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  Armenia, il conflitto dimenticato

Data di pubblicazione: Venerdì, 24 Gennaio 2014

TRAGUARDI SOCIALI / n.63 Gennaio / Febbraio 2014 :: Armenia, il conflitto dimenticato

Estero e migrazioni

Ci sono zone del mondo in cui la pace non esiste, in cui la guerra costituisce la normale forma della politica. Ci sono regioni in cui la pace esiste in quanto temporanea assenza di guerra, ma dove la tregua non si è mai istituzionalizzata veramente, impedendo lo svolgimento di una vita normale per gli stati coinvolti nel conflitto sopito e soprattutto per le persone che abitano le aree su cui si è combattuto. Esistono Stati mai riconosciuti dalla comunità internazionale e trattati di pace scritti, ma mai firmati. Tutto questo esiste anche in Europa: a Cipro come in Transnistria, con il Kosovo che solo a fatica sta uscendo da questa condizione. Nella regione del Caucaso, la sicurezza nazionale è tuttora la priorità nelle politiche di tutti i Paesi, a causa di una complicata miscela di fattori, che include rivendicazioni etno-nazionali, enormi interessi energetici e storiche rivalità che affondano in antichi conflitti.
L’Armenia, al centro della regione, è toccata in pratica da tutte queste dinamiche. Verso ovest continua la secolare tensione con la Turchia, erede di quell’impero ottomano che si rese protagonista del primo genocidio del ventesimo secolo, di cui l’anno prossimo ricorre il centenario e che non è stato mai ammesso dal governo di Ankara. Quest’antica tensione è stata ulteriormente complicata dalla guerra fra Armenia e Azerbaijan per il controllo del Nagorno-Karabakh. Il conflitto che si svolse nella prima metà degli anni ’90 fornì infatti alla Turchia l’occasione per chiudere il confine che i due Stati hanno in comune in segno di disapprovazione per la politica armena durante la guerra. Dopo venti anni, la frontiera non è stata ancora riaperta e intorno al genocidio armeno permangono tensioni che si manifestano a vari livelli e in molte sedi. Nel dicembre del 2013 la visita a Jerevan del Ministro degli Esteri turco Davutoglu ha lasciato intravedere qualche possibilità di resuscitare l’accordo quadro che era stato siglato nel 2009, ma molti osservatori restano scettici. Considerando la crisi politica che sta segnando da molti mesi la Turchia e lo stallo nella politica estera di Ankara, che solo pochi anni fa era uno degli attori più attivi sullo scenario internazionale, appare difficile aspettarsi grandi progressi in questo momento.
Verso oriente la situazione non è migliore. Le relazioni con l’Azerbaijan sono anche peggiori di quelle con la Turchia, dato che la regione del Nagorno-Karabakh, grande più o meno come l’Umbria e attualmente sotto il controllo delle forze armate armene, è rivendicata proprio dal governo azero. Il Nagorno-Karabakh è una di quelle aree che restano nella nebbia della politica internazionale, senza uno status preciso e riconosciuto, dimenticata sostanzialmente da tutti tranne che dai due contendenti diretti, stretta dalla totale incomunicabilità e completa opposizione delle due parti. Per cercare di uscire dall’isolamento regionale in cui è stretta, l’Armenia ha sviluppato una lunga serie di negoziati con l’Unione Europea ed è ormai pronto un accordo di associazione fra Bruxelles e la repubblica caucasica. Tuttavia, la decisione di unirsi all’area di libero scambio promossa dalla Russia, presa dal governo armeno lo scorso anno, ha per il momento bloccato l’implementazione dell’accordo con l’UE. L’Azerbaijan, forte delle proprie risorse petrolifere, negli ultimi anni ha notevolmente accresciuto le spese militari ed era piuttosto prevedibile che l’Armenia si rivolgesse alla nuovamente assertiva Russia di Putin per fare fronte all’accresciuta minaccia.
Continua dunque la tensione per la piccola Armenia, culla di una civiltà cristiana antichissima, ripetutamente schiacciata da potenze maggiori musulmane o atee, i cui abitanti sono stati obbligati a una delle maggiori diaspore della storia. Se l’Unione Europea avesse veramente una politica estera degna di questo nome, si farebbe promotrice di una soluzione per questo tipo di conflitti, che lambiscono letteralmente i suoi confini. Purtroppo, considerando la gestione del caso di Cipro, sembra che a Bruxelles e in tante cancellerie europee la categoria dei “conflitti dimenticati” non disturbi il sonno di nessuno.

Stefano Costalli
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