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  Al via la stagione del XII Congresso Nazionale MCL

Data di pubblicazione: Domenica, 3 Novembre 2013

TRAGUARDI SOCIALI / n.61 Ottobre / Novembre 2013 :: Al via la stagione del XII Congresso Nazionale MCL

Il documento per il dibattito congressuale.

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Il Congresso: rileggere la storia e progettare il futuro

Il Congresso è sempre un momento di particolare rilevanza nella vita di un’associazione e non può essere circoscritto al semplice rinnovo degli organi ai vari livelli.
E’, piuttosto, un’occasione di rilettura della storia passata, una riflessione sui cardini che l’hanno orientata e caratterizzata, una possibilità di discussione sui risultati raggiunti e sui progetti da intraprendere per interpretare al meglio la stagione nella quale stiamo vivendo.
Abbiamo da poco celebrato i 40 anni di vita del Movimento e questo è stato utile a ripercorrere i passaggi di tutti questi anni: le origini, l’evoluzione di una presenza che continua a radicarsi in quella storia ed in quella scelta, pur difficile, compiuta dai nostri fondatori. Non ci si può limitare a rileggere quelle pagine ma è necessario continuare ad esercitare una dimensione profetica (intesa quale capacità di guardare oltre il contingente) che ci ha caratterizzato in questi anni. Anni in cui abbiamo avuto anche passaggi difficili, di incomprensione, di isolamento, di gelosie. Situazioni superate nel tempo e che ci portano ora a quella visibilità, apprezzamento, dimensioni associative che riscontriamo. Soprattutto in questi ultimi anni abbiamo dato segni di vitalità e di presenza, di stimolo e offerta di proposte, di accompagnamento e di servizio, di accoglienza e di solidarietà affiancandoci alle tante esperienze della società civile ed alla vita delle nostre comunità locali e nazionale, rafforzando anche le azioni e la presenza oltre i confini italiani.
Il Congresso deve ripartire da qui prendendone coscienza, non tanto per autogratificazione quanto per individuare le nuove vie ed i nuovi stimoli a continuare un cammino volto a rendere efficace e praticabile un progetto complessivo associativo, che guardi sia alla vita interna sia alle ricadute “pubbliche” dalle quali non possiamo esimerci vista la situazione complessiva che ci circonda.
Vogliamo ribadire che tale impegno e presenza si radicano nella dimensione ecclesiale che già ci riconosceva Paolo VI quando, salutando i partecipanti all’assemblea costitutiva del dicembre 1972, li indicò come “fedeli ai loro principi morali e sociali, e fiduciosi di portare nella propria vita e nel mondo del lavoro moderno una testimonianza di fede, di solidarietà, di rivendicazioni sociali, di elevazione morale e civile”. La dimensione di fede è fondativa per il Movimento: scelta ribadita in più occasioni quali la modifica statutaria, successivamente intervenuta, che identifica il MCL come “movimento ecclesiale di testimonianza evangelica organizzata” e con lo stesso titolo del volume di Vita & Pensiero (Università Cattolica) edito per il 40° dal titolo: Nel mondo, perché cristiani. Come abbiamo detto in tutte le circostanze, l’appartenenza ecclesiale determina “un di più di responsabilità” e non può essere vissuta come un fatto strettamente privato, estraneo alla costruzione di una società più giusta. Naturalmente questo decisivo aspetto ha bisogno di essere alimentato e sostenuto, e questa è l’occasione per ringraziare i nostri tanti sacerdoti assistenti (e Don Checco che li coordina) che con passione e sacrificio si mettono al servizio della crescita spirituale e formativa ai diversi livelli. I sacerdoti si ritrovano insieme in più occasioni nell’anno e intervengono al dibattito congressuale con uno specifico e stimolante contributo da cui vogliamo cogliere tutti gli aspetti propositivi e, in particolare, per ciò che riguarda la formazione, le aggregazioni di base quali i nostri circoli e i giovani che garantiscono la speranza di futuro a cui dedicarsi con attenzione particolare.

