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  A colloquio con Diotallevi "un nuovo modo di essere Chiesa"

Data di pubblicazione: Lunedì, 22 Novembre 2010

TRAGUARDI SOCIALI / n.44 Novembre / Dicembre 2010 :: A colloquio con Diotallevi "un nuovo modo di essere Chiesa"

di Ettore Colombo

“Abbiamo sperimentato un modo nuovo di essere Chiesa, facendo i conti con le cose così come sono”, spiega Luca Diotallevi, vicepresidente del Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane sociali della Cei che si sono tenute a Reggio Calabria dal 14 al 17 ottobre scorso, sotto il titolo ‘Cattolici nell’Italia di oggi, un’agenda di speranza per il Paese’, tracciando così le conclusioni dell’appuntamento: questa la “chiave dell’opera di discernimento fatta dagli oltre 1.200 delegati, il primato della vita spirituale”.
Per Diotallevi, l’incontro di Reggio Calabria ha testimoniato che “c’è gente che ha una forte passione per il bene comune”. “Non si tratta di una lobby – puntualizza – ma di un gruppo di persone che ha una grande passione, e anche una discreta esperienza, del bene comune”. “Non possiamo chiedere coperture – ammonisce il sociologo –: siamo noi la prua della nave di una nuova generazione che si misura con l’onere di un pensiero nuovo e di un’azione nuova, che il Papa ci ha chiesto nell’enciclica "Caritas in Veritate”. Il ‘popolo’ di Reggio Calabria, ricorda Diotallevi, “ha un’agenda comune da cui partire, una piccola strada per arrivare dal particolare al generale”. “Il primo compito del Comitato, tornati a casa – assicura il sociologo – sarà
quello di raccontare ai vescovi quello che è successo, in termini di conquiste e di problemi”, attraverso il documento conclusivo stilato a Reggio Calabria.
Molti hanno chiesto a Diotallevi – che, assieme al segretario del Comitato organizzatore Edo Patriarca, ha incontrato, nei lavori preparatori delle Settimane sociali, diversi partiti ed esponenti politici (i presidenti di Camera e Senato Fini e Schifani, l’Udc con Casini, il Pd con Bersani, etc.) – proprio dei rapporti tra Settimane sociali e politica.
“La politica non ha il monopolio del bene comune, ha un compito specifico”, spiega il professore: “l’incontro tra la Chiesa e la società avviene non solo ai vertici, ma nella quotidianità”, riferendosi a “quell’impasto caratteristico del cattolicesimo italiano, nelle sue radici vitali”, di cui le Settimane sociali “sono state uno specchio”. “Declinare qui, oggi, per il nostro Paese, la nozione di ‘bene comune’: questo è, per il sociologo, lo scopo
delle Settimane sociali, la cui ‘impostazione’ particolare “ha consentito il sereno reingresso della politica, nei nostri soggetti e nei nostri oggetti”. Alla radice “dell’agenda proposta dal documento preparatorio non c’è tanto la Dottrina sociale della Chiesa, ma i soggetti di essa. C’è nel nostro Paese un congruo numero di soggetti capaci di battersi
per il bene comune, e intenzionati a farlo; che con garbo ed educazione sanno parlare il linguaggio della franchezza; e che sanno usare lo zoom”.
Sono tre, infatti, per Diotallevi le ‘scommesse’ che le Settimane sociali di Reggio Calabria “hanno provato a vincere”. La prima è quella di “rappresentare un movimento centripeto in un Itali che    si spezzetta”. La seconda è di saper utilizzare “un linguaggio più franco in un dibattito pubblico perché all’insegna di quella ‘parresia’ che è la ‘franchezza’ evangelica, la quale parte dallo sforzo di dire le cose come stanno”. La terza scommessa da vincere, infine, è per il sociologo quella di “usare al massimo lo zoom in positivo”, sapendo cioè
mettere a fuoco i vari problemi. “Nel dibattito pubblico si sfuma – ha precisato Diotallevi –; noi con l’agenda facciamo lo sforzo inverso, usando lo zoom per domande dalla cui risposta dipende la capacità dell’Italia di riprendere a crescere, come condizione per servire il bene comune, oggi e qui”. Sempre in merito al rapporto con il potere, esso per Diotallevi dev’essere decentrato e non assolutizzato perché “ogni volta che un potere o un sistema di potere si fa assoluto ed autonomo la dignità della persona umana è messa radicalmente a repentaglio”. “Nessuna dinamica istituzionale – aggiunge – può pretendere autonomia assoluta, né l’esercizio di alcun potere può sottrarsi a specifiche forme di responsabilità ed a un efficace regime di imputabilità”. Inevitabile, con Diotallevi, affrontare un tema cruciale nell’agenda del Paese: la riforma federale dello Stato. “Quella del federalismo – spiega il sociologo – è una riforma delicata sotto diversi profili, anche perché irreversibile. La coerenza che chiediamo a questa riforma è misurata innanzitutto da criteri derivanti dal principio di sussidiarietà in tutta la sua portata ‘verticale’ ed ‘orizzontale’. A queste condizioni, il federalismo non è il problema, ma la soluzione anche a tanti abusi e a tanta cattiva amministrazione. La prospettiva del bene comune – continua Diotallevi - ci consente di non scambiare per solidarietà gli automatismi di una spesa pubblica improduttiva e clientelare, e ci consente anche di non prendere per federalismo la moltiplicazione di microstatalismi: non c’è federalismo senza accorciamento della catena tra chi preleva e chi spende denaro pubblico, senza trasparenza e responsabilità delle politiche perequative, senza liberalizzazioni, senza abbandono del controllo di comuni, province e regioni sulle troppe aziende pubbliche e semipubbliche, senza welfare sussidiario”. Ecco perché, conclude Diotallevi, “se oggi, come Chiesa e come cattolici ci battiamo senza riserve per la libertà religiosa ovunque nel mondo, è anche perché l’unità d’Italia (con i caratteri che conosciamo, inclusa la recente versione della soluzione concordataria) ha aiutato a dare un significato nuovo e più profondo al principio della libertas ecclesiae”.
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