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  Politica sempre più autoreferenziale: tra slogan e riforme

Data di pubblicazione: Lunedì, 11 Maggio 2015

TRAGUARDI SOCIALI / n.71 Aprile / Maggio 2015 :: Politica sempre più autoreferenziale: tra slogan e riforme

Una democrazia senza rappresentanza?

In questi ultimi anni abbiamo tutti avuto modo di vedere come si sia progressivamente realizzato un significativo svuotamento del potere democratico. Uno svuotamento sostanziale più che formale ma, proprio per questo, maggiormente pericoloso in quanto più difficile da cogliersi nelle sue reali dimensioni.
Si tratta di un fenomeno a respiro transnazionale che interessa l’intero mondo occidentale ma, in particolare, le nazioni europee. Le nazioni europee, infatti, hanno visto le proprie democrazie svuotate di effettivo potere decisionale non solo da parte dei mercati, padroni impersonali ed invisibili, ma onnipresenti, di cui tutti rischiamo di finire col diventare “sudditi”, come ha scritto, tempo fa, con felice ed incisiva espressione, Giuseppe De Rita, ma anche dal progressivo estendersi delle regole e dei vincoli imposti dai trattati europei, seppure - bisogna dirlo - liberamente accettati e sottoscritti dai nostri Parlamenti.
Tale processo di svuotamento, congiuntamente alla cattiva amministrazione, al proliferare degli scandali, e alle sistematiche campagne mediatiche che li accompagnano, ha messo in moto una pericolosa disaffezione della pubblica opinione nei confronti della politica.
In un certo senso i canali della partecipazione e della rappresentanza per molti versi hanno finito con l’inaridirsi da soli, quasi spontaneamente, come difesa rispetto a situazioni e condizioni, ormai da molti, a torto o ragione, considerate patologiche.
La più eclatante spia di tutto questo processo è costituita dalla progressiva diminuzione dei cittadini votanti alle elezioni che genera una crescente corrente di astensionismo: fenomeno particolarmente grave nel nostro Paese, nel quale, fino a una ventina di anni fa, la partecipazione al voto era massiccia e solida.
Un fenomeno che si può spiegare con due sole ragioni che, nota bene, non si elidono ma, al contrario, si sommano: 1) gli elettori sono ormai convinti che il loro voto sia inutile, in quanto, sostanzialmente, ininfluente;
2) gli elettori non si sentono più adeguatamente rappresentati.
E’ in questo quadro che si inserisce il processo di riforma costituzionale delle istituzioni rappresentative.
Un processo che a dire il vero parte bene, e dignitosamente, con il governo di grande coalizione di Enrico Letta per poi immiserirsi e incanaglirsi, fino al midollo, nel momento in cui viene proseguito e stravolto - dopo il famoso hashtag “Stai sereno Enrico” e la conquista, “quasi alla baionetta”, del “Palazzo d’Inverno” da parte di Renzi e dei renziani.
A questo punto si innesca un meccanismo di mutazioni dei fini e delle motivazioni che, a ben ragionarci, non può non lasciare esterrefatti. Gli organi costituzionali vengono riformati e, a dire il vero, nella maggior parte dei casi “cassati”, non in ragione dell’assicurare maggiore democraticità, maggior capacità di governo, un migliore livello di rappresentanza e partecipazione, ma in nome dell’esigenza di risparmiare “spese inutili”. Un vecchio refrain dell’antiparlamentarismo di sempre, che chi conosce un po’ di storia d’Italia non ha difficoltà a riconoscere.
Nascono così una serie di abolizioni a raffica che in realtà vanno a impoverire ulteriormente, questa volta con interventi legislativi, la già notevole crisi di rappresentatività delle nostre istituzioni, ormai piagate dall’astensionismo e dalla comprensibile, radicale, sfiducia dei cittadini verso la classe politica nel suo complesso.
E’ per questa strada che si arriva alla (finta) abolizione delle Provincie, o meglio dei Consigli Provinciali elettivi ed alla destrutturazione del Senato che si vorrebbe ridurre a “dependance”, nel cuore della politica italiana, delle Regioni: le “autonomie”, al momento, meno amate dagli italiani. Questo senza parlare dell’abolizione del Cnel e, dunque, di quel poco che restava del grande progetto di una vera Camera degli interessi, del lavoro e dell’economia che i cattolici tentarono di realizzare all’Assemblea costituente.
Un riordino a ben vedere povero di risultati perché sul piano della “spending review” le competenze ed il personale restano a carico del bilancio, anche se l’assemblea viene ridotta e depotenziata con un’elezione di secondo grado, così come è già avvenuto per le Provincie e dovrebbe avvenire anche per il nuovo “Senato regionale”.
Dove, invece, il risultato è grosso, ma non per questo positivo, è nell’aumentare la autoreferenzialità della politica visto che, si voglia o meno, il principale risultato di queste riforme è quello di far eleggere i politici dai politici, invece che dai cittadini. Un ulteriore depotenziamento del potere degli elettori e della loro possibilità di votare chi li rappresenta.
In altre parole si lavora per acuire la malattia invece di curarla... Un modo davvero strano di contrastare la crisi della rappresentanza!

Pier Paolo Saleri
Vicepresidente Fondazione Italiana Europa Popolare
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