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  Segni dei Tempi

Data di pubblicazione: Giovedì, 5 Febbraio 2015

TRAGUARDI SOCIALI / n.69 Gennaio 2015 :: Segni dei Tempi

VITA ECCLESIALE

di Don Ernesto Lettieri

“The Clash of Civilizations” - lo “scontro di Civiltà” - è un’espressione apparsa ai più, alla fine del secolo scorso, e portata in auge dal politologo americano S. P. Huntington a proposito dell’Era “planetaria” (quella che tutti additano come “globalizzazione”). Un’Era che viviamo in questo passaggio di millennio e che probabilmente siamo destinati a vivere per i secoli futuri.
L’espressione si è tradotta tragicamente in alcune eclatanti manifestazioni storiche con gli eventi terroristici di matrice islamica in questo inizio millennio: da New York (11 settembre 2001) a quello più recente di Parigi (7 gennaio 2015).
Scontro di “Culture” che oggi cerchiamo di interpretare in diversi modi e, anche giustamente, da diversi punti di vista. Ma, se è giusto che tutti lo facciano, per capire le motivazioni e il perché di tali fenomeni (i quali cominciano anche a sconquassare la vita “tranquilla” del Vecchio Continente) al fine di orientare gli intenti e le azioni di tutti alla Pace e alla convivenza, è altrettanto vero che lo facciano i seguaci di Cristo e la Chiesa medesima.
E’ la nostra fede nel Signore della Storia, qual è il Cristo; ed è in virtù del ruolo sociale, culturale, e non solo, che noi cristiani, ed in particolare i cattolici, abbiamo il dovere e il compito di far sentire il timbro della nostra voce e il fragore della nostra azione in questo mondo ormai globalizzato. Allora, cosa pensare a proposito di questi eventi? Come interpretarli?
O, anche, quale interpretazione addurre per tale congiuntura non solo storica ma epocale?
Qualcuno potrebbe pensare plausibilmente, anche come cristiano, che nella storia dell’umanità e delle civiltà si sono sempre verificati scontri di tale portata e guerre di ogni genere: perciò nulla di nuovo sotto il sole. La stessa storia cristiana dell’Europa, fino a meno di un secolo fa, ne è testimonianza.
Così come ne è verifica e testimonianza, la nostra stessa storia personale, fatta d’incontri e di scontri, gli uni con gli altri.
Ma allora, se è così, qual è il problema? Il problema – o se si vuole il dramma – è che noi bramiamo Pace, vogliamo tranquillità e convivenza; desideriamo unità e incontro; comunione dei “diversi”, che appaiono all’orizzonte della nostra vita, oggi sempre più globalizzata e planetaria. Ancor più dal punto di vista cristiano il problema, se così vogliamo chiamarlo, è attuare il Disegno di Dio nella storia – il suo Regno nella storia – che ahinoi presume, ed è volto ad attuare con la nostra “libera” partecipazione l’unità del genere: la Chiesa (il Popolo dei Battezzati) è germe e sacramento di unità del genere umano [cfr. Lumen Gentium 1].
In termini di Cultura o di Civiltà, il problema è conciliare i “contrari”; coniugare la diverse identità con l’unità di esse, e viceversa; coniugare ciò che è la complessità umana con la comprensione delle diverse particolarità.
Noi (cattolici, e anche noi del MCL) da questo punto di vista, in Cristo siamo chiamati ad essere “operatori di pace” [Mt. 5,9]; e dalla Chiesa siamo indotti ad essere fattivamente promotori di tale pace, promotori di dialogo e di comprensione reciproca fra le varie culture (cfr. anche il nostro impegno all’Estero, come Movimento), in fin fine anche di “unità”.
Nel caso di Parigi - per quello che appare, ed evidentemente anche è – siamo di fronte ad uno “scontro culturale” (più e prima di qualsiasi altro tipo d’interpretazione che si possa dare agli eventi) fra la concezione “liberale” e “secolare” della vita di stampo occidentale, e la concezione “sacrale” e “teocratica” della vita di matrice islamica.
Noi siamo deputati ad interpretarlo, nella logica del Vangelo, come un evento storico che ci sprona alla conversione, anzitutto culturale. Da un evento di tale portata tutti siamo chiamati alla “conversione” [cfr. Lc. 13,1-9]!
Anzitutto, la “conversione” culturale e religiosa di coloro i quali si sentono entusiasti nel cuore e nella mente, di quell’atteggiamento fondamentalista dei seguaci jihadisti che sfocia in un comportamento violento e terrorista, portando all’uccisione di persone - anche se eventualmente non “innocenti” di qualcosa - comunque vittime di ferocia inaudita e animalesca: inaccettabile! Come ciò che accade in questi giorni in Niger, con l’uccisione di uomini, donne e bambini cristiani indifesi, e con la distruzione di Chiese da parte di fondamentalisti musulmani.
