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  Un fondamento etico per le scelte politiche

Data di pubblicazione: Martedì, 24 Maggio 2011

TRAGUARDI SOCIALI / n.47 Maggio / Giugno 2011 :: Un fondamento etico per le scelte politiche

Intervista a Maurizio Lupi, vicepresidente della Camera dei Deputati.

Maurizio Lupi, Vice Presidente Pdl della Camera dei Deputati, Presidente del Comitato per la comunicazione e l’informazione esterna nonché Presidente del Comitato per la sicurezza e Presidente della Commissione esaminatrice del “Premio Ilaria Alpi e Maria Grazia Cutuli”, è sicuramente un uomo molto impegnato. Politico di spicco del Pdl, è anche il fondatore dell’Intergruppo Parlamentare per la Sussidiarietà, cui aderiscono più di 320 parlamentari di maggioranza e di opposizione (deputati e senatori).
Uomo sempre cortese e politicamente lucido ed equilibrato, ha accettato di buon grado di rispondere alle domande che Traguardi Sociali gli ha sottoposto sui temi che più stanno a cuore al Movimento.
On. Lupi, qual è oggi il ruolo dei cattolici in politica?
C’è un brano di Papa Benedetto XVI che secondo me spiega bene qual è la sfida che attende oggi i cattolici impegnati in politica. è tratto dal discorso che il Santo Padre ha tenuto alla Westminster Hall durante la sua visita a Londra. Dice il Papa: “La questione centrale in gioco, dunque, è la seguente: dove può essere trovato il fondamento etico per le scelte politiche?
La tradizione cattolica sostiene che le norme obiettive che governano il retto agire sono accessibili alla ragione, prescindendo dal contenuto della rivelazione.
Secondo questa comprensione, il ruolo della religione nel dibattito politico non è tanto quello di fornire tali norme, come se esse non potessero esser conosciute dai non credenti – ancora meno è quello di proporre soluzioni politiche concrete, cosa che è del tutto al di fuori della competenza della religione – bensì piuttosto di aiutare nel purificare e gettare luce sull’applicazione della ragione nella scoperta dei principi morali oggettivi”. E ancora: “La religione, in altre parole, per i legislatori non è un problema da risolvere, ma un fattore che contribuisce in modo vitale al dibattito pubblico nella nazione”. Ecco io credo che non esistano parole migliori di queste per indicare qual è la strada da percorrere. In un contesto culturale in cui troppo spesso gli interventi della Chiesa vengono bollati come “invasioni” di campo, come “ingerenze”, io credo che il compito dei cattolici sia anzitutto quello di essere testimoni. Certi di ciò che hanno incontrato e hanno visto, disponibili a confrontarsi con chiunque. Mi sembra che l’idea di far nascere un nuovo “cortile dei gentili” avanzata dal Papa sia un modo chiaro per far capire, anche a chi non ha fede, che la religione non può essere ridotta ad un sentimento da coltivare nel privato, ma ha pieno diritto di partecipare, illuminandolo, al dibattito pubblico.
I cattolici nel centrosinistra sono sempre più a disagio. Per quale ragione secondo lei?
Non mi piace parlare di ciò che accade in casa d’altri.
In questi mesi in molti mi hanno domandato come facessi a non sentirmi a disagio militando nel Pdl e nel centrodestra. A tutti ho sempre risposto che la politica per me è anzitutto affermazione del bene comune. è come diceva Paolo VI, la forma più alta di carità cristiana.
Io penso che questo vada al di là dello stile di vita di ognuno. Posso, come mi accade talvolta, non condividerlo, ma secondo me non è possibile giudicare la politica attraverso le categorie dell’etica. Per questo continuo a militare nel Pdl e nel centrodestra perché in questi anni nessuno mi ha mai chiesto di rinunciare ai valori in cui credo o di fare passi indietro rispetto a principi che io ritengo non negoziabili. Penso all’idea di un modello statale fondato sulla sussidiarietà, ma anche alle battaglie per la difesa della vita dal suo concepimento fino alla morte naturale. Da questo punto di vista, quindi, non provo alcun disagio. Se i colleghi cattolici del centrosinistra non si trovano a proprio agio, forse, è perché non possono esprimere quello che sono liberamente, come capita a me. Ma questo va chiesto a loro.
Qual è la sua posizione sul testamento biologico?
In politica, come nella vita, occorre essere realisti.
Non ho mai voluto una legge su un tema così delicato.
