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  Tre sfide per salvare una generazione

Data di pubblicazione: Mercoledì, 18 Settembre 2013

TRAGUARDI SOCIALI / n.60 Agosto / Settembre 2013 :: Tre sfide per salvare una generazione

Le parti sociali europee unite per rilanciare l’occupazione giovanile

Prosegue anche in questo numero la corrispondenza da Bruxelles, curata dal giornalista Pierpaolo Arzilla. ‘Una finestra sull’Europa’ questa volta si occupa del piano d’azione unitario, presentato dalle parti sociali europee – sindacati e imprese –, per rilanciare l’occupazione giovanile.

Occupazione di qualità e opportunità di carriera realmente attrattive per i giovani, livelli d’istruzione e formazione adeguati alle esigenze delle imprese, rafforzamento del ruolo dell’industria e dei servizi pubblici ad alta prestazione come volano di una crescita sostenibile e inclusiva: tre sfide per salvare una generazione. Lo scrivono le parti sociali europee nel piano d’azione unitario sull’occupazione giovanile (“Framework of actions on youth employment”) che hanno consegnato alle istituzioni europee e nazionali prima della pausa estiva.
Nel documento, Ces (sindacati), Business Europe (la Confindustria europea), Ueapme (Pmi) e Ceep (imprese pubbliche), elencano le iniziative che le parti sociali europee potranno attuare unitariamente, e identificano una serie di raccomandazioni (nel breve e nel lungo periodo) per gli Stati membri e la Commissione europea.
Il progetto si sviluppa su quattro priorità: istruzione/formazione, transizione scuola-lavoro, occupazione, imprenditorialità. Si tratta, spiegano le parti sociali Ue, di decidere nuovi progetti e implementare quelli che già esistono, a cominciare dalla Garanzia Giovani, lo schema votato dal Consiglio Ue lo scorso febbraio che mira a ridurre al massimo a 4 mesi il periodo d’inattività nel passaggio scuola/disoccupazione-formazione/prima occupazione.
Fondamentale, in questo senso, spiegano le rappresentanze Ue di sindacati e imprese, puntare su apprendistato e tirocini. Sul lungo periodo, l’obiettivo, infatti, è il rafforzamento del modello tedesco del cosiddetto dual learning, l’apprendimento a scuola e nei luoghi di lavoro, in un percorso in cui la formazione dell’allievo è divisa tra le ore passate a scuola e quelle trascorse in azienda, con la maggior parte del tempo dedicata all’apprendistato all’interno dell’impresa stessa.
La necessità di formare lavoratori sempre più qualificati e competenti, magari promuovendo al massimo nelle scuole secondarie le discipline STEM (scienza, tecnologia, ingegneria, matematica), fa il paio, spiegano sindacati e imprese Ue, con la riforma del mercato del lavoro in cui tutela, pratica e assistenza (“tutoring, coaching and mentoring”), possano facilitare l’integrazione dei giovani nel loro primo lavoro, senza tuttavia comportare il sacrificio degli over 50, e su questo il segretario generale della Confederazione europea dei sindacati, Bernadette Segol, chiarisce che non si tratta di uno “scambio” (dentro i giovani, fuori gli anziani), ma di una “cooperazione intergenerazionale”.
Migliore flessibilità (ma rigorosamente “contrattata”, specifica la Ces) e un mercato del lavoro più dinamico, secondo la proposta unitaria, frutto evidente di un compromesso tra le parti, non significa libertà di licenziare, ma equilibrio “ideale” tra flessibilità stessa e sicurezza “per tutti i rapporti di lavoro”, per “contrastare la frammentazione del mercato del lavoro”, senza mettere a rischio i sistemi di protezione sociale. La flessibilità “è parte della soluzione”, spiega Business Europe, “ma non il suo abuso, né tantomeno la precarietà”. Le riforme del lavoro, scrivono Ces, BE, Ceep e Ueapme, devono passare per la contrattazione collettiva o dalla legislazione “in consultazione con le parti sociali”.
La priorità resta la “promozione di contratti a tempo indeterminato come forma principale e generale dei rapporti di lavoro”. E soprattutto, assicura Business Europe, va rigettata l’idea che lo sviluppo passi per una maggiore libertà di licenziare.
“Serve il migliore equilibrio tra flessibilità da una parte e sicurezza e protezione dall’altra”, osserva Markus J. Beyer, direttore generale di BE. “Le nostre priorità – dice – sono formazione e apprendistato e un sistema scolastico più vicino alle esigenze delle imprese. I giovani europei non sono una generazione perduta, questa è un’idea che rigettiamo, ed è il motivo per cui con i sindacati abbiamo deciso questo programma d’azione per l’occupazione giovanile: senza le parti sociali i problemi non risolvono”.
Fondamentale, secondo Andreas Persson, responsabile affari sociali del Ceep, che il lavoro pubblico torni a essere attrattivo per i giovani, nella qualità dell’occupazione e nelle possibilità di carriera. La ricetta è “investire a breve termine in politiche educative di qualità, e in una maggiore cooperazione tra scuola e servizi pubblici”. Una migliore transizione scuola-lavoro, osserva Persson, richiede l’acquisizione di competenze sempre più specifiche e trasversali: “Questo aiuterebbe a risolvere il gap di 2 milioni di posti di lavoro vacanti in Europa, proprio per la difficoltà di trovare personale specializzato”.
E’ nel passaggio delicato scuola-imprese, una transizione che deve essere in grado di ridurre il deficit nelle competenze professionali, che si contrasta la disoccupazione giovanile, sottolinea Liliane Volozinskis, direttore affari sociali dell’Ueapme.
Con la crisi che ha messo in ginocchio le Pmi, competere con le economie emergenti si fa sempre più complicato. La scelta giusta, dunque, va fatta sui banchi di scuola: “Ed è una scelta che definirei imprenditoriale – osserva Volozinskis - perché di imprenditorialità abbiamo bisogno, di giovani che siano ‘formati’ alla capacità e al rischio di fare impresa.
Una scelta vocazionale che gli Stati membri dovrebbero sollecitare per aumentare qualifiche e occupabilità dei giovani. E’ fondamentale una cooperazione più stretta con le autorità pubbliche”. Fondamentale, per l’Ueapme, lavorare sull’apprendistato e la formazione continua. “E riformare il mercato del lavoro in maniera più flessibile per le esigenze dell’azienda, ma anche più sicura per il lavoratore”.

Pierpaolo Arzilla
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