Lavoro: la centralità della persona

Per leggere le problematiche economiche, del lavoro, della giustizia sociale e per trovare risposte complessive, e non solo parziali e contingenti, abbiamo una straordinaria risorsa da utilizzare che è costituita dalla visione e dalla prospettiva profetica offerta dalla Dottrina Sociale della Chiesa, che ci rende capaci di interpretare i segni dei tempi e le trasformazioni in atto e ci dà il sostegno per non arretrare davanti alle sfide del presente.
Celebriamo il nostro Congresso mentre siamo immersi in una fase internazionale, e soprattutto nazionale, ancora fortemente condizionata da una crisi dovuta ad una finanza autoreferenziale e prepotente, priva di ogni riferimento etico, rischiosissima per le gravi conseguenze che determina e da condannare fermamente in quanto non al servizio dell’economia reale e del lavoro.
A ciò si aggiunge la cronica incapacità della politica di governare ed indirizzare l’economia e la finanza ed evitare gli effetti dannosi della loro prevaricazione. Ribadiamo che il lavoro è “chiave essenziale della questione sociale”: questo il cuore dell’enciclica Laborem exercens che ancora ci interpella con le sue attualissime intuizioni, con il suo interpretare il lavoro nella sua preminente dimensione soggettiva ed antropologica. Ci tornerà la Caritas in Veritate con il richiamo alla necessità di perseguire quale priorità l’accesso al lavoro ed il suo mantenimento per tutti. Questo, proprio mentre emergono ancor più preoccupanti il continuo aumento della disoccupazione, specie giovanile, il diffondersi di forme nuove di sfruttamento, l’impoverimento economico di molti lavoratori e delle rispettive famiglie, con un allargamento della forbice tra ricchi e poveri, come il Cardinale Bagnasco ha ricordato al Consiglio nazionale del MCL riferendo di “troppe tasche vuote a confronto di altre estremamente piene”. Ci si richiama all’obbligo di perseguire l’obiettivo di una diffusa giustizia sociale, mandato che abbiamo direttamente ricevuto da Papa Benedetto XVI, avendo sempre chiaro che il fattore decisivo e l’arbitro della complessa partita in corso è, e rimane, l’uomo nella sua centralità.
Se non si riparte da questa centralità difficilmente sarà possibile attivare un percorso di vere e significative riforme che non abbiano la tendenza ad esaurirsi in piccoli e parziali interventi, rabberciati e sconnessi.
Siamo alla ricerca delle condizioni per affermare un nuovo umanesimo del lavoro, basato sull’etica della responsabilità e dell’impegno di ciascuno nel proprio lavoro, sulla priorità da dare alle condizioni del lavoro stesso per quanto riguarda la sicurezza, sulla necessità di accettare il lavoro che viene proposto per non fermarsi solo al desiderio e alle utopie e fare un passo avanti appena possibile, sulla cultura della partecipazione dei lavoratori nell’impresa o ente (anche pubblico) in cui lavorano superando quella contrapposizione tra “padroni” e lavoratori, tipica di una dimensione antagonista che ancora parzialmente resiste, figlia dell’ubriacatura ideologica degli scorsi decenni. Il MCL ha sempre insistito sui temi della partecipazione fin dalla sua fondazione: è principio tipico della Dottrina Sociale della Chiesa che individua l’impresa, quale che sia, come comunità di persone. Ed in ogni comunità che si rispetti ognuno deve fare la propria parte contribuendo al buon risultato. L’art. 46 della Costituzione è rimasto sulla carta, ma è il tempo di affermare una nuova partecipazione in tutti gli aspetti della vita dell’impresa senza preclusioni ideologiche o chiusure