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  Editoriale

Data di pubblicazione: Giovedì, 25 Ottobre 2007

TRAGUARDI SOCIALI / n.27 Settembre / Ottobre 2007 :: Editoriale

E’ il riformismo la chiave del futuro


E’ IL RIFORMISMO LA CHIAVE DEL FUTURO


       I dati Istat sull’andamento dell’occupazione negli anni ’97 – 2006, che coincidono con lo spazio temporale che va dalla legge Treu all’introduzione della legge Biagi, rendono evidente l’inconsistenza degli argomenti che cercano di stabilire un filo logico tra l’aumento dell’occupazione, la precarietà e le riforme che hanno incrementato la flessibilità del mercato del lavoro italiano.

       L’occupazione cresce di oltre 2,6 milioni di unità: è caratterizzata nella quasi totalità dalla quota di lavoro dipendente, i ¾   dei quali a tempo indeterminato, che passano dal 12,8 a 14,7 milioni e raggiungono così i massimi storici.

       E qui sta il nocciolo della questione: nella contrapposizione tra conflitto e partecipazione, tra lotta di classe e riformismo, tra rapporti di forza e collaborazione imprese-lavoratori, tra statalismo e sussidiarietà. Proprio perché la finalità fondamentale delle leggi che hanno caratterizzato l’ultimo decennio è stata quella di affrontare la prima e peggiore precarietà: la disoccupazione e il lavoro nero. Con risultati che le statistiche certificano: quasi tre milioni di persone in più con un lavoro regolare grazie alla flessibilità introdotta con il pacchetto Treu, la liberalizzazione dei contratti a termine, la riforma Biagi. Tre provvedimenti che si basano su un unico assunto: promuovere la persona tramite l’inclusione nel mercato del lavoro, con un ventaglio di opportunità molteplici, ma sempre all’interno di tutele precise ed esigibili. Con un’idea della flessibilità ‘sostenibile’, mai disgiunta dai diritti. Accompagnata da un sistema di welfare e di servizi all’impiego non solo pubblico, ma capace di valorizzare il ruolo dei corpi intermedi in chiave mutualistica. Insomma, un’impostazione culturale ‘personalistica’, che è la chiave di quel riformismo cattolico di matrice sociale del quale Marco Biagi è stato lucido interprete.

      Non devono venire confusi gli interventi volti a favorire la flessibilità delle imprese con quelli rivolti ad incentivare l’inclusione al lavoro dei disoccupati. Apprendistato, tirocini, contratti di inserimento, part-time, non possono essere genericamente assimilati alle politiche di flessibilità (leggi: precariato) ma vanno incentivati in ragione degli obiettivi di politica del lavoro.

    La quantità e la qualità dell’occupazione si possono migliorare sviluppando le premesse poste dalle leggi Treu e Biagi, e non, al contrario, delimitandone le potenzialità delle innovazioni che con fatica sono state introdotte nel contesto italiano.

       La lotta alla precarietà è sacrosanta.

      E dibattere di come migliorare la legislazione è sempre possibile, proprio utilizzando le categorie del riformismo graduale. Ma in un periodo di così grandi transizioni sociali ciò che invece va assolutamente scongiurato è l’alimentare campagne di odio. Ciò che è inaccettabile è travisare la realtà ingannando e illudendo, in particolare, i giovani.


Carlo Costalli




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