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  Intervista ad Andrea Tornielli, uno degli autori del volume “Papa Francesco. Questa economia uccide”

Data di pubblicazione: Giovedì, 14 Maggio 2015

TRAGUARDI SOCIALI / n.71 Aprile / Maggio 2015 :: Intervista ad Andrea Tornielli, uno degli autori del volume “Papa Francesco. Questa economia uccide”

Quel bisogno di coraggio, di bene comune, di lotta alle povertà

Andrea Tornielli - vaticanista, giornalista del quotidiano La Stampa e coordinatore del sito web Vatican Insider, collaboratore di varie riviste italiane e internazionali - è autore, insieme al vaticanista Giacomo Galeazzi, del libro “Papa Francesco. Questa economia uccide”. Un libro sul magistero sociale del Pontefice che raccoglie e analizza i discorsi, i documenti e gli interventi su povertà, immigrazione, giustizia sociale, salvaguardia del creato, per concludersi con un’intervista esclusiva su capitalismo e giustizia sociale che il Santo Padre ha rilasciato agli autori all’inizio di ottobre 2014.
Su questo volume e sulla riflessione proposta sul rapporto fra economia e Vangelo, gli abbiamo rivolto alcune domande per i lettori di Traguardi Sociali.


“Questa Economia uccide” è una sorta di “summa” che ricostruisce, organicamente, il pensiero economico-sociale di Papa Francesco. Possiamo chiederle come è nata l’idea di metter mano a questo libro e di dargli un titolo di così forte impatto?

Mi piace sempre ricordare che il titolo è forte, ma è una citazione letterale del Papa, tratta dall’esortazione Evangelii Gaudium. L’idea del libro nasce dall’esigenza, che avvertivamo io e Giacomo Galeazzi, l’altro autore, di mettere in fila e in ordine tutti gli interventi di Francesco in campo sociale. Fino ad oggi Papa Bergoglio non ha ancora prodotto un documento magisteriale interamente dedicato a queste tematiche: il primo sarà rappresentato dall’enciclica sulla salvaguardia del creato attesa per fine giugno. C’erano però tanti interventi e discorsi. E c’erano soprattutto alcuni paragrafi dell’Evangelii Gaudium. Ci colpiva l’attenzione di Francesco per questi temi e anche la sua capacità di legarli al nucleo centrale dell’annuncio evangelico.

Lei dedica molto spazio a dimostrare come le posizioni del Papa, di radicale critica dell’imperialismo della finanza, siano in perfetta continuità con la linea, di sempre, della Dottrina Sociale della Chiesa. Analogamente ci sembra avvenga anche nella lettura del Concilio Vaticano II. Francesco ha, non a caso, definito Mons. Marchetto il “miglior ermeneuta del Concilio Vaticano II”. Lei che pensa al riguardo?

Il problema è, a mio parere, che molte pagine della Dottrina sociale della Chiesa non sono state sufficientemente ricordate o illuminate negli ultimi decenni.
Quando il mondo era diviso in due blocchi, si temeva che certe parole suonassero come troppo vicine al comunismo. Ma è vero che le parole di Francesco - sicuramente dirompenti - sono in continuità non soltanto con la Dottrina sociale della Chiesa ma anche con la tradizione molto più antica dei Padri della Chiesa. La domanda è: perché queste parole oggi risultano così «nuove» e dirompenti da far piovere sul capo del Papa l’accusa di marxismo? Perché si sono dimenticate le parole profetiche di Pio XI, un Pontefice - vorrei ricordare - che non proveniva dalle fila della teologia della liberazione, e che nel 1931 condannò «l’imperialismo internazionale del denaro» usando espressioni che oggi non ripeterebbe nessun uomo politico, neanche di sinistra, in Europa. Eppure quell’enciclica, «Quadragesimo anno» fu profetica, anche rispetto a ciò che viviamo.

Argomento centrale del libro è la critica alla globalizzazione: “questo sistema economico globalizzato che ci fa tanto male”. A questo il Papa contrappone “una sintesi positiva tra globalizzazione e localizzazione”: non “sfera”, ma “poliedro”: capace, con le sue mille sfaccettature, di unire in armonia le diversità senza cancellarle ed appiattirle.
Non le sembra che questa visione di Francesco riporti al centro il tema della identità dei popoli e delle nazioni, delle loro radici, della loro storia e della loro tradizione?


