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  “La Chiesa è un filo che tesse relazioni di cura”

Data di pubblicazione: Sabato, 25 Giugno 2022

TRAGUARDI SOCIALI / n.107 Maggio-Giugno 2022 :: “La Chiesa è un filo che tesse relazioni di cura”

Intervista al Presidente della Conferenza Episcopale Italiana Cardinal Matteo Zuppi

Il neopresidente della CEI consegna un compito anche al Movimento Cristiano Lavoratori: “Non dobbiamo chiuderci nei nostri recinti, ma aprirci per incontrare sulle strade delle nostre città le persone e i bisogni del nostro tempo”

“La missione della Chiesa è di parlare l’unica lingua che è quella dell’amore”. Ci ha particolarmente colpiti questa frase nel suo intervento dopo l’elezione a presidente dei vescovi italiani. Sembra, infatti, indicare una capacità in termini di presenza testimoniale e non residuale, per la comunità cristiana.
Alla luce di questa esigente proposta quasi programmatica, mentre la Chiesa italiana è immersa nell’esperienza del Sinodo, quali urgenze indica a noi laici per riempire di significato le vite nostre e delle nostre rispettive organizzazioni?

L’invito è quello di camminare insieme, uscendo dalle ormai consolidate, confortevoli abitudini, per stare sulle strade e incontrare tutti, senza escludere nessuno. L‘esperienza del Sinodo è proprio quella di non rimanere chiusi nel già visto, ma di camminare, ascoltare, accompagnare ed esprimere vicinanza. Dobbiamo imparare, anche dalle sofferenze della pandemia e ora della guerra, a diventare migliori e a non aspettare che gli altri vengano da noi. Ascoltiamo i bisogni di ogni persona e costruiamo comunità accettando le sfide del nostro tempo, senza dimenticare nessuno, specialmente i più poveri e i più bisognosi. Non si tratta di un problema organizzativo, di disegnare progetti a tavolino, ma di guardare la realtà e discernere quanto lo Spirito suggerisce alla Chiesa in questo momento storico in un cammino di conversione pastorale e missionaria che riguarda tutti. Ogni battezzato, infatti, è chiamato a collaborare e ai laici si offrono molteplici occasioni di impegno che nascono innanzitutto dal vivere fino in fondo la realtà quotidiana, in famiglia, nel lavoro, nei vari ambiti della società, nelle realtà parrocchiali, aggregazioni, gruppi, movimenti e associazioni, con quell’attenzione richiamata da Papa Francesco che “nessuno si salva da solo” e che è sempre più importante passare dall’io al noi. Non dobbiamo cedere a tentazioni individualistiche, anche di gruppo, ma aprire il cuore all’ascolto, al dialogo e al confronto con tutti perché vi sia la possibilità di aiutare ogni persona e far crescere la comunità.

