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  In Italia ancora manca un vero riferimento al popolarismo europeo

Data di pubblicazione: Lunedì, 27 Gennaio 2014

TRAGUARDI SOCIALI / n.63 Gennaio / Febbraio 2014 :: In Italia ancora manca un vero riferimento al popolarismo europeo

Ci si avvicina a passi spediti alle elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo.

Nella nostra Italia, che spesso appare cronicamente malata di provincialismo, tutto sembra indicare che anche in quest’occasione le consultazioni comunitarie saranno utilizzate, al più, come ennesima opportunità di regolamento dei conti domestici. Una carenza di prospettiva particolarmente grave per quanti dicono di richiamarsi ai valori ed all’esperienza europopolare. La sfida dell’unità politica continentale, che ha nella cultura democratico-cristiana il fondamento originario, sembra non coinvolgere adeguatamente i moderati nostrani. Un’assenza di impegno davvero perniciosa, anche considerando che le elezioni avverranno proprio alla vigilia del semestre di presidenza italiana del Consiglio dell’Unione europea.
I corpi intermedi, che sono chiamati a riconquistare un protagonismo (meta) politico, debbono sentire forte il compito di “accendere i riflettori” sulla decisività di un ampio confronto sui destini dell’Unione Europea. Un’Unione che deve essere sempre più comunitaria e meno intergovernativa.
L’Europa – come ci ha insegnato Joseph Ratzinger, “concetto culturale e storico prima che geografico” – ha di fronte a sé due grandi pericoli, che una visione schiettamente popolare non può non indicare: il populismo e le derive totalitarie del relativismo culturale.

Popolarismo vs Populismo
Partiamo dal populismo. Il termine ‘populismo’ presenta a tutta evidenza una stretta parentela col termine ‘popolarismo’, per via della comune radice linguistica: ‘popolo’. Sul piano semantico però questa affinità si rivela falsa, giacché il ‘popolo’ del populismo è ben diverso da quello del popolarismo.
Spacciare l’uno per l’altro può essere una più o meno astuta operazione di comunicazione politica, che rivela però tutti i suoi limiti in sede di impostazione teorica così come di verifica empirica. Proviamo allora ad individuare un nocciolo duro del fenomeno populismo, che possa assumere varianti di tipo hard o di tipo soft.
I due termini, rubando e parzialmente trasgredendo un’espressione della linguistica, sono ‘faux amis’. Una ‘falsa amicizia’ che porta con sé un rischio sul piano meramente elettorale: la potenziale condivisione degli elettori. Proprio per questo va chiarito che distinti e distanti sono i programmi e le prospettive politiche.
Sul piano europeo, quindi, il ‘frontismo anti-sinistre’, elemento fondativo della narrazione e dell’epica berlusconiana, mostra tutta la sua inconsistenza.
Queste elezioni potrebbero consegnare un ampio consenso alle forze eurocritiche, che non a caso stanno individuando forme di collaborazione e convergenza.
L’Italia sarà una frontiera dello scontro tra populisti e popolari. Questi ultimi, però, oggi appaiono silenti e dispersi. E’ assolutamente necessario trovare una unità d’intenti (e magari elettorale) di quanti all’europopolarismo, nel nostro Paese, si richiamano. Anche approfittando del sistema proporzionale (per liste non coalizzate) che regola il voto. Un’unità necessaria, pure, alla rivitalizzazione del Ppe dopo i ripiegamenti ‘conservative’.

La sfida alla dittatura del relativismo
La sorgività e la creatività del popolarismo vanno riscoperte e investite non solo per dare battaglia alle regressioni sterilmente nazionaliste. C’è un altro avversario che non può essere ignorato: le derive totalitarie del relativismo. Proprio le organizzazioni (in particolare le burocrazie sempre troppo sensibili e contigue a certe lobbies) comunitarie, anche per la confusione dei partner nordici nel Ppe, hanno svolto un decisivo ruolo nel cedimento alle ideologie occultate nel ‘politicamente corretto’, in particolare: il laicismo ed il gender.
Porre l’accento su di una visione antropologica davvero attenta al ‘bene comune’ è necessario, proprio perché la necessità di contrastare le forze anti-europee potrebbe condurre ad una sorta di ‘grande coalizione continentale’. Questo non deve consentire blitz sul piano della decisiva biopolitica e dei ‘temi eticamente sensibili’ nel suo complesso.

La sfida della multipolarità. Una politica estera europea
Lo storico francese Lucien Febbre, durante il corso tenuto al Collège de France nell’anno accademico 1944/1945, evidenziò che “l’Europa è una civiltà che può consolidarsi ed espandersi solo a patto di non prevaricare le altre civiltà: quelle che la compongono e quelle che ha di fronte. Lievito e fermento, non veicolo di egemonia e fonte di dominio”. Per essere lievito e fermento per la “pace globale” (questi decenni di pace continentale sono proprio il più evidente dono del percorso d’unificazione) occorre che l’Europa sappia darsi una politica estera comune, guardando in primis al decisivo scenario del Mediterraneo.

Prima che sia tardi (per concludere)
Un simile scenario dice che non ci si può attardare nell’algebra elettoralistica, serve la costruzione di un vero e dinamico riferimento italiano del popolarismo europeo. Le forze politiche è bene si aprano ai rappresentanti della ‘società civile’ che possono dare profondità e prospettive a questa ambizione.

Marco Margrita
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