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  Una riforma per una giustizia più giusta

Data di pubblicazione: Domenica, 6 Marzo 2011

TRAGUARDI SOCIALI / n.46 Marzo / Aprile 2011 :: Una riforma per una giustizia più giusta

a cura di Guglielmo Borri, Vice Presidente Nazionale MCL.

Nel 2009 l’Italia era al 156° posto nella classifica mondiale che stima l’efficienza della giustizia. Tanto basterebbe, per indurre la politica a mettere seriamente mano a riforme vere, sistematiche, superando la logica dei provvedimenti tampone, che non fanno altro che riparare male una tela molto logora. Il Ministro Alfano ha recentemente sottolineato, come il ‘carico’ giudiziario dei Tribunali Italiani sia sceso, di qualche punto percentuale nell’ultimo anno, sottolineando come ciò rappresenti un’inversione di tendenza di grande significato, perché il dato con segno negativo appare nelle statistiche per la prima volta negli ultimi trent’anni.
Con queste premesse è evidente l’indifferibilità di una riforma del sistema, sia delle norme processuali sia nelle norme generali regolatrici della materia. La legge sull’ordinamento giudiziario è precedente alla promulgazione della Costituzione (1941 pur con successive modifiche) ed in oltre sessant’anni di vita repubblicana non si è riusciti a costruire un nuovo impianto della giustizia in Italia, aggiornato alle mutate esigenze della società, che regoli l’amministrazione della giustizia in tutti i suoi aspetti, compresi quelli riguardanti la Magistratura stessa, la sua struttura, la sua organizzazione, le sue prerogative, i suoi controlli, compreso il sistema della responsabilità.
Il corto circuito istituzionale che sta vivendo l’Italia in questi tempi, si è avviato anche in virtù di uno sbilanciamento dei ruoli e dei poteri dello Stato, derivato anche dalla difficoltà della politica del dopo tangentopoli, che ha messo in crisi il sistema di bilanciamento dei poteri. Oggi è, dunque, necessario porre mano a riforme che rendano più efficiente il sistema, scongiurando – tra l’altro – il pericolo della contrapposizione tra politica e magistratura, eliminando attriti e contrasti che portino alla delegittimazione delle istituzioni ed alla perdita di fiducia nei loro confronti da parte della gente. Va riaffermato con forza e con grande senso di responsabilità, che la giustizia non è terreno per speculazioni politiche da parte di nessuno, ma deve essere al servizio della società, assicurando la certezza del diritto, dando “unicuique suum”, non essendo accettabile che siano necessari 1.200 giorni per recuperare un credito o 1550 giorni per concludere una causa civile di primo grado. L’incertezza del sistema giustizia in Italia, non aiuta di certo a creare attrattività ed interesse per gli investitori stranieri, che sanno come, nel nostro Paese, un contenzioso abbia tempi di definizione abnormi.
Se, dunque, è il tempo della riforma del processo civile e penale, è anche il tempo di riforme più ampie tra le quali quella del Consiglio Superiore della Magistratura - organo di governo e di organizzazione della Magistratura italiana. Le questioni aperte e dibattute sono molte, tra queste ci sono senz’altro quelle della composizione e della rappresentanza dell’organo. La volontà e la sovranità popolare, che si esplicano attraverso la rappresentanza parlamentare, dovrebbero essere i principi da porre alla base di una riforma che porti ad un rafforzamento della rappresentanza espressione del Parlamento nell’organo di governo della Magistratura, proprio perché non si corra mai il rischio di un eccesso di ‘autogoverno’. Mantenendo e garantendo al massimo l’assoluta indipendenza dei magistrati, separando, però, le carriere di giudicanti ed inquirenti, ma non per sottomettere in modo più o meno velato questi ultimi al potere esecutivo, poiché sarebbe pericoloso che la materia delle carriere fosse sottratta al CSM per venire attribuita al Ministro di Giustizia, senza rischiare che possa essere l’esecutivo - di volta in volta in carica - a decidere la composizione degli Uffici Giudiziari.
La riforma, poi, non potrebbe non affrontare in modo nuovo il tema della meritocrazia e del superamento delle carriere per sola anzianità o, piuttosto, quello spinosissimo del sistema autodisciplinare o ancora quello della responsabilità civile dei magistrati, che nonostante un referendum ormai risalente agli anni Ottanta, non ha ancora avuto una soddisfacente disciplina a tutela dei cittadini, nel rispetto dell’indipendenza dei magistrati, ma anche del diritto delle persone ad avere un giusto ristoro per quelle vicende giudiziarie che dopo anni di indagini e di processi si esauriscono in archiviazioni ed assoluzioni.
Dunque, le proposte possono essere diverse, ma nel quadro di una riforma organica e sistematica della giustizia in Italia, dovrà esserci anche quella del CSM, delle sue attribuzioni e della sua composizione e nomina, che potrebbe essere concepito come organo espressione della Presidenza della Repubblica, del Parlamento e della Magistratura, con diverse quote di rappresentanza, ‘laica’ e ‘togata’, riequilibrate a favore della prima, ma che continui a svolgere anche le funzioni disciplinari.
In ogni caso, una cosa è certa: è tempo che la politica, sul tema giustizia, decida di decidere.
Si tratta di una questione urgentissima, quasi drammatica per il Paese e la politica deve avere la forza e la responsabilità di superare le contrapposizioni strumentali e di agire in tempi brevi, per il bene comune, per il bene dell’Italia.
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