aprioristiche, e togliendo i vincoli che impediscono alcune forme di rappresentanza dei dipendenti-azionisti. In un tempo di crisi come questo ci sembra che una nuova visione di impresa “partecipata” potrebbe essere utilissima per ottenere miglioramenti nei risultati ed una crescita, sia dal punto di vista sociale che strettamente economico. E’ evidente che tale prospettiva possa essere realizzata solo attraverso una responsabilità delle istituzioni e delle parti sociali, che superino gli interessi particolari e guardino ad una stagione nuova.
La perdita del senso del lavoro e del suo essere atto della persona è certamente una delle motivazioni portanti della crisi che il lavoro attraversa. Ma come conseguenza di questo ci sono altre gravi questioni infauste: la mancanza diffusa di lavoro che colpisce in particolare i giovani e le donne, con differenze marcate tra le diverse regioni del Paese in un quadro di riferimento normativo complesso e ingarbugliato; la carenza o inefficacia di percorsi di formazione e riqualificazione; l’espansione dei lavori in nero o sottopagati con il ricatto della perdita anche di questi; la rassegnazione di chi rinuncia a cercare o rifiuta occasioni di lavoro parzialmente coperte da lavoratori stranieri; il difetto di assunzione di responsabilità da parte dei giovani che non studiano né lavorano (neet); la scarsità di apprendisti per il lavoro manuale e l’artigianato che, secondo quanto asserito nel rapporto sul lavoro a cura del Progetto culturale della Cei, è forse il patrimonio economico e culturale più importante del Paese.
A fronte di tale situazione davvero drammatica ci sembra di poter indicare alcune urgenti linee di azione in un’ottica complessivamente riformatrice: la semplificazione del mercato del lavoro disboscando e razionalizzando l’eccesso di normative; priorità al nuovo apprendistato, ai tirocini ed alla fase di transizione scuola-lavoro; un vero investimento nei servizi di orientamento e incontro domanda-offerta con integrazione pubblico-privato, in particolare per gestire il programma europeo Youth garantee che dal 1° gennaio 2014 potrebbe portare all’Italia 5/600 milioni di finanziamenti con la finalità di garantire ai giovani fino a 25 anni di età (per l’Italia potrebbe essere alzata a 29-30 anni) un’offerta qualitativamente valida di lavoro, di proseguimento degli studi, apprendistato o tirocinio entro 4 mesi dall’uscita dal sistema di istruzione o dalla perdita di un impiego. A questo aggiungiamo il necessario, e da noi più volte auspicato, taglio ai costi del lavoro per imprese e lavoratori; il coinvolgimento delle parti sociali nei processi decisionali; il recupero della cultura del “fare bene”, che ha fatto la fortuna del made in Italy, agevolando e sostenendo chi ha il coraggio di far nascere un’attività mettendosi in proprio; un investimento deciso in quegli aspetti che caratterizzano, in positivo, la nostra Italia e cioè i beni artistici e paesaggistici; un piano straordinario per la tutela dell’ambiente, gravemente compromesso, e del territorio che, oltre a portare molti posti di lavoro, farebbe risparmiare, in prospettiva, quelle enormi somme che siamo costretti a destinare a ricostruzioni, risarcimenti, emergenze, senza contare il continuo, inutile e colpevole sacrificio di vite umane.
Per quanto ci riguarda intendiamo rafforzare e diffondere in tutte le sedi territoriali il servizio “Prontolavoromcl”, nato proprio per evitare che giovani e inoccupati si chiudano in una apatia ed una rassegnazione dannosissime sia per loro stessi che per la società nel suo complesso.