Il mondo del lavoro, dove il nostro movimento s’impegna per agire una testimonianza evangelica organizzata, è una frontiera gravida di contraddizioni e di criticità. Troppo spesso, complice anche la finanziarizzazione dell’economia, si pensa di poter fare a meno del lavoro (e, così, in ultimo dell’uomo). Non è forse giunto il tempo di costruire e praticare una diversa economia? In quale direzione i cattolici italiani possono portare un contributo e a quali esperienze possono guardare?
Il mondo sta cambiando sotto i nostri occhi e così anche quello delle professioni e dei mestieri, e più in generale del lavoro. Il cambiamento in atto chiede una responsabilità a tutti, specie a chi deve governare questi processi, perché altrimenti si rischiano nuove disuguaglianze ed esclusioni, soprattutto fra i più giovani che sono oggi costretti a un lungo precariato che porta a non mettere radici e a non dare stabilità al loro futuro. Così diventa difficile impegnarsi in relazioni durature, costruire famiglie e generare figli. è anche un problema di giustizia, visto il crescere dell’inflazione, affinché salari e retribuzioni consentano la giusta dignità di vita a ciascuno. Vi sono ancora troppe morti sul lavoro, difficoltà per l’occupazione, specie quella femminile, e permane la piaga del caporalato. Per questo, pochi giorni dopo la mia nomina e in occasione della Festa della Repubblica, ho richiamato in una lettera ai lavoratori delle istituzioni pubbliche l’importanza del lavoro al servizio della comunità e per il bene comune. Vanno ripresi lo spirito e la lettera della nostra Costituzione che è fondata appunto sul lavoro e per questo ho richiamato l’importanza di chi quotidianamente, nei vari ambiti e settori della vita umana e della società, opera a beneficio dell’intera comunità.
Tanta parte di questo lavoro non si vede, non appare, non finisce nei titoli dei giornali e in televisione ma, come ha detto Madeleine Delbrel, è il filo che tiene insieme il vestito, la capacità del sarto sta proprio nel non farlo vedere. Il filo, però, è necessario perché i pezzi di stoffa stiano insieme. Tale è il lavoro prezioso che tanti svolgono tutti i giorni nelle istituzioni e nei vari ambiti della nostra casa comune e non si capisce mai abbastanza quanto impegno, generosità e competenza richiedono “le cose di tutti”. Purtroppo vi sono problemi, ritardi e disfunzioni e dobbiamo migliorare quel welfare che ci è stato consegnato grazie alla passione e alla lotta di tante persone delle precedenti generazioni. Abbiamo fragilità e condizionamenti ma vi è anche l’occasione, dopo molte crisi e sofferenze, di cogliere l’opportunità davvero decisiva per realizzare in questo tempo il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, Pnrr.
Vorrei un lavoro sempre meno a tempo determinato e più stabile perché deve contenere il futuro: per sé, la propria famiglia e per i figli. Senza figli, infatti, per chi si lavora? E vorrei che i lavoratori fossero sempre messi in regola e nessuno fosse più sfruttato. La Costituzione indica di garantire non solo la “libertà da” e la “libertà di” ma anche di usare delle “libertà per” uno scopo sociale. Così diventa importante, secondo la Dottrina sociale della Chiesa, favorire la cultura dell’intrapresa e di impresa che offra opportunità e non speculi solo per interesse di qualcuno ma diventi sempre più impresa con una funzione sociale. Il bene comune deve essere il nostro orizzonte.

Quella che papa Francesco chiama “la cultura dello scarto” è la narrazione, insieme costume e ideologia, contro la quale bisogna creativamente andare. Tanto sulle questioni bioetiche quanto ai quelle della giustizia sociale. Come essere innesco di un processo che renda visibile e concretamente agente un altro sguardo?
Non dobbiamo sprecare quanto ci è stato consegnato per essere custodito e tramandato alle future generazioni. Stiamo rubando futuro, specialmente ai giovani, perché c’è chi consuma egoisticamente tutto e non lascia niente. Questo vale per le risorse naturali, alimentari, per il clima e quanto Papa Francesco ha richiamato nel suo magistero e nella Laudato si’. E come è stato riaffermato nella recente Settimana sociale dei cattolici italiani a Taranto dal titolo “Il pianeta che speriamo”. In tante parti del mondo si soffre per la guerra, il clima, la fame e ciò crea flussi migratori di persone che cercano di sfuggire a queste tragedie. Vi è quindi un grande problema di giustizia finché una piccola parte del mondo consuma quello a cui la maggior parte non ha possibilità di accedere. Ci vuole certo l’impegno di tutti, anche dei governanti e di chi ha responsabilità nazionali e di organismi sovranazionali, ma è pure un problema personale. Ognuno di noi, infatti, è chiamato a nuovi stili e comportamenti dove ritrovare l’essenziale nella cultura della condivisione e non dello scarto e dello sfruttamento.
La Chiesa si impegna in questo cammino di conversione ecologica in una prospettiva che tiene conto degli effetti della globalizzazione e delle dimensioni del mondo aprendosi e collaborando con tutte le realtà e con gli uomini di buona volontà che sentono la responsabilità di avere cura del creato e di chi vi abita. Custodire la casa comune che abitiamo è un modo, nel mondo globale di oggi, per annunciare e per dialogare con gli uomini di tutti i continenti.

