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  Genocidio armeno: attualità e riflessioni

Data di pubblicazione: Giovedì, 17 Aprile 2014

TRAGUARDI SOCIALI / n.64-65 Marzo / Aprile 2014 :: Genocidio armeno: attualità e riflessioni

Estero e migrazioni

Il prossimo 24 aprile ricorrerà il novantanovesimo anniversario del genocidio del popolo armeno e, come ogni anno, quel giorno sarà il momento del ricordo, della memoria. Le atrocità compiute contro gli armeni alimentano ogni anno il dibattito fra storici, politici e giuristi a seguito di nuove scoperte documentali e, come per ogni anniversario, si ripercorrono i fatti accaduti nell’ultimo anno e le novità e i contributi che arricchiscono la questione. Nell’ultimo periodo, infatti, non sarà passato inosservato a molti il nuovo massacro compiuto a Kesab, in Siria, nei confronti della popolazione armena, discendente di coloro che scamparono al genocidio del 1915. Si può dire che qui viene conservato il cristianesimo dei primi martiri, dunque l’anima spirituale dell’Armenia e, nello stesso tempo, questo villaggio reca la memoria del genocidio del 1915. Questo piccolo paese della Cilicia infatti fu decimato, e l’85% della popolazione uccisa, in quel tragico anno in cui il Governo dei Giovani Turchi sterminò un milione e mezzo di armeni.
Ancor prima, nel 1909, gli armeni erano stati messi in fuga dagli Ottomani. Siamo quindi alla terza cacciata degli armeni da Kesab.
Nel 1939, su pressione del Cardinale Aghajanian, il quale più tardi sarebbe stato candidato al soglio pontificio nel conclave che elesse Papa Giovanni XXIII, Kesab fu assegnato alla Siria, e quindi è stato per anni un porto sicuro. Fino a questi tragici eventi del 2014, che hanno spinto le comunità armene di tutto il mondo a interrogarsi sul fatto se i turchi non continuino a odiare, e quel che è peggio a voler sopprimere con ogni mezzo, gli armeni. Dunque l’incubo di allora si è ripresentato nelle ultime settimane proprio in quei luoghi, al confine tra Siria e Turchia, laddove fondamentalisti islamici legati ad Al-Nusra entrati dalla Turchia hanno saccheggiato case ed edifici pubblici, sconsacrato chiese e, come testimoniato da un sacerdote armeno della cittadina di Kesab, il tutto con l’appoggio diretto e indiretto delle forze paramilitari turche.
A novantanove anni dal Genocidio del 1915, mentre gli armeni continuano la loro battaglia per la memoria, il mondo sembra rimanere impassibile di fronte all’ennesima tragedia umanitaria che un gruppo di cristiani armeni sta vivendo in questi giorni al confine con la Turchia. Più di duemila anni fa Pilato si lavò le mani consegnando Gesù ai suoi aguzzini. Aveva troppi interessi per macchiarsi le mani del sangue di un innocente. Novantanove anni fa, interessi politici, economici e strategico-militari, avevano indotto i governanti di allora a lavarsi le mani e a voltare lo sguardo altrove per non vedere gli orrori della storia e per non udire i lamenti di un popolo martoriato. Oggi la storia non fa altro che ripetersi e il fantasma del passato sembra aleggiare in quelle stesse terre permeate del sangue indelebile dei martiri armeni.
E’ morta la diplomazia? Purtroppo, nell’ultimo secolo, in un territorio relativamente circoscritto rispetto alle dimensioni del mondo, si sono create quattro questioni che non si è riusciti a risolvere: il genocidio degli armeni, la questione palestinese, la questione irachena e, oggi, la Siria. Siamo passati dal disinteresse ostentato, mantenuto dalle grandi potenze per due anni e mezzo, alla guerra senza alcuna gradualità, che ha causato la morte di circa centocinquantamila persone. L’auspicio è che vengano ascoltate le parole del Santo Padre, il quale, insieme all’invito alla preghiera per la pace in Siria e nell’intera regione, ha rivolto un appello inequivocabile ai responsabili siriani e alla comunità internazionale: “Per favore, tacciano le armi, si metta fine alla violenza! Non più guerra! Non più distruzione! Si rispetti il diritto umanitario, si abbia cura della popolazione bisognosa di assistenza umanitaria e si giunga alla desiderata pace attraverso il dialogo e la riconciliazione”. Il 24 aprile di quest’anno, dunque, assume un aspetto ancor più importante considerando i fatti recenti.
Cosa aspettarsi poi dalla Turchia ? Il fallimento della politica del governo Erdogan sia dal punto di vista interno che sulle questioni internazionali è sotto gli occhi di tutti. La politica dello “zero problemi con i vicini” è ben presto fallita e ha determinato un arretramento del Paese di molti decenni.
Nessun passo in avanti è stato fatto per la normalizzazione dei rapporti con lo Stato armeno, nonostante la società civile abbia chiesto uno sforzo in tal senso. Lo sviluppo di una concezione democratica dello Stato è ancora, purtroppo, lontana dal divenire realtà e, se nelle carceri turche vi sono all’incirca settemila prigionieri politici, allora si dovrà attendere a lungo. Se a distanza di quasi cento anni anche il nipote di Kemal Pasha, uno dei leader dei giovani turchi, ha ammesso in un libro il genocidio degli armeni: vuol dire che la società civile turca guarda al futuro con una prospettiva assai diversa da quella governativa.

Varoujan Aharonian
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