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  Quattro domande a Javier Fernandez-Lasquetty Blanc

Data di pubblicazione: Lunedì, 30 Giugno 2008

TRAGUARDI SOCIALI / n.31 Maggio / Giugno 2008 :: Quattro domande a Javier Fernandez-Lasquetty Blanc

Consigliere a Madrid per l’immigrazione e la cooperazione


QUATTRO DOMANDE A JAVIER FERNANDEZ-LASQUETTY BLANC
CONSIGLIERE A MADRID PER L’IMMIGRAZIONE E LA COOPERAZIONE


L’immigrazione è ormai uno dei maggiori problemi sul tappeto delle questioni europee. Lei che è un grande esperto in materia, quali considerazioni fa in proposito?

       L’Europa ha commesso tremendi errori in quest’ambito, concentrandosi quasi esclusivamente sulla gestione dei flussi migratori, senza pensare invece all’integrazione degli immigrati nelle società. Di qui il grave insuccesso delle politiche europee. Specie tra gli anni ‘70 e i ‘90 si è ragionato solo in un’ottica di multiculturalità, con politiche orientate in questo senso: la conseguenza è che in Europa vivono oggi milioni di persone non integrate, che non hanno maturato alcun vincolo col Paese in cui abitano.

In Italia la questione ha assunto risvolti pesanti anche sotto il profilo dell’ordine pubblico, tanto che il nuovo Governo ha dovuto affrontare la materia con misure da molti giudicate drastiche. Che ne pensa?

       Personalmente non condivido in toto la politica in materia del Governo Berlusconi, e tuttavia capisco che in Italia vi sono alcuni fattori di diversità che possono giustificare questa linea.

E in Spagna invece come ci si sta muovendo?

       In Spagna il governo socialista ha adottato una linea molto ‘leggera’: Zapatero ha fatto regolarizzazioni di massa nel modo più irresponsabile che si possa immaginare, anche nei confronti degli altri partners europei. In Spagna però abbiamo un grande vantaggio: da noi il 40% dell’immigrazione proviene da Paesi del sud America e un altro 40% dall’Unione europea: ciò vuol dire che con la maggior parte degli immigrati condividiamo le stesse radici culturali. Certo, con le dovute differenze, ma siamo pur sempre nello stesso ambito. L’immigrazione in Spagna ha registrato una crescita veloce, balzando da 5.000 a 5 milioni di unità in 12 anni. Quindi non c’è stato tempo per fare una buona pianificazione politica e burocratica. Da noi insomma il problema è più di vicinato, di sovraffollamento, che di ordine pubblico: ma si tratta di piccole questioni risolvibili.

       Diverso è il caso degli stranieri arrivati non per trovare un lavoro ma per delinquere, attratti da una legislazione penale che, in Spagna, è molto lassista. Aznar nel 2003 aveva previsto l’espulsione immediata dopo la sentenza di condanna, e quando Zapatero, nel 2004, sospese queste misure, fu un grave errore: è interesse primario degli stessi immigrati ‘buoni’ che i delinquenti siano puniti.

Il Governo Zapatero si è fatto conoscere in tutta Europa per una politica dai toni forti contro la Chiesa. Qual è il suo giudizio in proposito?

       E’ vero, Zapatero attua una politica di forte aggressività contro i sentimenti religiosi, una politica gratuita e inutile, giustificata solo dal desiderio di dare adito a scontri sociali. E’ così anche in altri settori. La sua strategia è quella di innescare, anche in modo violento, dei conflitti, in modo che le persone siano obbligate a schierarsi da una parte o dall’altra. Addita le componenti cattoliche quali medioevali, per fare in modo che i cattolici si vergognino di essere tali e stiano zitti, in disparte. Però questa strategia politica ha finito col provocare forti resistenze all’interno della stessa società spagnola, determinando un avvicinamento fra il mondo cattolico e liberale: un fenomeno che potrà avere sviluppi anche molto interessanti in un prossimo futuro.

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