NOME UTENTE        PASSWORD  

Hai dimenticato la tua password?

Nell'ultimo numero di Traguardi Sociali:
Traguardi Sociali

Stai sfogliando il n.59 Giugno / Luglio 2013

Leggi la rivista in formato pdf Cerca numeri arretrati in archivio
.PDF Numero 59 (2381 KB) Sfoglia l'archivio di Traguardi Sociali Sfoglia l'archivio di Traguardi Sociali

  In ricordo di Giulio Andreotti

Data di pubblicazione: Martedì, 28 Maggio 2013

Il Presidente Andreotti durante il suo...

Il Presidente Andreotti durante il suo intervento alla mobilitazione per la pace organizzata dal MCL a Montecassino il 21 marzo 1982

TRAGUARDI SOCIALI / n.59 Giugno / Luglio 2013 :: In ricordo di Giulio Andreotti

Scomparso a Roma il 6 maggio lo statista democristiano


Il 6 maggio scorso, appena otto giorni dopo l’insediamento del Governo Letta, Giulio Andreotti si è spento nella sua casa di corso Vittorio di fronte alla Basilica Vaticana che sorge a poche centinaia di metri, sull’opposta sponda del Tevere.
La nascita del governo Letta, come molti hanno ricordato, segna una svolta epocale: era, infatti, dal 1946, cioè dall’epoca della Costituente e dei governi tripartiti (Dc – Pci – Psi), che forze culturalmente e politicamente antagoniste, come al tempo la Dc e il Pci e, oggi, il Pdl e il Pd, non davano vita ad una compiuta alleanza di governo.
Nei quasi settant’anni che ci separano da quei giorni una cosa del genere non era mai avvenuta: neppure negli anni dei cosiddetti “governi di unità nazionale” quando il Pci consentì, con l’astensione o con l’appoggio esterno, la nascita di monocolori democristiani guidati da Giulio Andreotti.
In verità, sotto la regia di Moro e con la guida di Andreotti, era in quel senso che si stava andando; ma il sequestro e l’assassinio del Presidente della Democrazia Cristiana bloccarono quel processo. E si può ben dire che è proprio con la morte di Moro che inizia l’agonia della prima Repubblica. Un’agonia durata più di trent’anni e che, dopo il 1992 e la fine della Dc, è stata impropriamente chiamata “seconda Repubblica”.
Oggi, quasi a significare il compimento di un ciclo, l’orologio della politica italiana ritorna allo stesso punto dell’immediato dopoguerra: due partiti culturalmente e politicamente antagonisti si alleano dando vita ad un governo che ha l’esplicito mandato di fronteggiare la crisi ed avviare una nuova stagione costituente.
Non sembra allora casuale la singolare sincronia che vede, quasi in contemporanea, il concludersi dell’agonia della prima Repubblica e lo spirare dell’ultimo dei grandi leader della Democrazia Cristiana.
Perché, sebbene la Dc abbia avuto un’importante e numerosa classe dirigente, i suoi veri leader possono davvero contarsi sulle dita di una mano: De Gasperi, Fanfani, Moro e Andreotti che, senza dubbio, è stato tra questi.
Lo è stato, tuttavia, a modo suo perché Andreotti, a differenza degli altri, non ha mai voluto essere un leader di partito: ha avuto una sua corrente ma non ha mai aspirato all’egemonia; ha fondato una sua rivista, ma tanta era la sua diffidenza verso la “politica ideologica” che l’ha chiamata “Concretezza”. Era troppo cattolico e curiale per non percepire il partito in termini prevalentemente strumentali e per non preferire l’empirismo ai grandi disegni ideologici.
Probabilmente é da questo atteggiamento di fondo che nasce la “leggenda sulfurea” della sua spregiudicatezza.
Quest’atteggiamento è stato il suo massimo punto di forza e, per altri versi, di debolezza.
Bisogna dire, tuttavia, che soprattutto in politica estera, la sua concretezza non gli ha impedito di perseguire una politica mediterranea di grande respiro, in piena sintonia con Moro e Fanfani e soprattutto con la politica di pace della Chiesa, in particolare, di Paolo VI. Andreotti ha sempre difeso un ampio spazio di autonomia per l’Italia evitando, pur nella piena ortodossia atlantica, l’appiattimento sulle esigenze americane.
Piace ricordare, infine, che Andreotti è stato un grande amico del nostro Movimento, cui è stato vicino soprattutto nei primi anni Ottanta. Nel 1982 era esplosa la questione dei missili di Comiso e le manifestazioni pacifiste, in senso strumentale ed unilateralmente filosovietico, proliferavano. Era necessario opporsi a questa deriva e così lo invitammo a una nostra mobilitazione per la pace, da tenersi simbolicamente il 20 ed il 21 marzo nell’abbazia di Montecassino che si concludeva con una grande manifestazione sullo spazio esterno di fronte all’abbazia.
Andreotti accettò di buon grado ma fece presente, con il suo consueto pragmatismo, che il 21 marzo, anche se “primo giorno di primavera”, sulla spianata di Montecassino poteva davvero fare molto freddo.
Consigliava, dunque, di scegliere un luogo più protetto: quello scelto, evocativo e simbolico, era bellissimo ma sarebbe stato preferibile manifestare in un posto un po’ più caldo.
Questa sua esortazione di buon senso restò disattesa; ma lui venne lo stesso.
Arrivò puntualissimo di prima mattina e prese parte alla visita di omaggio al cimitero di guerra assieme ad una delegazione di Hiroshima, guidata dal sindaco della città, e ad una di Solidarnosc. La giornata era freddissima.
L’abate Matricola raccontava che era dagli anni della guerra che, a Montecassino, non faceva così freddo.
Andreotti, comunque, restò fino all’ultimo minuto.
Durante la manifestazione di fronte all’abbazia, sul palco e sulla spianata, c’era una grande moltitudine: numerosa, ma impreparata al freddo intenso, intirizzita e sferzata dal vento che arrivava dalle montagne innevate.
Solo Andreotti restava tranquillo senza disagio per il freddo.
Aveva accettato l’invito, ma previdente quanto puntuale, si era attrezzato al meglio presentandosi ben coperto con sciarpa e cappotto e indossando, lui unico tra tutti, un bel paio di caldi guanti di lana color grigio molto invidiati e “desiderati” da tutti i presenti.
Anche in questo caso la sua “concretezza” ebbe la meglio.

Pier Paolo Saleri
Vicepresidente Fondazione Italiana Europa Popolare
 Torna ad inizio pagina 
Edizioni Traguardi Sociali | Trattamento dati personali