Sì, certamente. Riporta al centro l’identità dei popoli non come elemento da usare come una clava da sbattere in testa a chi viene da fuori o a chi professa un diverso credo, né da considerare come un fortilizio assediato da difendere. è un’identità che sa farsi dialogo, una tradizione che aiuta a vivere il presente e a comprenderlo, che favorisce la partecipazione in un mondo sempre più globalizzato. In particolare che aiuta a comprendere la necessità per i cittadini, per le famiglie, per i corpi intermedi, di tornare a essere protagonisti attraverso la partecipazione. è anche un appello alla politica perché torni a occuparsi del bene comune. Viviamo in un sistema dove a dettare legge sono i mercati finanziari, che stabiliscono i fini (i loro fini), mentre la politica
- lo osserva bene nel libro il professor Stefano Zamagni
- appare spesso ridotta al ruolo di ancella, di strumento dei mercati.

“Abbiamo bisogno di crescere in una solidarietà che deve permettere a tutti i popoli di giungere con le loro forze ad essere artefici del loro destino”.
Questa frase di Francesco sembra riproporre drammaticamente il tema della crisi della “sovranità nazionale” e della “sovranità democratica” che la globalizzazione sta, inesorabilmente, svuotando a favore dei mercati e delle tecnocrazie internazionali: gli “imperi sconosciuti” di cui il Papa ha parlato a Strasburgo. Ritiene fondata questa lettura?


Assolutamente sì. La crisi della sovranità nazionale e della sovranità democratica è sotto gli occhi di tutti coloro che non si rassegnano alla semplificazione della realtà che spesso viene veicolata da quanti hanno interesse a farci credere che viviamo nel migliore dei sistemi possibili. Non bisogna fare delle caricature né dare il via a qualche caccia alle streghe, né demonizzare i mercati. Bisogna però reagire, alzare a mano, fare domande, partecipare, organizzarsi, riprendersi gli spazi e i ruoli che i mercati finanziari e la tecnocrazia hanno eroso alla politica, per responsabilità nella stragrande maggioranza dei casi, della politica stessa.

Lei ha dedicato grande spazio al pesante attacco, sferrato contro il Papa, da ambienti finanziari e “neocon”, soprattutto nordamericani, che lo etichettano da “marxista” per le sue battaglie contro l’imperialismo finanziario e “l’economia dello scarto” rimproverandogli di aver abbandonato la difesa dei valori irrinunciabili. Accusa che ben sappiamo essere di pura invenzione: si contano a decine gli interventi, forti e decisi, di Francesco in difesa della vita, della famiglia e della libertà d’educazione.
Quale è, secondo lei, la vera ragione di tanto risentimento?


Sono convinto che la ragione vera dello scontro con certe correnti di pensiero e certi poteri sia proprio il terreno della dottrina sociale. Francesco è scomodo per chi dava ormai per scontato il matrimonio indissolubile del cristianesimo con il sistema economico turbo-capitalista.
Il nuovo dogma: ogni domanda, ogni suggerimento di cambiamento, viene percepito come un’eresia. E si finisce bollati come «marxisti» o «leninisti». Chi ascolta Francesco sa bene che non ha rinunciato a nulla. Ha soltanto spiegato che i principi e i valori sono tutti importanti e che la Chiesa si prende cura delle donne e degli uomini anche nei settanta-ottant’anni che ci sono in mezzo tra l’essere embrione e l’essere malato terminale a rischio eutanasia.

Il vescovo Mario Toso, segretario del Pontificio consiglio della Giustizia e della Pace nota, in riferimento alla Evangelii Gaudium, che essa “offre prospettive davvero stimolanti che però devono essere approfondite e tradotte in progettualità economica”.
Potremmo aggiungere anche “in progettualità politica”. Lei pensa che le dirompenti posizioni economico-sociali espresse da Francesco possano costituire un valido punto di riferimento per “riaccendere” l’iniziativa politico-culturale dei cattolici in questa società?


Il messaggio di Francesco rischia di cadere nel vuoto se non viene preso, assimilato, fatto proprio e messo in pratica in campo sociale e politico. C’è bisogno di un nuovo protagonismo in questi campi che sono eminentemente laicali. C’è bisogno di coraggio, di visione del bene comune, di impegno, a partire dalla consapevolezza che se non ci muoviamo per risolvere le cause strutturali della povertà siamo destinati a passare da una crisi all’altra e a finire sempre peggio.

Pier Paolo Saleri
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