I suoi più recenti illustri predecessori, i cardinali Ruini e Bassetti, in modo diverso, ma con comune forza, hanno sempre invitato i cattolici a non sottrarsi da un originale impegno socio-politico.
Nella crisi della globalizzazione, per effetto della pandemia e della guerra in ucraina, quali formule - e intorno a quali priorità - possono essere le più adeguate a non auto condannarsi ad afasia e apatia?
è lunga la tradizione dell’impegno sociale e politico dei cattolici in Italia che, all’inizio del secolo scorso, con opere, penso alle mutue, i centri di assistenza, gli ospedali, le scuole, le banche, i giornali, le cooperative, hanno contribuito a creare il tessuto sociale ed economico del nostro Paese, come si è visto poi anche nei principi, nei diritti e doveri dichiarati nella Costituzione italiana. I miei illustri predecessori Ruini e Bassetti hanno portato avanti questo impegno tenendo conto della situazione e del contesto. Penso al recente convegno della Chiesa italiana dove il card. Bassetti ha ricordato l’opera lungimirante di La Pira per fare del Mediterraneo un luogo di incontro, Mare nostrum, e non un cimitero e un luogo di divisione. La crisi della globalizzazione, le sofferenze della pandemia, il dramma della guerra in Ucraina, insieme alla lunga crisi economica in Italia, chiedono un rinnovato coinvolgimento sociale e anche politico di tutti coloro che hanno a cuore di salvaguardare l’umanità e non si rassegnano alle ingiustizie e alle disuguaglianze.
Ricordo quanto disse Papa Francesco invitando tutti a non guardare dal balcone, a non starsene chiusi nelle proprie case, ma a uscire sulle strade in mezzo alla gente, ad andare in piazza dove si “impasta” il bene comune di tutti. Dove i desideri propri si armonizzano con quelli della comunità, nello spazio pubblico in cui si prendono decisioni rilevanti per la città, come ad esempio in un Consiglio Comunale. Ripartire dal territorio e nelle piazze significa dare vita alla comunità e alla buona politica, non asservita all’ambizione individuale o alla prepotenza di fazioni e centri di interesse. Come disse Papa Francesco l’1 ottobre 2017 in Piazza del Popolo a Cesena “questo è il volto autentico della politica e la sua ragion d’essere: un servizio inestimabile al bene, all’intera collettività.
E questo è il motivo per cui la Dottrina sociale della Chiesa la considera una nobile forma di carità”. Credo che questo impegno, che ha una lunga storia, possa essere rinnovato anche da giovani che sappiano ascoltare i bisogni delle persone, stare in mezzo alla gente e magari partecipare come rappresentanti partendo dal territorio nei Consigli di quartiere, comunali, attenti ai bisogni concreti delle persone. Non è più il tempo di logiche divisive ma di collaborare alla costruzione della casa comune in modo da dare speranza e futuro specialmente ai giovani, e dire no alla guerra.

Il Mcl procede verso il suo cinquantesimo, che festeggerà il prossimo 8 dicembre. Il Movimento si sta preparando a due incontri ad Assisi, nella terra di Francesco, particolarmente centrati sul rinnovato magistero sociale del Pontefice, su due documenti importanti -encicliche di papa Francesco- con particolare riferimento al “Laudato sì” e “Fratelli Tutti”. Gli incontri sono riservati rispettivamente a tutti i quadri dirigenti dal 1 al 3 settembre e successivamente ai giovani dal 15 al 17 settembre. Il tutto avverrà sotto forma di percorso spirituale proprio in preparazione del Giubileo del Mcl. Il Movimento riaffermerà le ragioni del proprio esserci nella fedeltà alla Chiesa, al lavoro e alla democrazia. Anche alla luce della sua conoscenza diretta della sua esperienza (ricordiamo con gratitudine la sua presenta al nostro Seminario di Studi di Senigallia nel 2019) appena creato cardinale. Quale indicazione ci darebbe per vivere appieno la circostanza di questo nostro Giubileo?
L’occasione del vostro Giubileo è una circostanza utile per guardare in faccia la realtà di oggi che chiede a tutti un cambiamento importante.
Non dobbiamo chiuderci nei nostri recinti ma aprirci per incontrare sulle strade delle nostre città le persone e i bisogni del nostro tempo. Riaffermare le ragioni della propria storia e tradizione, come la vostra, significa saperla immettere nel contesto e nella complessità odierna dove sono chieste nuove forme di impegno per sostenere l’uomo e il lavoro.
Questo è un contributo importante che potete dare anche alla democrazia e alla testimonianza che la Chiesa offre per rinnovare spiritualmente e pure operativamente forme di partecipazione che valorizzino il noi, la comunità e non lascino solo l’io. Aver scelto Assisi per il vostro cinquantesimo è un segno efficace di un luogo che richiama a guardare ogni persona come dono, a vivere insieme, Fratelli tutti. La Dottrina sociale della Chiesa e le encicliche di Papa Francesco vi aiuteranno ad approfondire il percorso del vostro cammino. Buon lavoro!

A cura di Tonino Inchingoli
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