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  Promuovere la forza espansiva della dignità umana

Data di pubblicazione: Sabato, 23 Novembre 2019

TRAGUARDI SOCIALI / n.96 novembre / Dicembre 2019 :: Promuovere la forza espansiva della dignità umana

Intervista a Marina Casini, Presidente del Movimento per la Vita

Come possiamo, da cattolici, non interrogarci sulle tante problematiche del nostro tempo che investono direttamente temi etici e antropologici? Fine vita, suicidio assistito, aborto, testamento biologico: tutte questioni aperte che implicano profonde riflessioni sul rapporto tra Uomo e Creato. Ne abbiamo parlato con Marina Casini, Presidente del Movimento per la Vita, nonché docente all’Istituto di Bioetica e Medical humanities dell’Università Cattolica di Roma, oltre che autrice di un gran numero di pubblicazioni su bioetica, diritti umani, obiezione di coscienza, famiglia.
La Corte Costituzionale, con la controversa sentenza del settembre scorso, sembra aver aperto nel nostro ordinamento una breccia per l’introduzione del suicidio assistito. In molti paventano la possibilità di velate pratiche eutanasiche. Come giudica quanto è accaduto? Quanto è ripido il ‘piano inclinato’ richiamato dal Cardinal Bassetti?
Purtroppo la Corte Costituzionale ha impresso una svolta epocale al tema del fine vita e condivido la preoccupazione per l’accesso all’eutanasia già in qualche modo annunciata nella sentenza della Corte di cui però non conosciamo ancora le motivazioni. Non dimentichiamo che dal punto di vista sostanziale non c’è differenza fra suicidio assistito ed eutanasia. Sul piano culturale, sociale e giuridico non posso che giudicare negativamente quanto accaduto, perché siamo ben oltre il doveroso riconoscimento della drammaticità di certe situazioni personali e familiari. Siamo nel campo che riguarda la mentalità, l’organizzazione sociale, la coscienza collettiva. Sono stravolti i concetti di dignità, libertà, diritti. E dunque, specialmente su temi come il fine vita, dove hanno un ruolo rilevante la paura, la sofferenza, la stanchezza, lo sgomento, il rischio che il piano si inclini rapidamente non è così fuori portata.
Il Parlamento è stato chiamato a intervenire e speriamo che non allarghi le maglie della sentenza con una legge che apra ancora di più a forme eutanasiche. è già successo con l’aborto: l’ingiusta legge 194 ha dato accesso all’aborto ben al di là dei limiti imposti dalla pur discutibile sentenza n. 27 del 1975. Il legislatore dovrebbe comunque garantire il diritto di obiezione del personale medico-sanitario e deve tenere conto di ciò di cui c’è davvero bisogno: diffusione delle cure palliative e della terapia del dolore, miglioramento delle strutture ospedaliere sia dal punto di vista ambientale che dal punto di vista della formazione umana e professionale degli operatori, riduzione dei tempi per ottenere i necessari ausili e presidi, sostegni economici, assistenza domiciliare qualificata e costante, aiuti ai caregiver e alle famiglie, alleggerimenti burocratici.

Istanze sempre diverse si affacciano alla nostra vita sociale. Le richieste per diritti, che hanno sempre più l’aspetto di vere e proprie pretese, da parte di alcune minoranze ideologicamente orientate, sono all’ordine del giorno. L’innovazione tecnologica e i traguardi scientifici sembrano tracciare nuove frontiere per la questione antropologica. Quali ritiene siano le nuove prospettive e le nuove sfide?
Recuperare l’umano, approfondirlo e comprenderlo di più e meglio. In questo contesto deve essere ripreso anche il tema dei diritti che oggi sembrano diventati beni di consumo fondati sull’“io” e sul “mio”. L’espressione più emblematica di questa pronunciata tendenza è la pretesa di far entrare il presunto “diritto di aborto” nel catalogo dei diritti fondamentali. E ancora più assurdo è che tutto ciò sia rivendicato in nome dei diritti della donna! I c.d. “nuovi diritti civili” (aborto, eutanasia, figlio a tutti i costi, matrimonio omosessuale…), sono in realtà un attacco frontale a tutta la moderna teoria dei diritti dell’uomo fondata sul riconoscimento dell’inerente e uguale dignità di ogni essere umano. Non si sa più chi è l’uomo, al punto che sono teorizzati i “diritti umani degli animali”. Su questa strada è facile immaginare le sfide e prospettive: tutto diventa manipolabile, componibile e scomponibile a piacimento… L’uomo contemporaneo ha raggiunto il massimo della potenza tecnologica ed il massimo della precarietà spirituale; ha un potere enorme sulla natura, sull’informazione, è entrato nel microcosmo delle particelle infinitesimali della materia e nel macrocosmo dei pianeti e delle galassie… eppure rischia di allontanarsi sempre più da se stesso, in una sorta di alienazione. è dunque davvero necessaria una profonda riflessione antropologica capace di ridare slancio ad un autentico umanesimo nuovo.

