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  Accogliere nella legalità

Data di pubblicazione: Martedì, 1 Marzo 2011

TRAGUARDI SOCIALI / n.46 Marzo / Aprile 2011 :: Accogliere nella legalità

MCL: a Napoli la Conferenza nazionale sull’immigrazione. A cura di Fiammetta Sagliocca.

Come governare i flussi migratori, realtà inarrestabile del nostro tempo, mettendo però dei ‘paletti’ a una clandestinità che spesso genera atteggiamenti criminali, per dare invece valore alla diversità e costruire una reale società multiculturale?
Sono state queste alcune delle domande al centro della due giorni di lavoro organizzata a Napoli, l’11 e il 12 febbraio, dal Movimento Cristiano Lavoratori e dalla Fondazione Italiana Europa Popolare, sul tema “Immigrazione nella legalità: identità e incontro”. Un titolo che sintetizza chiaramente la posizione del MCL su un tema di strettissima attualità, quale quello delle migrazioni, come testimoniano anche i drammatici sbarchi di questi giorni sulle nostre coste.
Davanti a una platea di oltre 250 dirigenti MCL impegnati nel settore (alcuni dei quali anche lavoratori stranieri in Italia, dipendenti o volontari degli Enti di Servizio MCL) oltre ai responsabili delle sedi dei Servizi MCL in Romania, Moldavia, Marocco, Bosnia, il presidente del MCL Carlo Costalli, ha sostenuto che “bisogna evitare che si alimenti il massimalismo populista dei respingimenti da un lato e il colpevole buonismo dell’accoglienza indiscriminata dall’altro. Delle barriere di ingresso, o meglio dei ‘confini’, ci vogliono, ma devono anche rispondere ad esigenze umanitarie di accoglienza di chi è perseguitato ed in ogni caso, davanti a un immigrato, sia anche clandestino, non cessano i doveri che si hanno nei confronti di ogni persona umana”.
Per Costalli sarebbe infatti “sbagliato pensare che il fenomeno si possa impedire, ma sarebbe altrettanto sbagliato ritenere che la cosa migliore sia aprire la porta a tutti”.
Bisogna mettere alcuni punti fermi: “Cominciamo con il chiarire, noi cattolici, che per la dottrina sociale della Chiesa esiste un diritto ad emigrare che deve essere garantito a tutti: ognuno deve poter lasciare liberamente il proprio Paese. Il diritto di emigrare ha a che fare con la libertà personale e con la possibilità di fuggire da persecuzioni o minacce per motivi politici o religiosi. Ha anche a che fare con il diritto a cercare il proprio benessere e quello delle proprie famiglie”.
Ma per Costalli c’è un aspetto fondamentale da considerare per poter davvero ‘accogliere’: quello della nostra identità. “Il primo problema da affrontare, prima ancora di chiederci ‘chi sono loro’, è ‘chi siamo noi’. Per poter dialogare, e magari anche modificare alcune nostre idee e prassi consolidate, dobbiamo partire da una nostra identità. Diversamente ci sarà solo la ‘marmellata’ di una caotica società multiculturale”.
“Se ci guardiamo intorno, però, non vediamo una forte consapevolezza della grandezza e dei limiti della nostra cultura. Anzi, il relativismo culturale dilagante, è frutto di un relativismo etico più ampio e molto presente nella nostra vita quotidiana.
Una società che non sa più cosa sia la famiglia, che contempla l’aborto o la possibilità di sottoscrivere un testamento biologico, che prevede il suicidio assistito, che non sa dire no alle coppie omosessuali che pretendono un riconoscimento giuridico, è una società che non sa più da dove viene né verso dove vada”.
Il Cardinale Crescenzio Sepe, Arcivescovo Metropolita di Napoli, ha esortato a “non tenere gli occhi chiusi, ad affrontare il problema. Anche la Caritas in Veritate – ha ricordato - focalizza gli aspetti più rilevanti sottolineando la complessità di gestire il problema. Il punto è che non tutti hanno solo diritti e non tutti hanno solo doveri. Abbiamo davanti una sfida drammatica, che oggi dobbiamo assolutamente affrontare, e lo vediamo anche in queste ore”.
Per l’Arcivescovo è però necessario “evitare soluzioni sbrigative: servono soluzioni equilibrate che tengano conto da una parte dei diritti naturali dall’altra anche dei necessari doveri”. “Papa Giovanni Paolo II ha sottolineato spesso l’unità della famiglia umana: esiste una sola famiglia umana che poi si incarna in diverse popolazioni, nazioni, culture.
Da questo punto centrale si debbono snodare tutte le considerazioni che si possono fare”. Ma è essenziale “collaborare tutti insieme per dare un filo di speranza”.
Per il Direttore Generale dell’Immigrazione del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Natale Forlani, “La crescita della popolazione straniera in Italia, nell’ultimo decennio, è stata tumultuosa.
Si è triplicata sia la popolazione residente che l’occupazione degli immigrati. Tutto questo è avvenuto in coincidenza di un approccio culturale e politico assai distante dai fenomeni reali e l’integrazione di fatto è avvenuta grazie alla caratteristica adattiva e accogliente delle nostre comunità locali”.