Le sentenze degli ultimi due anni ci hanno tuttavia imposto un intervento legislativo per non lasciare agli orientamenti del giudice di turno la vita o la morte delle persone. Purtroppo in Italia, Paese dei paradossi, c’è una strana tendenza a bollare come “cattoliche” leggi come questa che, secondo una lettura assolutamente strumentale della realtà, sarebbero il frutto di un’ingerenza della Chiesa negli affari dello Stato. Ebbene io credo che il cardinale Bagnasco abbia spazzato via ogni dubbio quando ha spiegato che questa “non è una legge cattolica” ma “rappresenta un modo concreto per governare la realtà e non lasciarla in balia di sentenze che possono a propria discrezione emettere un verdetto di vita o di morte”. Condivido pienamente la sua posizione.
Come tutte le leggi anche quella sul testamento biologico non nasce in astratto, da una crociata ideale, ma dalla realtà. Non possiamo permetterci di far nascere una società che distingue tra vite di serie A e di serie B, e che considera la morte come la più alta forma di “liberazione”. So bene che quella messa a punto dal Parlamento, che in molti criticano senza aver letto, forse non è la migliore legge possibile. C’è ancora del lavoro da fare. E so anche che non basta una norma sul testamento biologico per risolvere ogni problema.
Si tratta di un argine, il tempo ci dirà se debole o resistente, ma è l’unico modo che abbiamo per impedire l’anarchia che permette di trasformare ogni desiderio, anche quello della morte, in un diritto.
Più volte Famiglia Cristiana ha espresso posizioni critiche nei confronti del governo. Come giudica i continui richiami?
Non mi hanno mai spaventato le critiche, con le quali quotidianamente faccio i conti. Diverso è quando ci si scontra con posizioni ideologiche e pretestuose.
Certe volte ho l’impressione che Famiglia Cristiana, un po’ come accade con il Fatto Quotidiano, Repubblica e l’Unità, voglia ergersi a tribunale morale dell’Italia.
Limito il mio commento a una frase di Roberto Gervaso: “Il moralista, impegnato a predicare la virtù, difficilmente troverà il tempo di praticarla”.
Le persecuzioni dei cristiani nel mondo. Come reagire secondo lei?
Io credo che quello delle persecuzioni dei cristiani nel mondo sia un tema che non può lasciarci indifferenti.
Purtroppo, però, sono proprio il silenzio e l’indifferenza le due reazioni che accompagnano le notizie dei massacri che avvengono ormai in diverse parti del mondo. Questo è inaccettabile, non solo perché i cristiani sono a tutti gli effetti i martiri del Terzo millennio, ma anche perché chi non difende la libertà religiosa, non difende una delle fondamenta di qualsiasi Stato democratico. Il nostro Parlamento, nel gennaio scorso, ha approvato una risoluzione unitaria in difesa della libertà religiosa, definita “la madre di tutte le libertà”.
Personalmente ho voluto dare un segnale di vicinanza ad una comunità cristiana particolarmente colpita dalle violenze di questi anni recandomi in Iraq, pochi giorni fa, con una delegazione ufficiale della Camera composta da colleghi di tutti i partiti. D’altra parte il Ministro Frattini e il Governo italiano stanno facendo molto per richiamare l’attenzione del mondo su questo tema. La decisione della Farnesina di esporre sulla facciata del Ministero una gigantografia del Ministro pachistano Bhatti ne è una testimonianza. Ma occorre un passo ulteriore. è tempo che la comunità internazionale, in particolare l’Unione Europea e l’Onu, si accorga di questa gravissima emergenza e ponga in essere azioni decise per fermare la persecuzione dei cristiani.
Immigrazione. Quale la strada per risolvere l’emergenza?
L’Italia è un Paese di migranti. La solidarietà e l’accoglienza fanno parte del nostro Dna, come dimostra la grande umanità con cui i cittadini lampedusani hanno accolto le migliaia di immigrati provenienti dal Nord Africa. L’emergenza non è stata affrontata tempestivamente a causa di qualche distinguo di troppo.
Questo è evidente, ma è altrettanto evidente che, una volta messe da parte le rivendicazioni personalistiche, tutto si è mosso con rapidità ed ora possiamo dire che la situazione è sotto controllo. Questo non significa che il lavoro sia finito. L’immigrazione non può e non deve essere un problema solo italiano. Deve essere gestito con una logica europea. Fino ad oggi, però, il resto dell’Unione si è limitato alle dichiarazioni di principio. Mi pare che l’accordo raggiunto con la Francia sia un buon punto di partenza. Così come l’intesa con il governo tunisino. Sono dei passi, ma ci sono ancora troppe divisioni e troppe rivendicazioni egoistiche. E questo è inaccettabile. Ritengo che questa sia un’occasione privilegiata per verificare sul campo l’esistenza e l’efficacia dell’Europa, fino ad ora piuttosto debole.
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