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  Riportiamo la finanza al servizio dell’economia reale

Data di pubblicazione: Domenica, 14 Giugno 2015

TRAGUARDI SOCIALI / n.72 Giugno / Luglio 2015 :: Riportiamo la finanza al servizio dell’economia reale

Intervista al Prof. Leonardo Becchetti

Leonardo Becchetti, economista italiano di chiara fama, nonché professore ordinario di Economia politica presso l’Università di Roma Tor Vergata, ha speso una vita in ricerche che riguardano temi oggi diventati di strettissima attualità come la finanza etica, il microcredito, la responsabilità sociale di impresa ed il commercio equo e solidale.
Editorialista di Avvenire, dal 2013 è presidente del Comitato Scientifico di Next – Nuova economia per tutti. A lui abbiamo rivolto alcune domande per i lettori di Traguardi Sociali.

Prof. Becchetti, nel suo ultimo libro intitolato Wikieconomia- Manifesto dell’economia civile, lei sostiene la tesi che “come Wikipedia testimonia le capacità della rete di stimolare gli immensi giacimenti di gratuità umana, così la Wikieconomia potrebbe essere la grande opera del futuro: la costruzione di un’economia al servizio del bene comune e a vantaggio di tutti”.
Potrebbe sinteticamente spiegare ai nostri lettori come e perché tutto questo potrebbe accadere?

Viviamo la terza era della cultura. La prima è stata l’epoca che precede l’invenzione della stampa. L’opera dell’ingegno non era facilmente riproducibile, la cultura costava molto ed aveva limitata diffusione. Con la stampa diventa possibile rendere nota l’opera d’ingegno ad un numero vastissimo di fruitori. Che restano però passivi.
Con la terza fase, quella della nascita della rete, si rompe la barriera tra i produttori e i consumatori del sapere. Nascono comunità che co-producono contenuti (dove tutti danno il loro contributo al progresso delle conoscenze proporzionalmente alle loro capacità). Come la rete ha reso possibile la nascita di grandi opere come “wikipedia”, un’enciclopedia nata dal basso con il piccolo lavoro gratuito di tantissimi, così la comunità dei cittadini responsabili connessi in rete e sui social network può costruire pazientemente l’opera di una nuova economia civile e responsabile sfruttando la potenza del mezzo che rende facile l’aggregazione orizzontale e il coordinamento di moltissimi (per raccogliere fondi come per diffondere messaggi culturali o fare campagne).
Lungi da me dall’esaltare la rete (lo strumento) come bene in sé. E’ l’utilizzo che se ne fa che conta ma il mezzo è senz’altro potente e consente di fare cose un tempo impensabili. E dunque la rete deve essere luogo e strumento per promuovere nuove aggregazioni delle persone di buona volontà.

A proposito di bene comune: lei scrive che “Se l’idea di bene comune garantisce i giusti contrappesi, resta difficile e affidato alla nostra responsabilità identificare cosa tale concetto significhi in ogni diverso momento della storia, ovvero quale sia il bene comune storicamente fattibile”. A questo punto le chiediamo: qual è, a suo giudizio, “il bene comune storicamente fattibile” nel tempo della globalizzazione e dell’egemonia della finanza?
Non dobbiamo essere pigri su questo trincerandoci dietro la non fattibilità di cose che invece possono essere alla nostra portata. Dobbiamo riuscire a riportare le immense energie della finanza al servizio dell’economia reale. Le vie maestre sono la biodiversità finanziaria (dove accanto al settore delle banche spa esiste un settore mutualisticocooperativo che fa proprie le istanze di partecipazione dei cittadini e realizza un modello di banca dove il dominus non è l’azionista ma il valore aggiunto prodotto si ripartisce in modo più equo tra i vari portatori d’interesse), la separazione tra banca commerciale e banca d’affari, la tassa sulle transazioni finanziarie e la modifica dei sistemi di incentivo e remunerazione dei manager. Che oggi finiscono per esasperare i conflitti distributivi all’interno delle aziende.