“Dobbiamo prendere consapevolezza che è grazie soprattutto agli immigrati che l’Italia riesce ad avere una tenuta demografica, e livelli di intraprendenza e di mobilità che consentono di soddisfare lavoro, mestieri e promozione di imprese che compensano le criticità del mercato del lavoro degli italiani. Con una politica più attenta nel governare le dinamiche reali del mercato del lavoro ed a favorire l’integrazione come opportunità di crescita del nostro Paese, è possibile nei prossimi anni valorizzare un patrimonio di risorse umane e di famiglie di immigrati già presenti nelle nostre comunità e migliorare la qualità degli ingressi per motivi di lavoro senza particolari sconvolgimenti nel nostro tessuto economico e sociale”.
Ai lavori è intervenuto anche Mons. Giancarlo Perego, Direttore della Fondazione Migrantes: “tra i fenomeni del cambiamento c’è la mobilità”, ha detto. “Un fenomeno complesso alimentato dalla globalizzazione e dalla comunicazione, che interessa in prevalenza aree geografiche caratterizzate da insufficienti risorse economiche e/o da economie in transizione”.
Impressionanti i numeri che ha snocciolato: “Ogni anno nel mondo si mettono in moto un miliardo di persone: 800 milioni all’interno del proprio Stato, 200 milioni che lasciano il proprio Paese per altri. Si tratta di 100 milioni in più rispetto a dieci anni fa. Questi dati ci devono indurre a leggere la mobilità all’interno di un discorso di cooperazione internazionale”.
“La mobilità che ha avuto protagonista per diversi secoli l’Europa, vede oggi protagoniste altre nazioni. L’Italia sta vivendo anch’essa già dagli anni ’80 il fenomeno dell’immigrazione. E’ diventata, insieme agli Stati Uniti, il più grande Paese di pressione migratoria. Una realtà migratoria molto forte: 5 milioni di persone, 1 persona su 12, con 198 nazionalità diverse, 140 lingue diverse”.
Insomma, l’immigrazione sta cambiando la nostra vita, sta strutturando diversamente la vita della città, delle famiglie e delle persone “soprattutto in cinque ambiti: il mondo del lavoro, la famiglia, la scuola, la nazione, la comunità cristiana”. Allora come affrontare questo cambiamento? Per Mons.Perego “le piste di lavoro sono numerose: dall’identità/incontro-relazione agli strumenti come il Patronato, centrale nell’attività del MCL. La strada che insieme siamo invitati a percorrere è quella della interculturalità, che passa anche da una consapevolezza nuova di incontri, relazioni, legami che comprendono persone, storie e popoli nuovi, che toccano la nostra vita nei luoghi della quotidianità, dello sportello, del laboratorio, dove sperimentare una santità laicale”.
Ma la continua crescita dei flussi migratori non è una realtà solo italiana: lo ha ben sottolineato Armin Laschet membro del Bundestag e Transatlantic Council on Migration Fondazione Konrad Adenauer.
“Oggi il 40% dei lavoratori è rappresentato da persone di origine migratoria. Indipendentemente da dove provenga, ognuno in Germania deve aver la possibilità di crearsi la propria vita e lo Stato deve intervenire dove le famiglie non arrivano: nella scolarizzazione e nella formazione. Questo lo avevano già capito da tempo solo la Chiesa e il sindacato”, ha detto Laschet. “Il secondo punto fondamentale è la cittadinanza. Si è sempre considerato cittadino tedesco colui che nasce da un tedesco, creando così un’assurdità: il ragazzino turco nato a Colonia resta comunque turco. Il nuovo approccio del diritto di cittadinanza derivante dallo ius solis ancora non è ben percepito dai tedeschi”.
Poi un accenno all’Islam: “L’Islam è diventato parte integrante della società tedesca. Questa religione, comunque riconosciuta, deve però attenersi alle leggi dello Stato. La Germania vuole essere una società multiculturale ma nel rispetto del Paese che accoglie”.
Come ha sottolineato Wilhelm Staudacher, direttore della Fondazione Adenauer, “in questa Europa dei 27 i problemi italiani non sono solo problemi italiani, ma diventano europei. E per il futuro non saranno più solo problemi europei ma problemi globali”.
Mons. Anton Cosa, Vescovo di Chisinau (Moldavia), ha analizzato la situazione dell’emigrazione moldava, spesso determinata dalla povertà: “uno stipendio medio è di circa 180 euro nell’area urbana e 80 euro nell’area rurale. Aumentano sempre più i costi dei servizi dello Stato e la crisi delle aziende. I danni sociali sono elevati, la famiglia si disgrega sempre più: madri e padri partono spesso non per la stessa destinazione, o diventano alcolizzati.
I figli rimangono con i nonni, li chiamiamo orfani sociali perché non vivono sulla strada, ma hanno perso i riferimenti educativi. In questo contesto si muove la Chiesa cattolica, una piccola minoranza che non può coprire i vuoti affettivi ma può essere una presenza che ama”.
Mons. Cosa ha quindi presentato “la prima settimana sociale dei cattolici in Moldova, significativamente intitolata Il coraggio di crescere insieme agli ultimi, che sarà il punto di riferimento per una Chiesa giovane per far conoscere se stessa, ma anche per conoscere la sua identità. Si celebrerà in ottobre, ed è un onore per noi avere Costalli nel Comitato scientifico”, ha detto.

Al dibattito è intervenuto anche Rafael Rodriguez Ponga Y Salamanca, della Fundación Humanismo y Democracia.
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