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  Intraprendere, responsabilità di tutti

Data di pubblicazione: Domenica, 21 Novembre 2010

TRAGUARDI SOCIALI / n.44 Novembre / Dicembre 2010 :: Intraprendere, responsabilità di tutti

di Noè Ghidoni

Un po’ stupisce, ma al tempo stesso consola, che al termine dell’introduzione ai lavori del gruppo “Intraprendere nel lavoro e nell’impresa” della 46a Settimana sociale sia proprio un giurista, un ‘tecnico’ impegnato ai più alti livelli di responsabilità, come il prof. Michele Tiraboschi, a dire che la prima grande riforma che abbiamo ancora da compiere in Italia, prima di tutte le altre, è quella di “tornare a dare un senso al lavoro”, ricordandoci
“il valore e la dignità del lavoro,    qualunque lavoro, compreso quello manuale oggi tanto snobbato, purché fatto con passione e motivazione.
Di quel lavoro, anche il più umile e il più semplice, attraverso il quale ogni persona sviluppa la propria personalità, coltiva i propri talenti e fornisce un imprescindibile contributo all’opera di Creazione”.
Consola in quanto è la riprova della bontà del filo conduttore dell’impegno del MCL, che ci ha sempre portato a ritenere che no vi sia    azione dell’uomo o fatto non ispirato da principi e valori; e, allo stesso tempo, non vi sia valore che non possa essere concretamente applicato nella vita e nelle questioni di ogni giorno.
Inoltre offre sostegno a quanto il MCL aveva indicato nel contributo predisposto per le Settimane sociali e cioè che, riguardo alla necessità di ripresa del nostro Paese (in tutti i sensi), l’intraprendere non sia da considerare un fatto esclusivamente imprenditoriale, ma ancor prima umano e che a “intraprendere” non possa essere solo il sistema economico ma l’intero Paese. Il nostro problema è che non si può veramente intraprendere quando le energie morali della nazione sono indebolite, quando serpeggia l’incertezza sui valori fondamentali, quando si guarda al futuro con preoccupazione, quando un sottile malessere mina la buona    volontà e la capacità di lavorare e di produrre idee nuove, quando c’è “spaesamento”. Ecco, allora, tornare la questione dei ‘soggetti’ in grado di portarci fuori da questa palude: la famiglia, tanto bistrattata quanto capace di essere
soggetto di sussidiarietà piena, se solo avesse la possibilità di dispiegare tutte le sue potenzialità; i corpi intermedi e le realtà associative che devono articolare una rappresentanza “più paritaria e meno asimmetrica” rispetto alle tradizionali forme di rappresentanza politica (L. Ornaghi).
A famiglia e rappresentanze sociali la responsabilità di diventare il ‘nuovo’ motore della crescita, con passione e con quella competenza e preparazione che non sempre sono presenti. Lo dimostra il fatto che alcune prospettive di riforma nel nostro Paese sono state ostacolate da letture ideologiche e di parte (sia favorevoli sia contrarie) impedendone
la stessa conoscenza e, dunque, la possibilità di applicazione e implementazione. L’esempio è quello della legge Biagi, operativa nella sua parte iniziale ma ancora incompleta, in particolare per le questioni della rappresentanza, delle relazioni industriali, dello Statuto dei Lavori e degli ammortizzatori sociali, nonché per quanto riguarda le coperture previdenziali dei periodi di lavoro ‘flessibile’ in particolare nel mondo giovanile, il più penalizzato dalla mancanza di vere riforme. Ed è proprio sul tema della flessibilità in entrata e in uscita dal mondo del lavoro che si registra ancora un certo dibattito, come il presidente Costalli (cui era affidato il compito di guidare lo specifico gruppo sull’intraprendere) ha ben riassunto nella sua relazione finale all’Assemblea di domenica 17, poco prima del messaggio del Papa. Un dibattito che certamente deriva da oggettive
situazioni di difficoltà, dovute essenzialmente al difficile periodo economico rispetto al quale si intravedono timidi segnali di ripresa che tuttavia non comportano un calo della disoccupazione accumulata in questi anni. A tutto questo, si deve poi aggiungere una tendenza a interpretare tutte le questioni partendo da un pre-giudizio dettato dall’appartenenza politica, prima ancora che dal merito delle questioni: proprio questa abitudine deleteria impedisce l’affermarsi delle buone riforme, delle buone prassi, delle belle realtà che pure nel nostro Paese ci sono: anche al Sud, come il progetto della Cei “Policoro” dimostra e attorno al quale, a Reggio Calabria, si sono avute tante e valide testimonianze. Quando il MCL insiste sul tema della formazione, fa riferimento a questa esigenza di conoscenza da cui deriva la competenza necessaria per intervenire con autorevolezza sulle difficili questioni incombenti. Questo vale ancor più se si pensa alla necessità di una “nuova classe dirigente”: un’esigenza cui hanno fatto riferimento,
nei loro interventi, sia il card. Bagnasco che il prof. Ornaghi. Nel suo consuntivo finale il presidente Costalli ha anche riferito delle principali sottolineature che gli intervenuti (ben 75) avevano espresso nel gruppo: necessità di maggior attenzione ai temi ambientali, perché va tutelato e conservato ciò che ci è stato affidato, assicurando continuità a quanto
è stato creato; rispetto complessivo della legalità per superare la gravissima piaga del lavoro nero (5 milioni, secondo Tiraboschi) che toglie risorse e tutele; indilazionabilità di una riforma fiscale che passi obbligatoriamente da un’imposizione sulla famiglia proporzionata al numero dei componenti (con ciò appoggiando la proposta del Forum delle Associazioni Familiari), insieme ad una drastica riduzione dei costi sul lavoro non limitata solo alla parte di produttività. Un’unanime e forte condanna, infine, è stata espressa nei confronti dell’evasione, definita “colpa grave” e macigno che pesa sulle possibilità di ripresa.
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