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  Democrazia economica e partecipazione, le scelte strategiche

Data di pubblicazione: Lunedì, 7 Marzo 2011

Raffaele Bonanni (foto: cislveneto.it)

Raffaele Bonanni (foto: cislveneto.it)

TRAGUARDI SOCIALI / n.46 Marzo / Aprile 2011 :: Democrazia economica e partecipazione, le scelte strategiche

Intervista a Raffaele Bonanni, segretario generale Cisl, a cura di Ettore Maria Colombo.

Raffaele Bonanni, segretario generale Cisl, risponde come sempre molto volentieri, pur preso com’è tra mille impegni, alle domande che gli facciamo a nome di Traguardi Sociali. E lo fa con quella stessa franchezza e sostanza dei contenuti che noi del MCL ben conosciamo, e che abbiamo ritrovato anche in ogni passaggio di questi ultimi delicati mesi, nel corso dei quali abbiamo seguito e sostenuto il suo percorso, e quello della Cisl, durante le spinose vicende degli accordi di Mirafiori e di Pomigliano prima, e del recente confronto referendario poi.
Raffaele Bonanni, segretario generale Cisl, risponde come sempre molto volentieri, pur preso com’è tra mille impegni, alle domande che gli facciamo a nome di Traguardi Sociali. E lo fa con quella stessa franchezza e sostanza dei contenuti che noi del MCL ben conosciamo, e che abbiamo ritrovato anche in ogni passaggio di questi ultimi delicati mesi, nel corso dei quali abbiamo seguito e sostenuto il suo percorso, e quello della Cisl, durante le spinose vicende degli accordi di Mirafiori e di Pomigliano prima, e del recente confronto referendario poi.

Lavoratori azionisti e compartecipazione agli utili dell’azienda. Sogni oppure obiettivi possibili?
Per la Cisl la democrazia economica e la partecipazione alle scelte dell’azienda rimangono un obiettivo strategico. In questi anni sono stati fatti passi importanti. Lo dimostrano i disegni di legge bipartisan depositati in Parlamento e soprattutto l’avviso comune firmato dalle parti sociali con il Ministro del Welfare, Sacconi. E’ evidente che ci sono resistenze sia da una parte del mondo imprenditoriale, sia da parte della finanza. C’è chi teme che la partecipazione possa diventare cogestione.
Ma questa è una visione distorta della democrazia economica. Noi vogliamo che i lavoratori contino di più nei processi di controllo e di indirizzo, come avviene in altri Paesi. Se i lavoratori saranno coinvolti nelle scelte aziendali, la qualità della produzione e il sistema economico funzioneranno meglio attraverso un vero incontro tra capitale e lavoro, come ci insegna anche la dottrina
sociale della Chiesa.

La Fiat minaccia di lasciare l’Italia e di portare la propria testa a Detroit. Come si concilia questo rischio con il sì al referendum di Mirafiori che voleva ottenere l’esatto contrario, e cioè garantire migliori salari ai lavoratori mantenendo gli attuali livelli occupazionali di casa Fiat? E cosa dovrebbe fare il governo per impedire che Marchionne lasci l’Italia? Quali garanzie chiedere?
Mi sembra che questa domanda sia del tutto fuori luogo. E mi dispiacerebbe se un giornale serio come quello del MCL desse fiato ad un pallone mediatico costruito per finalità esclusivamente politiche e non sindacali. Marchionne non ha mai detto che avrebbe lasciato l’Italia. Anzi la Fiat ha confermato in Parlamento non solo l’italianità del gruppo ma soprattutto il piano di investimenti previsto nel nostro Paese a dispetto di tutti i pessimisti di professione e di tutte le ‘cassandre’ antinazionali.
Tutti sanno che la Fiat è un’impresa multinazionale e che ha già tante sedi sparse nel mondo. Tuttavia, Marchionne ha ribadito che il cuore dell’impresa resterà a Torino. Questo è quello che conta. Per quanto ci riguarda, la Cisl, continuerà a dare garanzie alla Fiat, ma in cambio chiederemo garanzie sul piano del mantenimento dei livelli occupazionali, maggiori salari e più partecipazione dei lavoratori alle scelte della Fiat.
Questo è lo scambio che chiederemo a Marchionne, assumendoci come sempre le nostre responsabilità.
E’ davvero stucchevole come da una parte della politica e da una parte del mondo sociale, invece di fornire il necessario contributo per favorire gli investimenti, si continui a scoraggiare o addirittura ostacolare le imprese che vogliono investire in Italia con un atteggiamento davvero irresponsabile.
Nella fase di grave crisi che sta vivendo il Paese, con centinaia di migliaia di lavoratori in cassa integrazione e tanti giovani e donne disoccupate, bisognerebbe fare di tutto, come spesso ha ricordato il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, per garantire condizioni favorevoli e vantaggiose agli investimenti e non il contrario come predica qualcuno.

