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  COSTRUIRE L'EUROPA ATTORNO ALLE PROPRIE RADICI

Data di pubblicazione: Mercoledì, 3 Giugno 2009

TRAGUARDI SOCIALI / n.36 Maggio / Giugno 2009 :: COSTRUIRE L'EUROPA ATTORNO ALLE PROPRIE RADICI

INTERVISTA A HORST LANGES, PRESIDENTE ONORARIO DELLA FONDAZIONE SCHUMAN

Ne ha di esperienza da vendere, Horst Langes. Tedesco, uomo di spicco della CDU, è stato a lungo parlamentare europeo e vicepresidente del PPE
nel ’94. Oggi è presidente onorario della Fondazione Schuman. A lui, in piena campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento Europeo, abbiamo rivolto alcune domande sulle prospettive dell’Unione.
Le prossime elezioni europee si svolgeranno in un clima segnato dalla crisi globale. Finora le risposte all’emergenza sono venute principalmente
dai singoli Stati: si tratta di una battuta d’arresto dell’UE? E come recuperare la centralità politica dell’Unione?

Le elezioni del 7 giugno saranno certo influenzate dalla crisi globale. E’ chiaro che i cittadini, gli elettori, si chiederanno se l’Ue abbia attuato misure
ragionevoli e dato adeguate risposte. Chiaro che inizialmente l’Europa fosse disorientata: nessuno si aspettava il crollo del mondo finanziario americano
– non in ultimo dovuto alla bancarotta della Lehmann & Brothers - con le sue ripercussioni in Europa e nel mondo intero.
Dunque è comprensibile che inizialmente i singoli Stati europei abbiano cercato di reagire autonomamente. Ma presto fu evidente che nessuno
Stato avrebbe potuto gestire da solo la crisi. Il miglior esempio è la collaborazione tra Francia (Sarkozy) e Germania (Merkel). Significativo anche che Francia, Stati Uniti e Gran Bretagna – con il contributo tedesco – abbiano compreso l’importanza di un vertice comune (G20) che determinasse le direttive per il futuro, affinché gli strumenti finanziari siano tenuti veramente sotto stretta sorveglianza. Insomma: non si è persa la centralità politica,
ma è stato necessario ridefinirla, anche attraverso l’impegno della Commissione Europea nella definizione di concetti che potessero risultare adeguati per 480 milioni di europei.
Cosa potrebbe concretamente mettere in campo l’UE, per fronteggiare la crisi economica in atto? Puo’ l’economia sociale di mercato essere una chiave di volta per uscire dalle secche e rilanciare un modello sociale ed economico piu’ equo e stabile?
La pesante crisi finanziaria evidenzia l’assoluta necessità di attuare il Trattato di Lisbona. Solo così quest’Europa tanto ampliata (per alcuni anche
troppo) potrà svolgere adeguatamente il suo lavoro. In questo contesto l’economia sociale di mercato è, a mio avviso, l’elemento chiave per uscire dalla crisi. Ad essa bisognerà affiancare un maggior controllo da parte delle istituzioni statali e degli organismi dell’Ue. In linea di principio è giusto promuovere l’economia sociale di mercato, ma dovrebbe cambiare l’approccio. La legislazione dovrà garantire più giustizia sociale e partecipazione del singolo, anche agli utili. Così sarà possibile creare
un modello economico e sociale più stabile.
I cittadini europei percepiscono l’Europa come un soggetto essenzialmente burocratico, lontano dalle persone e dalla loro realtà. Come
contrastare questa tendenza e ricostruire il legame tra Europa e popoli europei?