Lei sostiene, in linea col pensiero economico- sociale di Papa Francesco come emerge anche dal libro Questa economia uccide di Tornielli e Galeazzi, che in fondo la sfida affascinante della globalizzazione sia proprio quella di “trasformare l’opzione preferenziale per gli ultimi da ‘eccellenza virtuosa riservata a missionari o religiosi’ a strategia obbligata anche per coloro che non hanno alcun interesse alla loro sorte”. Può spiegare ai nostri lettori, cosa intende specificamente e come e perché si può realizzare questa singolare coincidenza di interessi tra le “ragioni della fede” e le, ben più concrete e pratiche, “ragioni dell’economia”?
Beh nell’economia pre-globalizzazione potevamo disinteressarci senza particolari conseguenze negative delle sorti dei poveri che vivono negli angoli più remoti del pianeta. Nella globalizzazione quei poveri sono nostri concorrenti sul mercato del lavoro. E finché esisteranno 800 milioni di persone che vivono con un dollaro al giorno e sono disposte per questo a lavorare a salari molto più bassi dei nostri quelle persone produrranno una pressione verso il basso delle nostre tutele salariali. Pertanto oggi non solo chi giustamente pensa che gli uomini sono uguali a tutte le latitudini e a tutte le distanze geografiche e lavora per la dignità umana deve preoccuparsi ed occuparsi del problema ma anche tutti coloro che più prosaicamente sono preoccupati delle proprie condizioni di lavoro.

Lei è stato il principale protagonista dell’iniziativa del Manifesto in difesa delle Banche Popolari e delle Cooperative contro il decreto legge del governo Renzi. Un’iniziativa che ha raccolto il consenso di larghissima parte dell’associazionismo cattolico italiano. Pensa che iniziative come questa possano concorrere a restituire un punto di riferimento condiviso ai tanti cattolici che vorrebbero impegnarsi per il bene comune e per fermare il degrado della nostra società?
E’ buono e giusto aggregarsi, partecipare e far sentire la propria voce in battaglie di difesa quando la ricchezza del mondo mutualistico e cooperativo costruito nella storia di questo Paese da cattolici e non credenti di buona volontà viene messa a rischio.
Ma sarebbe bene ed è bene lavorare anche quando manca l’assillo di queste urgenze. Non basta, infatti, se vogliamo “incarnarci” indicare l’orizzonte dei nostri ideali e di quelli della Dottrina sociale della Chiesa ma bisogna indicare quali sentieri concreti ci portano oggi ad essa e abitare i luoghi dove il nuovo si sta costruendo. Penso ai tanti innovativi esempi di banche e finanza etiche, ai nuovi mondi della cooperazione sociale, al terzo e al quarto settore con tutte quelle ibridazioni tra mondo profit e non profit che appaiono opportunità interessanti di creare valore economico in modo sostenibile.
Evitando la tradizionale dicotomia tra chi crea valore producendo esternalità negative sociali ed ambientali e chi poi è destinato a curare le ferite.

In questi giorni stanno emergendo importanti iniziative di ricorso alla Corte Costituzionale contro questo decreto da parte della Regione Lombardia e di importanti economisti come Sapelli e Vitali. Pensa che abbiano concrete possibilità di essere accolti dalla Consulta?
E, più in generale, non ritiene che questo decreto violi non solo la lettera ma anche lo spirito, partecipativo e solidaristico, della nostra Costituzione?

Ai tempi del decreto sono stati raccolti pareri di autorevoli costituzionalisti (Ainis, Imposimato, Mirabelli) che non hanno potuto non rilevare che il decreto popolari viola numerosi articoli della Costituzione.
L’elemento più grossolano è quello di stabilire un tetto massimo alla dimensione della banca mutualistico-coperativa dove vige la regola “una persona un voto”, tetto che non esiste assolutamente in quasi tutti i Paesi del mondo dove le banche di quel tipo hanno dimensioni ben maggiori di quella soglia (basti pensare soltanto a Canada, Olanda, Francia, Germania, Austria, Finlandia solo per fare alcuni esempi). Non vedo come tale tetto non possa saltare e mi domando quali problemi questo provocherà. Avevamo consigliato al governo per il suo bene di intervenire diversamente ma su questo punto (a differenza delle riforme realizzate ed in corso su Fondazioni, banche di credito cooperativo e terzo settore) si è scelta una strada molto più rigida, scelta che si ritorcerà contro chi l’ha adottata.
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