione fra persone dello stesso sesso contrasta col buon senso, poiché pone sullo stesso piano situazioni oggettivamente diverse, a cominciare dalla possibilità di avere figli. L’introduzione del matrimonio gay ha come indispensabile corollario, se l’equiparazione ha da essere completa, non solo la fecondazione artificiale di tipo eterologa, da poco permessa dalla Corte Costituzionale, ma anche la maternità surrogata. Il richiamo alla natura contenuto nella norma costituzionale sulla famiglia suonerà a quel punto come irridente.
Nelle società occidentali la centralità della “questione antropologica è fuori discussione. In Francia l’opposizione alle nozze gay, ed alla possibilità di adozione di bambini da parte di coppie dello stesso sesso, ha dato vita, con “Manif pour tous,” ad un forte e possente movimento di opposizione popolare di massa: un movimento non confessionale al quale hanno aderito le più varie componenti della società civile. In Italia non è ancora avvenuto nulla di comparabile.

Ci sono, secondo lei, i presupposti per cui un movimento dello stesso tipo possa nascere anche nel nostro Paese? E quale potrebbe essere il ruolo dei cattolici in questa impresa?

Il Cardinale Ruini ha ricordato in una recente intervista che “negli anni ‘70 anche molti non marxisti erano convinti che il marxismo fosse un orizzonte insuperabile per la cultura e la storia. Ma poi il marxismo si è dissolto (…). Non so dire se accadrà qualcosa di analogo con l’attuale tendenza libertaria; ma non lo escludo”. Accadrà qualcosa di analogo quando chi ritiene contraria al destino della nostra Nazione l’“attuale tendenza libertaria” deciderà di far sentire la propria voce. Talora sembra di vedere uno di quei film nei quali le truppe restano ferme, indifferenti alle azioni di pattuglie valorose, che pure mettono in difficoltà il nemico ma sono troppo esigue per ottenerne ragione. Prima delle ultime elezioni politiche Giuseppe De Rita scriveva un articolo dal titolo - che ne era sintesi - La scomparsa dei cattolici dalla campagna elettorale, con passaggi come questo: “l’appartenenza cattolica è diventata un elemento del curriculum individuale, non il riferimento a un’anima collettiva di proposta politica”. La constatazione vale pure sul versante della piazza: riprendere oggi a manifestare a cielo aperto su temi di principio e al tempo stesso molto concreti non solo farebbe riappropriare del senso di appartenenza, ma certificherebbe per le istituzioni l’esistenza di un popolo della vita e della famiglia, come accade in Francia con Manif. Legherebbe l’esplicitazione della propria “anima collettiva” a una precisa “proposta politica”, uscendo da un contesto para catacombale.

Nello scorso dicembre è stata introdotta, nel nostro ordinamento, la depenalizzazione di molti reati “cosiddetti minori”. Tra i reati depenalizzati vi sono: reati contro il patrimonio come il furto semplice, la truffa e l’appropriazione indebita; reati contro la persona, quali la lesione personale semplice, l’aver preso parte a risse da cui consegue morte o lesione di qualcuno, l’omicidio colposo semplice, l’omissione di soccorso ed infine anche molte specie di reati societari. E’ di tutta evidenza che molti di questi reati sono di larga diffusione e generano elevato allarme sociale soprattutto nelle aree metropolitane già oggi afflitte da una grave e diffusa microcriminalità spesso incontrastata. Tra l’altro tale depenalizzazione avviene proprio mentre, con il progetto di legge sull’omofobia, si sta tentando, da tempo e in tutti modi, di introdurre nuovi odiosi reati d’opinione contro chi difende la famiglia. Lei come valuta questa situazione?

Semplicemente schizofrenica. I reati elencati sono “minori” solo per chi non ne è vittima. Il decongestionamento giudiziario passa anzitutto attraverso misure organizzative serie, adeguate distribuzioni dei carichi di lavoro, verifiche della laboriosità e, se necessaria, anche depenalizzazione: ma di quegli illeciti - si pensi al settore tributario o sanitario - per i quali una rapida sanzione amministrativa è più efficace di una risposta punitiva penale.
Vi è un non lieve tasso di ideologia nella scelta di ritenere “minori”, e quindi di non punire, condotte che colpiscono direttamente la persona o i suoi beni, e invece di sanzionare condotte rispondenti a tendenze del momento.
Qualche settimana fa un ristoratore, reo di detenere nel frigo del proprio locale granchi, aragoste e astici vivi a temperature oscillanti fra 1.1° e 4.8°, è stato condannato per maltrattamenti agli animali dal tribunale di Firenze a 5.000 euro di ammenda e a 3.000 euro di risarcimento danni in favore della Lega antivivisezione, costituitasi parte civile. Nelle tre pagine di motivazione la sentenza spiega che sì, è vero, i crostacei si cucinano vivi; e però è crudele prima chiuderli in frigo a temperature prossime allo zero, distanti dalla loro temperatura naturale. La notizia di questa pronuncia si è avuta in contemporanea con quella della sentenza della Corte di Giustizia europea che autorizza la brevettabilità a fini commerciali di un ovocita umano non fecondato ma manipolato, cioè oggetto di una procedura biotecnologica che attiva la partenogenesi, al fine di “produrre” cellule staminali umane embrionali.
Nel 2005, negli USA, la vita di Terri Schiavo venne soppressa rimuovendo il tubo di alimentazione per ordine dell’autorità giudiziaria. Il Congresso si oppose inutilmente. Analoga situazione si è verificò in Italia con il caso di Eluana Englaro. In Germania il matrimonio gay è stato introdotto nell’ordinamento giuridico da una sentenza della magistratura.

In California una sentenza ha reintrodotto i matrimoni gay delegittimando il referendum popolare che li aveva bocciati. La concatenazione di questi episodi non sta ad indicare un profondo generalizzato sconvolgimento del rapporto tra potere politico e potere giudiziario tale da configurare il pericolo di un vero e proprio “svuotamento” della democrazia rappresentativa a livello internazionale?

Leggendo la sentenza della Corte Costituzionale n.162/2014 sulla fecondazione eterologa si trovano affermazioni di principio contrastanti con la più elementare antropologia: se però oggi queste affermazioni sono diventate vincolanti e producono effetti giuridici, è perché sono arrivate a palazzo della Consulta dopo un lungo cammino che ha attraversato le aule universitarie, le aule giudiziarie, i forum, le pubblicazioni di vario tipo, da quelle iper specialistiche a quelle più divulgative. Non si può prevedere se e quanti decenni trascorreranno perché nelle sedi accademiche e in quelle istituzionali sarà permesso esporre orientamenti opposti. Ma la sfida si gioca su questo terreno concettuale. La sfida riguarda la nozione stessa di famiglia, l’individuazione di un “diritto” al figlio, la prevalenza dell’autodeterminazione di un potenziale genitore sulla persona del figlio, le ricadute giuridiche degli assiomi dell’ideologia del gender, il significato che ha oggi il diritto all’obiezione di coscienza.
Se su questi fronti sono pochi gli studi e le elaborazioni fondate sulla retta ragione, non ci si deve meravigliare non solo delle pronunce della Consulta, ma anche di quelle della Cassazione e della giurisprudenza di merito sulle unioni civili o sul “diritto” a morire. Risultati importanti sul piano delle norme e dell’azione di governo si conseguono se sono preceduti, accompagnati e seguiti da un intenso e diffuso lavoro pre-politico, anzitutto di formazione e di informazione. Si affrontano le battaglie difficili se vi è una base culturale solida e partecipata; si difendono i risultati di quelle battaglie se si hanno costantemente presenti le ragioni che le fondano.
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