Il “soggetto” famiglia

La Chiesa italiana, attraverso il percorso delle Settimane Sociali, ha chiamato la comunità ecclesiale, sociale e politica a riflettere sulla centralità del ruolo della famiglia indicandola quale principio della speranza per il futuro dell’Italia. Il MCL ha dedicato gran parte del percorso formativo nazionale del 2013 a questo argomento ritenendo fondamentale rimetterlo al centro dell’interesse “pubblico” e considerandolo, insieme al lavoro, la grande emergenza a cui dare urgentemente risposte concrete. Nel documento predisposto dal Movimento per l’occasione (a cui rimandiamo per un approfondimento più puntuale) si ribadisce con nettezza il primato della famiglia rispetto alla società e allo Stato.
In un periodo di crisi sociale, culturale, economica è necessario puntare ancora sulla sua capacità di essere motore della ripresa, così come fu negli anni complessi del dopoguerra, nella consapevolezza che senza la famiglia la società non è in grado di reggere. Per questo è essenziale sostenerla e supportarla soprattutto negli ambiti in cui il suo contributo è insostituibile, considerandola nella sua dimensione di “soggetto” sociale (anche giuridico, secondo le proposte dell’assise di Torino) protagonista nella società. In ciò richiamando quanto espressamente indicato nella Familiaris Consortio riguardo alla necessità che le famiglie si assumano in proprio la responsabilità di trasformare la società stessa, giocando per intero la dimensione solidale e sussidiaria ed evitando di considerarsi semplici destinatarie di politiche decise, programmate ed attuate da altri in una dannosa e superata visione assistenziale.
Il problema è che gli interventi tesi a promuovere la responsabilità della famiglia e le sue potenzialità sono sempre stati considerati un peso: occorre invece partire dal presupposto che siano un investimento che potrebbe abbondantemente ripagare in tempi brevi. Basterebbe pensare a come la famiglia avrebbe la capacità di essere un soggetto di welfare di maggiore rilevanza, e con minor spesa per le casse pubbliche, laddove si rendesse possibile un pieno esercizio di sussidiarietà in campo educativo, scolastico e di assistenza ai componenti più deboli. Potremmo prestare più attenzione a quanto avviene nei sistemi di welfare del resto d’Europa che cercano di rispondere a due esigenze: da una parte una maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro e al mondo economico e sociale e, dall’altra, l’invecchiamento progressivo della popolazione che tende ad ampliare i costi del sistema previdenziale e sanitario.
Due dati che sono stati autorevolmente proposti al nostro recente seminario di Senigallia: la fecondità è più alta laddove le donne più lavorano mentre, in Italia, aumentano i pensionati poveri e questa è una evidente incongruenza.
Perché si dice che noi crediamo tanto nella famiglia e poi, invece, di fatto viene tagliata da ogni agenda pubblica.
Per quanto riguarda più specificatamente il nostro essere Movimento di lavoratori, dobbiamo registrare come sia particolarmente complessa la relazione tra la vita lavorativa e la vita familiare perché, spesso, le conseguenze della disoccupazione o di un lavoro precario hanno ripercussioni notevoli sulla famiglia. Infatti, è la famiglia il “luogo” ove si scaricano gli effetti della crisi e l’incertezza esistenziale che ne deriva, ma è anche il “luogo” in cui le persone trovano le motivazioni per ripartire.
Paradossalmente anche l’eccesso di lavoro provoca ripercussioni sui rapporti familiari. E’ questo il caso del lavoro esteso ad ogni giorno dell’anno e a qualsiasi ora del giorno, domeniche e feste importanti comprese, una situazione sempre più diffusa a cui dedicammo la campagna “La Domenica è festa!”, che rimane di grande attualità. Da qui la necessità di armonizzare famiglia e lavoro perché non è ammissibile che in una vita sociale buona questi due “valori” risultino costantemente in conflitto. Il 7 febbraio scorso il Parlamento europeo ha dichiarato il 2014 Anno europeo per la conciliazione tra la vita lavorativa e la vita familiare. E’ un’occasione per riportare la questione al centro del dibattito pubblico e noi non ce la faremo sfuggire.
Negli appuntamenti associativi di quest’anno, in preparazione della Settimana Sociale, sono emersi alcuni indirizzi: la indilazionabilità di politiche a sostegno della natalità perché una società che non riesce a rigenerarsi è inesorabilmente, come fosse su un piano inclinato, votata alla sua stessa fine; l’incentivazione della responsabilità genitoriale promuovendo alleanze educative con riconoscimento dell’autonomia scolastica; l’attivazione di buoni che permettano alle famiglie di mantenere la possibilità di scegliere di provvedere in proprio a far crescere i figli e a dare cura agli anziani, senza obbligatoriamente ricorrere a strutture pubbliche quali asili nido o residenze assistite; rafforzamento dell’housing sociale; facilitazione nell’accesso ai mutui prima casa per le giovani coppie; l’adeguamento dei tempi della città alle esigenze delle famiglie; l’introduzione dei distretti familiari e della “valutazione di impatto familiare” sui provvedimenti emessi ad ogni livello istituzionale; l’adozione del “fattore famiglia” quale sistema di equa tassazione; il rafforzamento delle reti e del loro coordinamento nel Forum delle Associazioni Familiari, nel quale ci riconosciamo.
Naturalmente la prospettiva è il riequilibrio della spesa sociale, che per le famiglie è in Italia del 2% del Pil contro il 5% della media europea, nella consapevolezza che non è possibile difendere la famiglia senza difendere il matrimonio, inteso come unione tra un uomo e una donna aperta alla vita. Se il matrimonio va in crisi si sfascia anche quel “primo e principale soggetto costruttore della società e di un’economia a misura d’uomo” che è la famiglia, così come l’ha definita Papa Francesco nel messaggio di apertura della Settimana Sociale di Torino aggiungendo che “è ben più che un tema: è vita, è tessuto quotidiano, è cammino di generazioni che si trasmettono la fede insieme con l’amore e con i valori morali fondamentali, è solidarietà concreta, fatica, pazienza, e anche progetto, speranza, futuro”.
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