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  Partecipazione e democrazia economica le chiavi del futuro

Data di pubblicazione: Lunedì, 22 Ottobre 2007

TRAGUARDI SOCIALI / n.27 Settembre / Ottobre 2007 :: Partecipazione e democrazia economica le chiavi del futuro

Intervista a Michele Tiraboschi



       Alle soglie di un autunno che si profila decisamente caldo sul fronte delle riforme e del confronto sociale, mentre la politica appare in forte crisi di autorevolezza e il sindacato soffre di problemi di identità, abbiamo chiesto a Michele Tiraboschi, direttore del Centro Studi Internazionali e Comparati “Marco Biagi” e Presidente di Adapt – Associazione italiana per gli studi internazionali e comparati in diritto del lavoro e relazioni industriali, quali siano le maggiori questioni sul tappeto e quale strada percorrere perché il confronto non trascenda in scontro ideologico ma riveli tutto il suo potenziale.

       Sullo sfondo della nostra chiacchierata la questione della legge Biagi, la riforma del welfare, il futuro da dare ai nostri giovani. Il prof. Tiraboschi, che tutti conosciamo come uno dei massimi esperti di diritto del lavoro – oltre che diretto collaboratore di Marco Biagi, il giuslavorista bolognese assassinato dalle Brigate Rosse nel 2002 – è ormai da tempo un amico del Mcl.



PARTECIPAZIONE E DEMOCRAZIA ECONOMICA
LE CHIAVI DEL FUTURO


In questo autunno, che si prefigura caldo, siamo ancora convinti che sia il riformismo e non il conflitto la chiave del futuro. Come si può attivare un vero confronto evitando scontri ideologici?

       Il conflitto, almeno nella dimensione antagonista e massimalista della nostra tradizione culturale, non porta da nessuna parte e non aiuta certo a risolvere i problemi delle persone in carne e ossa. In questa stagione temo tuttavia anche un eccesso di riformismo. Nell’ambito dei rapporti di lavoro l’abuso di riformismo è certo un male meno infido della faziosità e della ideologia, ma alla prova dei fatti è forse altrettanto dannoso e controproducente. La legge Biagi è dell’oramai lontano 2002 ma è ancora largamente inattuata per profili non secondari come la borsa lavoro, i regimi di accreditamento regionale per l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro, il placement nelle scuole e nelle università, il nuovo apprendistato, la certificazione dei contratti di lavoro. Tutti strumenti che aiutano l’occupazione di qualità e la capacità di dare risposte concrete alle persone che soffrono. Questa è la strada da seguire, attuare le molte riforme in atto, sperimentarle con fiducia e, solo successivamente, intervenire per cambiare ciò che non funziona e funziona male.


Nella contrapposizione tra conflitto e partecipazione, tra lotta di classe e riformismo, tra antagonismo e partecipazione, qual’è il ruolo per un moderno Sindacato oggi?

       L’esperienza internazionale e comparata dimostra che un sindacato moderno non può opporsi al cambiamento in atto con una inutile battaglia di conservazione che poi alimenta fenomeni di deregolamentazione strisciante e fuga nel sommerso. Il futuro del sindacato è chiaramente nella partecipazione e nella democrazia economica. Centrale, in questa prospettiva di governo dei territori in una logica per così dire glocal, è il ruolo della bilateralità che è poi la nuova frontiera delle relazioni industriali.


L’intesa sul welfare è criticata da destra e da sinistra. Da chi sottolinea come i giovani siano penalizzati dalla revisione dello scalone e da chi ritiene che la precarietà venga poco combattuta. Lei come ribatte?

       La concertazione in Italia è oggi un’arte impossibile compressa com’è tra veti ideologici e spinte corporative. L’aver raggiunto un accordo è dunque per il Governo Prodi un buon risultato anche se, come sappiamo, una parte importante del sindacato come la Fiom e l’ala massimalista della sinistra spingono perchè questo protocollo non si traduca in legge. Tutto ciò premesso, e dunque riconosciuto che forse era   quanto di meglio si potesse ottenere in queste condizioni ambientali, non mi pare che l’accordo contenga grandi elementi di innovazione. Non a caso l’associazione di rappresentanza del terziario e dei servizi, e cioè Confcommercio, non ha firmato l’intesa quando pure sappiamo che sono questi i settori in espansione, in cui si crea lavoro e ricchezza. In poche battute il vero problema del protocollo sul welfare è che è ancora impregnato da una logica industrialista che, per quanto ancora importante, non rappresenta più il modello economico e produttivo predominante della nuova economia. Così come, poi, i temi europei del Libro verde sul mercato del lavoro e della flexicurity non sono quasi neppure toccati.


Il confronto/scontro sulla legge Biagi si fa sempre più aspro: con quali armi condurre la difesa della legge 30?

       Dopo cinque anni di muro contro muro mi pare oramai chiaro che la legge Biagi si difende in un solo modo e cioè applicandola.


Si discute molto sulla revisione degli ammortizzatori sociali. Noi vorremmo una revisione profonda. Prof. Tiraboschi ci può dare un suo parere, entrando nel merito?

       La direzione intrapresa da Governo e parti sociali con il protocollo sul welfare è indubbiamente quella giusta. Nel protocollo si prospetta tuttavia come novità quanto è da tempo previsto nel nostro ordinamento giuridico, sebbene senza alcuna attuazione pratica a causa della inattività e della indifferenza degli operatori – pubblici, ma anche privati – interessati. Le riforme più recenti del mercato del lavoro, e la legge Biagi in particolare, hanno infatti da tempo introdotto misure volte a vincolare i beneficiari di trattamenti di sostegno al reddito a obblighi di adesione a offerte di partecipazione a programmi formativi o di riqualificazione, di avviamento a percorsi di inserimento o reinserimento nel mercato del lavoro, nonché di accettazione di offerte di lavoro. La legge Biagi stabilisce infatti, per i beneficiari di prestazioni sociali, l’obbligo di adesione a progetti individuali di inserimento nel mercato del lavoro, di partecipazione a corsi di formazione o di riqualificazione e l’obbligo di accettazione di una offerta di lavoro, congrua con le competenze e le qualifiche del lavoratore e con un inquadramento ad un livello retributivo non inferiore del 20 per cento a quello precedente. Le sanzioni previste in caso di mancato adempimento degli obblighi, consistono nella decadenza dai trattamenti previdenziali, dalle indennità o sussidi connessi allo stato di disoccupazione o inoccupazione del beneficiario. Come dire che il nocciolo della futura riforma del sistema degli ammortizzatori sociali già c’è, ma allo stato solo sulla carta. La mancata operatività di questa norma è indubbiamente uno dei punti di maggiore criticità della legge Biagi. La mia impressione è che nessuna riforma di legge potrà mai condurre a risultati pratici di un certo rilievo senza una contestuale modificazione di prassi e mentalità di imprese, lavoratori ed operatori del mercato del lavoro.


Fiammetta Sagliocca



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