E’ vero, molti cittadini europei percepiscono l’Ue come una questione essenzialmente burocratica: chiaro che è sbagliato, ma l’Ue trasmette spesso questa sensazione, perchè molti Stati nazionali tendono ad addossare all’Unione la colpa delle loro difficoltà. Salvo poi rivendicare per se stessi il merito di tutto ciò che vi è di positivo. Inoltre i media – TV, radio e stampa – raccontano ben poco del reale lavoro delle istituzioni europee. Amano invece riportarne gli scandali. Il Trattato di Lisbona conferirebbe al Parlamento Europeo un compito assai importante: chiarire quale incredibile forza emana dall’Unione Europea. Per esempio: nessuno conosce i [reali] introiti dell’Ue in quanto sono raccolti e trasmessi dagli Stati nazionali. Si tratta di valori pari al massimo al 2% del prodotto sociale lordo, un margine infinitesimale delle normali entrate pubbliche. Queste entrate andrebbero affidate totalmente al Parlamento Europeo e al Consiglio dei Ministri. Così i cittadini avrebbero la possibilità di chiedere e pretendere spiegazioni dai deputati sul perchè abbiano o non abbiano fatto determinate cose.
E quale può essere, in particolare, il ruolo del Parlamento Europeo (unica istituzione democraticamente eletta) per ricostruire il rapporto di fiducia tra istituzioni e popoli europei?
Ho già accennato al Parlamento Europeo. Si potrebbe capovolgere la famosa frase che nel 1776 scatenò la Guerra di Secessione americana: “No representation without taxation”. Inoltre, quando i partiti nazionali presentano i loro candidati alle elezioni del Parlamento Europeo, dovrebbero coinvolgere meglio i loro iscritti (la popolazione). Non è giusto che in molti Paesi siano solo pochissime persone a scegliere, quasi nei retrobottega, i candidati da presentare. A volte è una sola persona a determinare la scelta. Questo
metodo del dire: “Cittadino, mangia questa minestra.....!” a lungo andare non può rafforzare la coscienza democratica dell’Europa, ma farà si che l’Ue continuerà ad essere considerata un “alieno” distante e sconosciuto.
L’Europa, e con essa il PPE, sono frutto dell’opera e del pensiero cristiano dei padri fondatori. Secondo lei, quanto è viva oggi la consapevolezza di queste radici fra i parlamentari e i partiti aderenti al PPE?
I padri fondatori della Comunità Europea – Schumann, Adenauer e De Gasperi – hanno fondato l’Europa basandola sui principi cristiani. La barbarie e i crimini di Hitler e di Stalin, e in misura minore anche di Mussolini, dopo il 1945 hanno imposto un nuovo assetto politico per l’Europa massacrata. E in linea di principio siamo anche riusciti
nell’intento. La forza pacificatrice della Comunità Europea ha contribuito a evitare altre guerre, evidenziando che questo mondo liberal-democratico è
la miglior soluzione, e contribuendo così al crollo dello stalinismo. Ma oggi dobbiamo chiederci: date le grandi trasformazioni avvenute in Europa, questi principi fondamentali cristiani sono ancora così importanti?! Io dico di sì, ma il PPE deve porre la domanda ai suoi partiti membri nazionali, chiedere loro fino a che punto siano disposti a far valere ancora questi valori in ambito economico e sociale. Per esempio, la questione dell’adesione della Turchia all’Ue è molto più di una questione militare o economica. A mio avviso, si tratta chiedere alla Turchia: qual è la situazione riguardo la libertà di religione? In Turchia, il cristianesimo sarebbe riconosciuto al pari dell’Islam in Italia, o in Francia o Germania? La giustizia turca rispetterebbe realmente la parità di tutti gli esseri umani? Credo sia quasi impossibile aspettarsi questo dalla Turchia; dunque è più corretto dire chiaramente ai turchi: vi proponiamo una partnership privilegiata con l’Ue, ma non potrete diventare membro a pieno titolo. Molto ci sarebbe ancora da aggiungere. Ma una
cosa è fondamentale: bisogna continuare a chiedere al PPE “quali valori fondamentali del Cristianesimo siete veramente disposti a riconoscere?”.
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