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  Editoriale

Data di pubblicazione: Giovedì, 3 Luglio 2008

TRAGUARDI SOCIALI / n.31 Maggio / Giugno 2008 :: Editoriale

Un progetto Riformista


UN PROGETTO RIFORMISTA



       Il ruolo dell’associazionismo di ispirazione cattolica impegnato nel mondo del lavoro, è stato storicamente fondamentale nel determinare e difendere le scelte che hanno consentito all’Italia di diventare un grande Paese sviluppato.

       Ai valori e ai progetti di queste rappresentanze si devono scelte coraggiose – in particolare il rifiuto delle contrapposizioni aprioristiche tra classi sociali, l’affermazione dei principi di sussidiarietà fra individui, famiglie, corpi intermedi e istituzioni –, che hanno caratterizzato lo sviluppo, la distribuzione del reddito e le politiche sociali. Scelte che hanno anche accompagnato una trasformazione radicale della nostra società – da agricola a industriale e postindustriale – con la mediazione sociale e la compartecipazione alle scelte economiche e sociali.

       Il rapporto con la politica e con l’associazionismo di sinistra, di ispirazione marxista, è mutato nel tempo. Sul versante politico: il rapporto tra associazionismo cattolico e partiti, inizialmente collaterale alla Democrazia Cristiana, si è evoluto progressivamente verso forme di autonomia marcata e di piena accettazione del pluralismo politico per le scelte degli associati. Sul versante sociale: si è passati da una contrapposizione netta, di competizione con le associazioni e i movimenti della sinistra, ad una progressiva unità di azione, soprattutto fra le organizzazioni sindacali, che si è sviluppata negli specifici ambiti di rappresentanza, e in particolare nel lavoro dipendente, come anche nell’artigianato e nella cooperazione. Per quanto ci riguarda, un esempio è dato dall’esperienza del Forum del Terzo Settore.

         Unità d’azione, a dire il vero, non aliena da forti dialettiche e conflitti interni, ma che ha consentito di rafforzare il ruolo dei corpi intermedi, anche se il valore dell’autonomia non è mai stato pienamente accettato nella sinistra politica e sindacale. Possiamo storicamente constatare come siano stati proprio i valori e i progetti dell’associazionismo cattolico, solo successivamente affiancati dalle analoghe aree del socialismo riformista, ad aver marcato i passaggi fondamentali di questo cammino. Al punto tale da diventare ‘regole’ per la stragrande maggioranza delle rappresentanze che operano nei vari ambiti del mondo del lavoro.

      Nella sinistra trova continuità l’idea di rappresentare, in senso egemone, gli interessi dei lavoratori, ma con una contrapposizione sempre più evidente tra visioni riformiste e antagoniste. Ed è questa dialettica che scandisce i tempi e i contenuti del dibattito politico. Con quali contrappesi?

         Le forze del centrodestra hanno un’elaborazione carente in materia di lavoro e deboli collegamenti con le rappresentanze sociali. L’associazionismo di ispirazione cattolica rimane forte nello specifico della propria rappresentanza ma, diversamente dal passato, è costretto a interagire con le contraddizioni descritte: con i pregiudizi e le contraddizioni interne alla sinistra e con una forte difficoltà del centrodestra, almeno fino ad ora, nell’intraprendere politiche sociali e del lavoro sufficientemente condivise.

         Ma la problematica del protagonismo dell’associazionismo cattolico non può essere di certo ridotta all’analisi sulla sua capacità di interagire con i processi decisionali delle istituzioni: essa va estesa ai valori, ai contenuti, ed al modo di trasferirli nel concreto dell’azione sociale. Ed è indubbio che ci sia tanto da dire e, soprattutto, da fare, per aiutare uno sviluppo economico rispettoso delle persone e socialmente equo.