Assistiamo sempre più all’affermazione di un nuovo umanesimo che di umano ha ben poco, un’ideologia pervasiva che mette a rischio i soggetti più deboli della società (non nati, bambini, malati, anziani) e non solo. è possibile affermare una cultura differente capace di valorizzare la persona e le sue vere esigenze?
Non è infatti un “nuovo umanesimo” quello che mette a rischio i più vulnerabili, a partire dai non nati. Il vero “nuovo umanesimo” si caratterizza proprio per essere fondato sull’attenzione verso i più piccoli, poveri, indifesi. Abbiamo sempre sostenuto che la “prima pietra” per la costruzione del “nuovo umanesimo” è l’essere umano che dal nulla compare all’esistenza con il concepimento. Chi è più povero, piccolo, inerme di lui? Nessuno. Promuovere la forza espansiva della dignità umana riconoscendola nei confronti dei più piccoli e poveri tra gli esseri umani, riconoscendolo “uno di noi”, titolare del fondamentale diritto alla vita, è la leva per un profondo e generale rinnovamento morale e civile che punta a costruire la civiltà della verità e dell’amore che coincide con il nuovo umanesimo.
Sì, è possibile costruire sempre di più e sempre meglio una cultura alternativa e differente per la quale urge una mobilitazione delle coscienze, sapendo che i tempi sono lunghi e che c’è bisogno di tenacia operosa, di franchezza e amore, di coraggio e costanza. Questa cultura alternativa che si coltivi - come ha detto Giovanni Paolo II nell’Evangelium Vitae – «in noi e negli altri, uno sguardo contemplativo. […] è lo sguardo di chi vede la vita nella sua profondità, cogliendone le dimensioni di gratuità, di bellezza, di provocazione alla libertà e alla responsabilità. è lo sguardo di chi non pretende d'impossessarsi della realtà, ma la accoglie come un dono, scoprendo in ogni cosa il riflesso del Creatore e in ogni persona la sua immagine vivente. Questo sguardo non si arrende sfiduciato di fronte a chi è nella malattia, nella sofferenza, nella marginalità e alle soglie della morte; ma da tutte queste situazioni si lascia interpellare per andare alla ricerca di un senso e, proprio in queste circostanze, si apre a ritrovare nel volto di ogni persona un appello al confronto, al dialogo, alla solidarietà».

Si sta affermando a livello globale una visione dell’ambiente per la quale l’uomo sembra essere diventato il nemico della natura (con tutte le conseguenze del caso). Niente di nuovo, se non la virulenza e la rapidità con cui questa visione viene portata avanti. Come invertire la rotta e portare avanti una cultura fondata sull’ecologia umana, dove l’uomo è posto al centro del Creato?
C’è un collegamento profondo tra ambiente e uomini, tra società e natura. Non si può prescindere da un approccio integrale: la natura e l’ambiente non potranno essere realmente tutelati se l’uomo non sarà protetto da tutte le possibili aggressioni e molteplici atteggiamenti di indifferenza. Non si può prescindere da un’“ecologia dell’uomo” perché esiste anche una natura umana che non si può manipolare a piacere e che va onorata. Tutto si tiene, tutto è in relazione. Rientra in questo discorso la tutela della vita nascente: c’è una grave contraddizione tra l’aborto e la tutela dell’ambiente. Papa Francesco lo dice chiaramente nella Laudato Sì. è stato giustamente ribadito che non tutelare la vita dei più poveri tra i poveri, come la Santa di Calcutta chiamava i bimbi non nati, significa perdere la sensibilità verso ogni altra attenzione nei confronti degli emarginati e dei bisognosi. L’amore per l’ambiente e la natura, la vera ecologia, è quindi, quella che comincia dal rispetto della dignità inerente e uguale di ogni essere appartenente alla famiglia umana, come recita la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Il solo rispetto dell’ambiente non sarà mai in grado di realizzare la pace, la giustizia, la libertà, la democrazia, l’uguaglianza. Anche il tema della famiglia fa parte dell’ecologia umana, perché la pretesa di cancellare o gettare nella irrilevanza la bellezza e la ricchezza della complementarietà/differenza sessuale distrugge la capacità di imparare ad accogliere il proprio corpo, apprezzandolo nella sua femminilità o mascolinità, ad averne cura e a rispettare i suoi significati. E questo è essenziale per una vera ecologia umana. Insomma, «non c’è ecologia senza un’adeguata antropologia».

La situazione che stiamo vivendo è per tanti versi paradossale: da una parte si dice che non ci sono abbastanza risorse per le politiche sociali, dall’altra si inneggia alla disintermediazione dei corpi intermedi. Il tema della sussidiarietà è diventato ormai marginale, sembra addirittura essere uscito dal dibattito politico. Come possiamo superare questa situazione e rimettere al centro i corpi intermedi?
Già a partire dalla Rerum Novarum di Leone XIII, l’allora Dottrina sociale della Chiesa ha individuato i presupposti del principio sussidiarietà/solidarietà nella libertà associativa e nella centralità delle comunità intermedie. è questo il cuore di una concezione della società basata su un’antropologia positiva e personalistica, sull’interconnessione e sulla responsabilità e su questo ancora oggi si orienta la visione sociale e politica dei cattolici, fino a determinarne le scelte politiche contingenti. Un ruolo fondamentale è stato affidato ai corpi intermedi, quelle comunità che fanno da “cuscinetto” tra Stato e individuo. La disintermediazione, con la difficoltà a maturare un senso di appartenenza, è cominciata purtroppo con la forsennata e irresponsabile campagna contro la cosiddetta “casta”, cioè la politica. Per rimettere al centro le comunità intermedie dovremmo innanzitutto riaverci dall’ubriacatura anti-partiti: il leaderismo politico è esattamente l’esito della disintermediazione o, meglio, è uno degli esiti.
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