Lo dobbiamo dire con forza, respingendo con tutto il vigore persuasivo che c’è dato di avere tali atteggiamenti e anche tali comportamenti: come cristiani, ed esponenti della cosiddetta “cultura occidentale”, non possiamo permetterci il lusso, di fronte a tali eventi, di “filtrare il moscerino e ingoiare il cammello” [Mt. 23,24].
Da questo punto di vista, ben venga anche in queste culture la nostra civiltà “secolare” (frutto peraltro anche della matrice cristiana della nostra cultura), in cui vi è una distinzione – se non addirittura ahimè una separazione – civile, culturale e religiosa; in cui altresì, è esaltata anzitutto la libertà di coscienza della persona (un valore che è frutto eminente della concezione cristiana della vita).
In opposizione e contrasto a ogni tipo di fondamentalismo che esclude ogni “mediazione” nella vita del singolo, della società e della religione; portando ad uccidere in nome di un Profeta – anche se fosse il più grande – o in nome di Allah.
Noi non possiamo illuderci di convertire un musulmano, né tantomeno i musulmani; ma nello stesso tempo – per la nostra ignavia o per la nostra desolante opulenza o per la nostra indifferenza religiosa (nuovo fondamentalismo dell’Occidente) – non possiamo permetterci che essi ci convertano con i tamburi di morte, producendo ancor più desolazione di quanta non ne possa produrre la nostra stessa civiltà. Noi non possiamo permetterci di abdicare alla “libertà” conquistata in questi millenni: non lasciamo rubare la libertà conquistata [cfr. Gal. 5,1] .
Al contrario dobbiamo usare ogni mezzo a disposizione, ogni strumento di pace, per conquistare le nuove generazioni di musulmani e non, a quella libertà di cui parla San Paolo.
Nello stesso tempo, il cosiddetto “Occidente”, di cultura greco-latina e giudaico-cristiana, è giusto – anzi doveroso – che si metta “in discussione”.
O più precisamente in un atteggiamento di “conversione”.
Di fronte a questi eventi, dinanzi agli altri popoli e alle altre culture, di fronte al diverso e allo straniero, non possiamo pensare di continuare a tenere un atteggiamento “xenofobo” (anche se comprensibilmente indotto dalla paura e dalla difesa dal diverso) in un’epoca ormai planetaria, dove irrimediabilmente quasi tutto è globale.
Soprattutto noi “cattolici”, non possiamo non considerare tale incontro/scontro di culture e di diversi come un “segno dei tempi”; che ci aiuta a cogliere – a differenza di coloro i quali vivono di fondamentalismo religioso, secolare o ideologico – l’azione dello Spirito Santo nella storia dell’intera umanità.
Non possiamo noi non interpretare la storia alla luce di una visione “universale” (cattolica) dell’umanità, e quindi delle diverse culture. Non possiamo non guardare a Cristo – il Figlio-Verbo Incarnato, attraverso il quale tutte le cose che esistono sono state fatte, e al quale tutte sono finalizzate [cfr. Col. 1,15-20] – come al “centro” e alla “Chiave” della storia [cfr. Gaudium et Spes 22].
Da questo punto di vista per noi l’umanità è Una, pur nella pluralità dei Culti e delle Culture, dovuti alla libertà creaturale dell’uomo. Però non possiamo radicalizzare tale “libertà”, come spesso facciamo in modo “ideologico” e “fondamentalista” nel nostro mondo occidentale, anche noi cristiani.
La libertà dell’uomo rimane di certo un valore indelebile, ma comunque “creaturale”, e perciò limitato – non divino – e quindi non autorizzato a ledere la libertà altrui. In particolare la libertà del diverso, se vogliamo la pace e non la guerra.
Insomma, nel nostro mondo, non possiamo permetterci il lusso (la lussuria) di offendere – com’è accaduto con Charlie Hebdo – in nome di una presunta libertà di espressione, la sensibilità religiosa altrui. Nel caso di Parigi la sensibilità religiosa di più di un miliardo e mezzo di Musulmani, o ancor più di quei “timorati” di Dio che vivono in mezzo a noi; mostrando delle vignette satiriche in cui – per esempio – Maometto addirittura copula con una scrofa.
La libertà vera non è arbitrio, non può essere arbitraria;
la libertà, essendo creata, è sempre limitata;
la libertà è, e deve essere, “relazionale” agli altri, alla terra, a Dio. Adoperiamoci perché ciò non sia dimenticato e venga sempre più attuato, nella nostra cultura cosiddetta “libera”.
Da questo punto di vista non vi è dubbio che anche l’Occidente necessita di conversione. E anche noi cristiani abbiam bisogno di convertirci!

Vostro
Don Ernesto
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