       Per le economie nazionali, nel processo di globalizzazione, si presentano grandi opportunità per sviluppare una qualità della vita e del lavoro migliore, almeno tanto quanto sono elevati i rischi di veder aumentare il degrado del mercato del lavoro e quello ambientale. Mi riferisco ai processi che interagiscono con una grande mobilità dei capitali, delle merci e delle persone, e che mettono in crisi le tradizionali politiche dei governi nazionali e delle rappresentanze sociali.

         Come sviluppare le opportunità, delimitando ragionevolmente i rischi per le persone, per le famiglie e per le comunità, è l’interrogativo al quale devono rispondere le politiche del lavoro riformate. Ed è straordinaria la coincidenza tra i valori e i comportamenti che caratterizzano i buoni esempi nelle politiche sociali e del lavoro nei paesi sviluppati e quelli storicamente ispirati dalla dottrina sociale della Chiesa.

       Sono quei contesti che mettono al centro legalità e tutela dell’ambiente, il rispetto del cittadino come persona-consumatore-utente, la qualificazione delle risorse umane e le politiche di inclusione nel mercato del lavoro, la protezione ragionevole dai rischi di perdita del lavoro, forti sostegni alle famiglie per i figli e per l’accesso ai servizi, ad ottenere i maggiori successi nello sviluppo economico, nella qualità del vivere, nella coesione sociale.

      E mettono in evidenza i nostri ritardi: corporativismo anziché cooperazione sociale, individualismo rivendicativo anziché esercizio della responsabilità sociale, persone e famiglie lasciate sole rispetto ai cambiamenti; per di più con una politica che cavalca queste contraddizioni, anziché risolverle positivamente in un processo riformatore del nostro welfare, nell’illusione che l’invadenza dello Stato e della spesa pubblica possa supplire alla carenza dei valori, dei comportamenti e dell’intraprendenza delle persone. Promesse illusorie, che inevitabilmente si traducono in frustrazioni e distacco tra politica e cittadini.

          In fondo è l’indebolimento del nostro capitale sociale, dei valori e dei comportamenti, l’origine dei nostri mali. E i limiti delle nostre politiche del lavoro, visibili in ogni campo, nel mercato del lavoro, nella formazione e nelle prestazioni sociali, sono palesemente speculari al rafforzamento di quelle componenti politiche e sindacali che continuano a ricondurre tutti i problemi al conflitto tra capitale e lavoro, e all’esigenza di rivendicare ogni sorta di diritti con l’idea che debba essere lo Stato a risolvere ogni problema.

       Ma una politica giocata sui rapporti di forza e sull’egoismo rivendicativo produce inevitabilmente anche una mediazione sociale favorevole agli interessi organizzati, ovvero l’incapacità di risolvere i problemi. E il corporativismo e il fondamentalismo ambientalista sono il prodotto di questa politica.

       C’è bisogno di una mediazione tra interessi che sappia produrre valore aggiunto sociale per chi non è organizzato, e diffonda la responsabilità sociale delle persone e delle famiglie contemperata da diritti e doveri. E di un nuovo protagonismo dell’associazionismo cattolico che di questi valori è interprete originale.

       Ma questo richiede anche avere originalità di analisi, capacità di aggiornare contenuti e comportamenti e una mobilitazione collettiva delle intelligenze e delle energie che caratterizzano il mondo associativo cattolico impegnato nel mondo del lavoro. Noi ci stiamo provando: lo abbiamo fatto anche a Torino, mettendo insieme alcune delle migliori intelligenze del Riformismo cattolico. Lo faremo anche a Senigallia. Ma logicamente non basta.

         All’impossibilità di riprodurre l’idea di un comune impegno politico dei cattolici si contrappone comunque l’esigenza di trovare una sede condivisa, per dare evidenza e concretezza a quanto auspicato. E questa sede, a mio avviso, potrebbe essere la promozione di un Forum, a cui stiamo lavorando da settimane, come spazio specifico per la riflessione e l’elaborazione di progetti comuni in grado di incidere sulla qualità futura delle politiche del lavoro e di quelle sociali italiane.


Carlo Costalli

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