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  Val di Susa, paradigma delle strumentalizzazioni ideologiche

Data di pubblicazione: Martedì, 29 Ottobre 2013

TRAGUARDI SOCIALI / n.61 Ottobre / Novembre 2013 :: Val di Susa, paradigma delle strumentalizzazioni ideologiche

La lotta contro la Tav diventa un’occasione persa di democrazia

Torniamo ad occuparci di Val Susa. Della lotta contro la Torino-Lione, che diventa sempre più la lotta contro lo Stato. Di una situazione eccezionale eppure, a modo suo, paradigma di questa nostra Italia.
“Due visioni alternative dell’economia e del rapporto uomo-natura si fronteggiano in cagnesco, fino alla militarizzazione del territorio e al sabotaggio eversivo. Così, un presagio cupo ha preso a serpeggiare per la valle: che adesso ci scappi il morto, perché questi meravigliosi panorami alpini, come denuncia il procuratore torinese Gian Carlo Caselli, rischiano di trasformarsi nell’epicentro dell’antagonismo di tutto il continente europeo”. Così la vede Gad Lerner, che ha dedicato alla vicenda Tav / No Tav un lungo reportage su “La Repubblica”, lo scorso 20 settembre. Non sfuggirà, a chi è attrezzato ad una lettura critica, già con queste poche righe, che l’obiettivo è una sostanziale parificazione tra le parti in gioco. Il primo – tutti i cammini iniziano con un passo – per la giustificazione della contrapposizione. Ciò che è innegabile è l’esistenza, in questa terra di frontiera diventata centro di attrazione dell’universo antagonista, una radicale contrapposizione. Per dirla con Cristina Giudici (“Il Foglio”, 13 settembre): “nella valle della paura, lo scombicchierato romanzo luddista del conflitto sociale sorto intorno ai cantieri della Tav rischia ormai da tempo di trasformarsi in qualcosa più drammatico”.
Ci potrebbero essere molti aspetti da sottolineare o prospettive da indagare, il MCL non può non guardare in particolare ai nodi riferiti al lavoro.
Che in Val di Susa significa, sempre più, quanti lavorano.
Siano essi gli imprenditori le cui aziende sono coinvolte al cantiere di Chiomonte, i loro dipendenti o i rappresentanti dello Stato (funzionari, magistrati ed agenti).
Come sempre, prima ci sono le parole e poi le pietre. Infine, i sabotaggi e le violenze.
Da principio (è il titolo di uno dei più celebri tra i dossier di controinformazione redatti dai “trenocrociati”) fu: “c’è lavoro e lavoro”. Poi, più inquietante, si va diritti alle persone: “c’è lavoratore e lavoratore”.
Quanti lavorano nel cantiere - o nelle aziende, specie se della Valle, che a vario titolo vi sono impegnate - diventano “i collaborazionisti”.
Che vi siano agenti che lo presidiano diventa “militarizzazione”.
Gli atti di violenza ed intimidazione, con la benedizione di Erri De Luca, diventano “sabotaggi”. Alberto Perino, il più mediatico dei leader No Tav, si è spinto a dire, alla partenza di una manifestazione l’estate scorsa, che “i mezzi si vergognano del mestiere che fanno e si danno fuoco da soli, come i bonzi”. Una discutibile rivisitazione dell’autocombustione di cettoliana memoria.
Scompare l’umano, tutto sta in dove ci si colloca.
Chi non avversa la nuova Torino - Lione è simbolo (o volenteroso prigioniero) di un “modello di sviluppo” devastante. Chiunque sposi la lotta (non si sono mai registrate dissociazioni nette dalle violenze o denuncia di casi specifici) è amico. Non mancano, sin dalle cattedre delle scuole locali, i “cattivi maestri” che hanno prodotto una mentalità che una ferita nelle possibilità di convivenza civile (e richiederà più di una generazione per essere rimarginata). Riconoscersi l’un l’altro lo status di persona (e non di simbolo) diventa arduo. Non aiutano i cattolici anti-treno, più inclini a millenarismi a tinte progressiste che a capacità di mediazione e costruzione di condizioni di dialogo.
C’è, abbiamo detto lo ha fatto notare più di un osservatore, una venatura luddista, in questo movimento.
Anche “una situazione di vera guerriglia, o di terrorismo diffuso a bassa intensità”, per tornare a citare Cristina Giudici. C’è, in questa Valle, una pervicace narrazione che ha trasformato un’opera pubblica in un mostro, nella simbolo di ogni stortura.
In un costante crescendo di emotività e toni. Si sono sprecati (e non ha voluto mancare in questo coro, dalle colonne virtuali dell’Huffingon Post, nemmeno il già finiano Umberto Croppi) i riferimenti al Vajont nel cinquantesimo anniversario della tragedia.
Entrando in Valle, sulla propria destra, tutti trovano, sul Musiné, la scritta cubitale “Tav = Mafia”.
Una perentoria affermazione che, forse, quanti lavorano nei cantieri e tra gli agenti che lo presidiano pare mendace, ché i metodi mafiosi sembrano risiedere altrove.
Chi lavora ha bisogno di decisioni. Massimo Cacciari ha spiegato, in una recente intervista sui No-Tav, che la democrazia è anche il luogo della decisione: si parli pure liberamente, nelle giuste sedi, ma quando una decisione è presa non può in eterno essere rimessa in discussione. Altrimenti l’esasperazione democraticista è funzionale solo ad impedire più che a fare. Ed, i questo, la Val Susa rischia di essere paradigmatica più che eccezionale.

Marco Margrita
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