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  Il peso politico delle ultime elezioni regionali

Data di pubblicazione: Sabato, 6 Giugno 2015

TRAGUARDI SOCIALI / n.72 Giugno / Luglio 2015 :: Il peso politico delle ultime elezioni regionali

di Pietro Giubilo

Come ogni elezione ‘di mezzo’ anche queste consultazioni regionali e locali erano chiamate a fornire un chiarimento sullo stato della politica del Paese, contribuendo a verificarne le tendenze.
Innanzitutto esse hanno espresso un giudizio sull’operato del governo, nonostante le ripetute affermazioni in senso contrario del premier. Rispetto alle ‘europee’ il gradimento appare in declino, confermato dal cedimento elettorale del Pd, come ribadito anche dai giornali che, a suo tempo, ne avevano fiancheggiato l’ascesa (La Repubblica ha titolato “la battuta d’arresto di Renzi”). Anche il ‘pasticcio’ degli ‘impresentabili’, le redarguite ‘irruzioni’ della Bindi e l’inevitabile sospensione di De Luca, minano l’immagine e la credibilità del progetto politico del Segretario Pd, evidenziando nei fatti un discutibile confine invalicabile alle sue roboanti ‘rottamazioni’.
Anche il peso e il ruolo dell’opposizione interna al partito del premier erano in ballo. Si trattava, infatti, del primo test elettorale dopo la rottura sul voto all’Italicum. Anche su questo aspetto le risposte non sono mancate: da un lato il peso dei consensi di questa parte del Pd sembra avere una consistenza tale che, se sottratto, porta alla sconfitta (è il caso della Liguria); non solo, ma le candidature più vicine al premier sono risultate perdenti (Paita in Liguria e Moretti in Veneto), mentre i vincitori (soprattutto Rossi ed Emiliano) appaiono più vicini alla ‘ditta’ (Bersani, palesando una possibile ‘resa dei conti’ ha detto con chiarezza: “senza sinistra si perde, partito da rifare, ora Renzi ci ascolti”). Nell’insieme il Pd di Renzi esce da queste elezioni come un coacervo di fazioni in lotta per il potere e non in grado di leggere e capire il Paese reale.
Anche sul centrodestra si è registrata una verifica non di poco conto, con l’affermazione della Lega, il consistente ridimensionamento di Forza Italia, la tenuta di Fratelli d’Italia e le difficoltà per le disinvolte scelte dell’Udc, ma non l’emarginazione, e di Area popolare. Le elezioni dimostrano che questa parte politica può riaprire la partita, cioè competere e anche vincere, a patto di ritrovare un ubi consistam unitario. Ma con quale indirizzo politico?
Un risultato significativo, oltre a quello della vittoria di Toti in Liguria, favorita dalla divisione a sinistra, è stato il successo di Ricci in Umbria, dove il centrodestra con “Umbria popolare” è arrivato, dopo la recente vittoria a Perugia, vicino al ‘miracolo’ di strappare al Pd una roccaforte di sempre.
Il senso è evidente: la ricomposizione del centrodestra, realizzata ‘in qualche modo’ in alcune Regioni, può essere vincente, ma non può avvenire, a livello nazionale, sulla base del linguaggio e di alcuni contenuti della forza politica, al momento, di maggior consenso (La Lega). Occorre ritrovare la strada di una prospettiva equilibrata fondata sulla compatibilità politica e programmatica delle diverse ‘anime’ del centrodestra. L’indirizzo leaderista di Salvini porta in un vicolo cieco. La soluzione non sta nell’indizione delle primarie, ma in una visione inclusiva, che verifichi innanzitutto il complessivo quadro politico e programmatico che deve essere popolare e non ‘populista’. La scelta ‘forte’ del centrodestra non è l’estremismo, ma radicarsi nel tessuto connettivo della cultura e delle esperienze sociali della tradizione politica popolare.
Le elezioni con i suoi risultati mostrano, a questo proposito, anche un aspetto istituzionale che la ‘baldanza’ riformatrice di Renzi aveva accantonato. Si tratta, in sintesi, della ‘bocciatura’ dell’Italicum, cioè del sistema elettorale che punta al bipartitismo.
Vincono le coalizioni, non chi affronta da isolato la competizione elettorale. Si è trattato – è vero – di elezioni senza il doppio turno, ma l’indirizzo semplificatorio renziano, inserito nell’Italicum è destinato a cancellare quel pluralismo di forze, espressione di un mosaico culturale e politico che, invece, andrebbe positivamente polarizzato nelle alleanze e non lasciato a una rappresentanza parlamentare autoreferenziale e aperta a forme di trasformismo.
Occorrerebbe rivedere gli ostacoli posti dal nuovo sistema elettorale alle coalizioni politiche. Anche perché se si dovesse contenere ulteriormente la possibilità di scelta degli elettori – al doppio turno partecipa al voto meno della metà – la disaffezione elettorale raggiungerebbe livelli ancora più elevati.
Non si può assistere, come ormai sta avvenendo da tempo, alle continue vittorie del partito delle astensioni.
Un’ultima considerazione partendo dall’affermazione più netta di questa tornata elettorale: quella del Presidente Zaia in Veneto, dove la sconfitta della Moretti ha reso evidente il ‘limite culturale’ del Pd di Renzi. La rottura con Tosi, voluta da Salvini, è stata un errore, corretto dalla capacità del governatore di non rinchiudersi in una ridotta estremista, ma di mantenere una rappresentanza ampia di contenuti e di interessi territoriali. L’ex ministro ha avuto l’intelligenza non solo di evitare uno scontro esasperato con il sindaco di Verona, rimanendo in un confronto civile, ma di diluire e ampliare l’appoggio leghista con liste di sostegno di carattere civico. Liste che non includevano quelle impresentabilità che, invece, si sono annidate in Campania e in Puglia.
E’ fondamentale, per riprendere la via dello sviluppo, ricostruire rappresentanza e senso civico minacciati e distorti dal decisionismo renziano, dal populismo dei 5 Stelle e dalle più evidenti asprezze leghiste. E’ necessario a questo proposito puntare su quella realtà di associazionismo, di volontariato e di impegno sociale che, come ha sottolineato il Presidente Costalli, “vuole ricostruire, anche moralmente, il Paese, ponendo un argine alla politica autoreferenziale che non ascolta i cittadini, e che ha perso credibilità soprattutto agli occhi dei giovani”.
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