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  Cipro, l’isola divisa

Data di pubblicazione: Venerdì, 20 Maggio 2011

TRAGUARDI SOCIALI / n.47 Maggio / Giugno 2011 :: Cipro, l’isola divisa

Una ferita che risale al ’74.

Ad oltre venti anni dal crollo del Muro di Berlino, continuano ad esistere nel mondo molti muri che dividono forzosamente i popoli. Talvolta servono a fermare i flussi migratori clandestini, altre volte a impedire gli attentati terroristici. A Cipro il muro sorvegliato dal personale delle Nazioni Unite serve a congelare un campo di battaglia apertosi nel 1974, anno in cui la Turchia invase la parte settentrionale dell’isola. Agli scontri che si ebbero nell’estate di oltre trent’anni fa, seguirono il trasferimento forzato di 180.000 greco-ciprioti verso sud e la contemporanea migrazione di 50.000 turco ciprioti verso nord, nella zona occupata dalle forze armate di Ankara. Da allora la situazione è rimasta congelata e nessuno è stato in grado di sbloccare lo stallo, anche se nel 2004 le Nazioni Unite prepararono un piano di unificazione dell’isola improntato sulla nascita di uno Stato federale, che fu approvato tramite referendum dai turco-ciprioti. I greco-ciprioti respinsero invece il cosiddetto Piano Annan perché esso prevedeva un parziale riconoscimento
dell’entità turco-cipriota, e dunque anche del risultato a cui condusse l’invasione turca.
Al momento, non è possibile prevedere una soluzione a breve termine per la frattura cipriota. Un recente studio del Peace Research Institute di Oslo, uno dei maggiori centri di ricerca sui conflitti a livello internazionale, ha messo in luce come neppure la popolazione dell’isola si aspetti cambiamenti significativi in un futuro prossimo. Certamente, dal sondaggio emerge la percezione di un clima più disteso e di migliori relazioni fra le due parti dell’isola. Non si esclude infatti la prospettiva di un possibile riavvicinamento, ma gli stessi abitanti preferiscono attendere e non affrettare troppo il processo, per non rischiare un peggioramento della situazione dal punto di vista della sicurezza.
Le generazioni di adulti oltre i cinquanta anni appaiono ormai stanche di lottare contro un muro che per decenni è stato congelato dalla Guerra Fredda e che nessuno è mai riuscito a spostare, mentre le giovani generazioni sono cresciute nella divisione e vi sono in un certo qual modo abituate.
Scontando gli effetti della politica internazionale sulle dinamiche interne all’isola mediterranea, che comunque sono rilevanti, il motivo forse principale per cui a livello locale è così difficile cambiare le cose risiede proprio in quel massiccio flusso di profughi che si ebbe nelle due direzioni in concomitanza con l’invasione turca. Attualmente, il 95% della popolazione della Repubblica di Cipro è greco-cipriota e ad una percentuale molto simile ammonta la popolazione di etnia turco-cipriota nell’area settentrionale dell’isola. Le minoranze etniche sono così esigue che non costituiscono una massa critica sufficiente a coagulare movimenti di opposizione che siano talmente forti da forzare un ripensamento dei confini e dell’assetto istituzionale dell’isola. Inoltre, la Repubblica di Cipro è uno Stato pienamente democratico, membro dell’Unione Europea e rispettoso delle proprie minoranze interne. Nel nord la situazione è invece più delicata, ma non talmente vessatoria da far presagire la possibilità di pressioni dal basso che escano dai canali istituzionali. In poche parole, le due repubbliche cipriote sembrano vivere due vite parallele, rivolte in direzioni opposte, verso differenti punti di riferimento politico: l’Unione Europea per l’una e la Turchia per l’altra. Ciò non significa tuttavia che non esistano problemi e che la questione non meriti una riflessione più ampia. Molteplici sono state ad esempio le occasioni in cui sia associazioni greco-cipriote che la Chiesa Greco-Ortodossa si sono lamentate delle difficoltà cui sono sottoposti i fedeli cristiani della parte settentrionale dell’isola. Molte chiese cristiane della zona nord si trovano in condizioni di abbandono, mentre altre sono state convertite ad uso civile dalle autorità turche, ed oggi ospitano ristoranti e negozi. Inoltre, per quanto la libertà di culto per i cristiani sia ufficialmente garantita dall’ordinamento giuridico della Repubblica Turca, spesso si sono creati problemi fra la comunità cristiana e la polizia. Più volte infatti questa ha chiamato in causa supposti problemi di ordine pubblico come ragione per non concedere l’autorizzazione alla celebrazione pubblica dei riti cristiani in occasione delle feste. Lo scorso Natale, ad esempio, la polizia ha fatto ingresso in alcune chiese greco-ortodosse durante le celebrazioni ed ha obbligato i fedeli ad uscire, scatenando così polemiche accese a livello internazionale.
Purtroppo, anche in questo caso, come in molte altre questioni di politica internazionale, l’Unione Europea non appare in grado di elaborare una linea d’azione capace di contribuire fattivamente alla soluzione del problema. Uno dei suoi membri lamenta il dolore di una ferita ancora non guarita, ma nessuna iniziativa concreta viene presa per cercare di sciogliere questo nodo. L’approfondimento dei rapporti con la Turchia potrebbe essere una grande occasione per risolvere anche il problema di Cipro, ma la stasi e l’incertezza dominano entrambe le questioni, così come non si capisce se i leader europei abbiano ancora intenzione di scommettere davvero sul futuro dell’Unione. Possiamo sempre sperare che i problemi si risolvano da soli, ma in politica accade raramente.

Stefano Costalli
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