L’intesa sul Pubblico Impiego recentemente siglata senza la firma della Cgil comporta, per la Cisl, una riconferma del ruolo della contrattazione di secondo livello, il rilancio della produttività nella PA e garantisce i livelli salariali. E’ così? E perché la Cgil non ha firmato neppure questo?
Dovrebbe chiederlo alla Cgil perché non ha firmato un accordo che sostanzialmente garantisce ai lavoratori pubblici gli aumenti salariali legati alla produttività anche in un momento di grave crisi economica e difficoltà di bilancio. Nessun altro in Europa ha ottenuto questo risultato per i dipendenti pubblici, visto che ci sono stati licenziamenti e decurtazioni di salario. Probabilmente alla Cgil dà fastidio che si possano risolvere i problemi dei lavoratori senza fare ricorso a scioperi politici e perdita di salario per i lavoratori.

Giuliano Amato e il banchiere Pellegrino Capaldo hanno rilanciato all’attenzione del dibattito pubblico il tema di un’imposta patrimoniale sulle grandi ricchezze. Cosa ne pensa? E’ d’accordo? E se no perché e come si può combattere la grande sperequazione dei livelli di ricchezza in Italia?
Noi abbiamo detto che in linea di principio non siamo contrari ad un’imposta sulle grandi ricchezze.
Anzi abbiamo chiesto più volte di aumentare le tasse per le rendite finanziarie come avviene in altri Paesi europei. Insomma, non vogliamo che a pagare siano i soliti noti, cioè i lavoratori dipendenti, i pensionati o le famiglie meno abbienti.
La ricchezza in Italia sta spesso nelle mani di gente sconosciuta al fisco. Questo è il problema.
Fino a quando non si metterà mano ad una riforma complessiva del sistema fiscale, ridistribuendo i carichi, non faremo passi in avanti verso l’equità fiscale.

Il governo Berlusconi è sottoposto a continue minacce di crisi ed è sotto scacco per gli scandali. Deve andare avanti l’azione di questo Esecutivo? E se sì come? E facendo cosa?
E l’opposizione, cosa dovrebbe fare per aiutare la ripresa economica e la crescita sociale del Paese?

Non tocca al sindacato scegliersi i governi né dare indicazioni al Capo dello Stato che è persona saggia ed equilibrata. E’ chiaro che questa situazione non ci piace perché il dibattito politico e mediatico è tutto su argomenti che nulla hanno a che vedere con i problemi della gente. Noi pensiamo che tutti - governo, opposizione, regioni, enti locali, forze sociali - dovrebbero assumersi le proprie responsabilità in questa fase e pensare al destino sociale ed economico del Paese. Ci vorrebbe più cooperazione come chiede con insistenza il Capo dello Stato. Ma purtroppo la situazione è sempre più ingarbugliata.

Il governo ha da poco varato il federalismo municipale all’interno dei decreti sul federalismo fiscale. Come deve avvenire la riforma federale dello Stato e quali sono i suoi rischi e vantaggi?
Noi riteniamo che sarebbe opportuna una pausa di riflessione sul tema del federalismo.
Sarebbe necessario un approfondimento degli aspetti di merito verso una soluzione condivisa tra maggioranza, opposizione ed autonomie locali.
La cosa che bisogna evitare è l’aumento ulteriore della pressione fiscale a livello locale, determinato anche dallo sblocco delle addizionali comunali. Il carico fiscale dovrebbe invece essere spostato dalle persone alle cose e ai consumi.
Insomma, il federalismo può diventare una opportunità, ma ci vogliono meccanismi perequativi per le funzioni fondamentali degli enti locali.
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